capoluogo sardo nei girni 10 e 11 gennaio 2008 bisognerebbe partire
probabilmente da antefatti che si perdono negli anni e che hanno visto la
Sardegna spesso utilizzata come un territorio desolato disponibile a qualsiasi
tipo di sfruttamento o di deturpamento.
Troppo spesso le istituzioni e i media hanno provato a
giustificare le rapine o gli abusi con motivazioni apparentemente nobili e
troppo spesso purtroppo i sardi sono rimasti a guardare, a maledire il governo
o gli amministratori, a lamentarsi ogni sera nelle bettole e nei bar senza mai
rendersi protagonisti reali del destino del proprio territorio.
L’epilogo dell’emergenza rifiuti è stato però la causa
dei fatti e delle reazioni in Sardegna, a livello politico, istituzionale e
popolare che hanno prodotto un livello di mobilitazione mai raggiunto prima di
allora nel capoluogo.
Mercoledì 9 gennaio i telegiornali hanno dato la
notizia che una prima parte dei rifiuti napoletani sarebbe stata stoccata in
Sardegna, ad Ozieri e in altri centri per lo smaltimento dei rifiuti, lo stesso
giorno una motonave ha lasciato il porto di Napoli con un carico di 750
tonnellate di rifiuti.
Le prime polemiche arrivano dai partiti
dell’opposizione in consiglio Regionale, che non perdono occasione per
cavalcare l’onda dello scontento diffuso tra la gente, e subito attaccano il
governatore Renato Soru che ha dato il via libera all’arrivo dei rifiuti senza
interpellare la giunta e le autorità locali.
I giornali isolani di giovedì aprono quasi tutti con
la notizia dell’imminente arrivo della nave-pattume in uno dei porti principali
dell’isola (Olbia o Cagliari) e già dall’ora di pranzo, 13:30 circa, avuta la
conferma che l’arrivo è previsto proprio nel capoluogo, ci si dà appuntamento
al Portocanale (il grande scalo mercantile di Cagliari) per impedire l’attracco
del traghetto, ma lì sulla banchina non ci sono solo alcune personalità
dell’opposizione, il molo è occupato da circa centocinquanta militanti per la
maggior parte appartenenti all’area indipendentista che, riusciti a forzare il
blocco ai cancelli di accesso hanno raggiunto i bordi del molo e lì hanno
atteso l’avvicinamento della nave.
Per tutta la durata del pomeriggio e fino a tarda
serata sulla banchina e davanti ai cancelli i presenti cercano di bloccare
l’uscita dei camion carichi di rifiuti e l’ingresso delle forze dell’ordine
arrivate per scortare l’uscita dei mezzi.
Alla protesta hanno partecipato circa trecento persone
accorse sia in seguito alla chiamata dei partiti e delle organizzazioni
politiche, sia spontaneamente o avvertite da amici. Ma il Portocanale è
piuttosto lontano dal centro abitato, difficilmente raggiungibile, e la
superiorità di mezzi e di organizzazione delle forze dell’ordine ha la meglio:
alle 23 e 30 i camion riescono a passare.
Durante la serata però la gente sfoga in altri modi il
bisogno di manifestare il proprio no ai rifiuti, nelle ore immediatamente
successive vengono incendiati cassonetti in città e viene lanciato qualche
sacchetto di rifiuti nel giardino di casa del governatore Soru.
La giornata di Venerdì si apre con polemiche e titoli
dei giornali sugli avvenimenti della sera precedente, intanto inizia a
circolare via Sms un’ appello che convoca una manifestazione spontanea alle ore
23 sotto la villa di Renato Soru.
Sarebbe stata anche stavolta un’iniziativa della
destra istituzionale a convocare quella che invece si è rivelata un’esplosione
di rabbia popolare.
Alle 22.30 il piazzale antistante la villa era ricolmo
di gente munita di spazzatura e una ventina di sostenitori pro-soru. Sarebbe
stato proprio l’attrito tra i due schieramenti a scatenare il primo intervento
delle forze dell’ordine, da lì in poi un presidio spontaneo si è trasformato in
guerriglia.
In piazza una cinquantina di militanti effettivamente
appartenenti alla destra anche extraistituzionale, ma l’intera piazza era
occupata
dalla cagliari arrabbiata, che non voleva più stare
seduta in poltrona a lagnarsi e che si è trovata a sfogare con violenza il
proprio rancore.
Soru è l’uomo-simbolo di questa vicenda, eletto a
capro espiatorio, come la guerriglia è stata anche valvola di sfogo di altri
disagi.
Sul sagrato della chiesa, nelle strade circostanti,
lungo la scalinata, nella piazza sottostante per due ore e mezza le persone
passavano, si fermavano, partecipavano attivamente agli scontri o si limitavano
ad osservare e approvare tacitamente ciò che veniva fatto.
Erano i ragazzi e le famiglie di Sant’Elia, di Quartu
e di altri quartieri della città, ma anche ragazzi della Cagliari-bene,
militanti dei collettivi o simpatizzanti della destra, passanti.
Non è possibile rinchiudere un’esplosione di rabbia di
questa portata fra gli schemi imposti dalla politica, sarà solo possibile forse
rivendicare o prendere le distanze dai fatti, ma venerdì per una volta è stata
la spontaneità popolare a scendere in piazza contro il disagio imposto da anni
di malgoverno, a Napoli come in Sardegna.
E sarebbe profondamente scorretto non individuare la
palese continuità tra le due giornate che hanno visto scendere in piazza i
Cagliaritani e gli abitanti dell’hinterland.
Si è trattato di un’emergenza cui era difficile
rispondere con prontezza, a poche ore dalla pubblicazione delle notizie.
A suo tempo neppure l’annuncio dell’invio delle scorie
nucleari aveva provocato sull’isola una rivolta di tale importanza.
Contro i rifiuti i cittadini di Cagliari hanno
risposto con determinazione, ma tutta la Sardegna si è apertamente schierata
con raccolte di firme, ordinanze dei sindaci, dichiarazioni e cortei.
Non bisogna cadere nell’errore di sottovalutare o non
prendere in considerazione un’opposizione popolare solo perchè nell’immediato è
stata, forse anche strumentalmente, presentata dai media come un’iniziativa
esclusivamente di "destra".
di come è possibile opporsi a questo tipo di gestione delle crisi, la Val di
Susa a suo tempo ha dimostrato come sia possibile vincere la volontà di chi
governa, ma al contempo è lontano dai territori.
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