ROMA – Questa mattina il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (Cipe) ha varato un piano di investimenti per le infrastrutture per un ammontare complessivo di 17,8 miliardi di euro. La cifra di 16,6 miliardi che era stata anticipata in settimana è stata infatti integrata con 1,2 miliardi destinati ai comparti scolastico e carcerario.
Lo scopo dell’intervento doveva essere quello di affrontare la congiuntura della crisi finanziando un programma di infrastrutture “immediatamente cantierabili” che facesse da volano per la ripresa economica, garantendo da un lato il completamento delle infrastrutture necessarie alle imprese e dall’altro tempestive ricadute in termini occupazionali.
Non più tardi di mercoledì scorso il governo, per bocca dell’eminenza grigia il sottosegretario Gianni Letta, aveva assicurato che per gli interventi anticongiunturali sarebbero state ascoltate le parti sociali. Parti sociali che per una volta si erano pronunciate all’unisono – non che ci sia niente di rassicurante nel sentire Cgil e Confindustria dire sostanzialmente la stessa cosa – nel chiedere al governo di considerare prioritari ammortizzatori sociali, tutela dell’occupazione e garanzie per la sopravvivenza delle imprese.
Ed ecco che il governo stanzia quasi 18 miliardi per un piano di infrastrutture sulla cui “immediata cantierabilità” è lecito avere più di un sospetto. Finché si parla di 2 miliardi per la tragicommedia dal titolo “Salerno-Reggio Calabria” – il presidente dell’Anas Pietro Ciucci assicura che sarà completata entro il 2012-2013, segnatevi la data! – passi, finché si continua con la statale Jonica, la Pedemontana, il terzo valico Milano-Genova, l’alta velocità Milano-Treviglio e alcuni interventi per l’Expo di Milano passi di nuovo, ma che il Ponte sullo Stretto sia immediatamente cantierabile è davvero una barzelletta.
In primo luogo, il progetto era stato sospeso dal governo Prodi, con tanto di pagamento di penale alle ditte appaltatrici da centinaia di milioni di euro, e si dovrebbe ripartire con tutto l’iter burocratico necessario. In secondo luogo, persistono ancora molti dubbi sull’effettiva realizzabilità dell’opera, sia per problemi tecnici che per ragioni di impatto ambientale. Resta poi la forte contrarietà di una consistente parte della popolazione sulle due sponde dello Stretto, e soprattutto manca la risposta ad una domanda non di poco conto. A che serve costruire un gigantesco e costosissimo (6,1 miliardi di euro circa) ponte se prima non si provvede a dotare Calabria e Sicilia di un’infrastruttura stradale decente?
Ciò che si ripropone ancora una volta nella sua evidenza è l’autoritarismo di un governo il cui premier-faraone pretende di costruire grandi opere costose e inutili – le piramidi – con i soldi e il lavoro dei suoi elettori-sudditi, per pompare il consenso al suo operato e per soddisfare il proprio maniacale narcisismo. Ma quel che c’è alla base di questo meccanismo è un sistema economico fattosi sistema di potere, capace di condizionare la politica spingendola a promuovere investimenti che hanno come primo scopo quello di massimizzare i profitti di chi li realizza.
Il piano oggi varato stanzia 1,3 miliardi per il Ponte. Con quei soldi si sarebbe potuto ristrutturare il sistema idrico della Sicilia che, è proprio il caso di dirlo, fa acqua da tutte le parti, o risistemare un po’ di strade scassate. Queste sarebbero state opere davvero immediatamente cantierabili, e avrebbero avuto subito l’effetto di generare nuovi posti di lavoro e di migliorare la situazione infrastrutturale di quei territori e la qualità della vita di chi vi abita. Ma non ci sarebbero state cerimonie di posa della prima pietra con fotografi e giornalisti. E soprattutto, dove sarebbe stato il guadagno per l’Impregilo? o per le organizzazioni criminali che presumibilmente concorreranno a realizzare l’opera vincendo subappalti truccati, con le famose offerte dei padrini, quelle che non si possono rifiutare? E poi per chi protesta ci sono sempre pronti i manganelli, che tra l’altro ormai portano pure consensi.
Un’ultima parola sui soldi per le nuove carceri. Spesso si dice che la civiltà di un paese si giudica da come tratta i propri detenuti, e la situazione attuale di sovraffollamento delle carceri è qualcosa di particolarmente increscioso. Le amnistie e gli indulti che si sono succeduti nel corso degli anni si sono dimostrati provvedimenti tampone di efficacia molto limitata nel tempo, perché dopo poco le carceri erano di nuovo piene. Senza voler entrare in un discorso sulla detenzione in carcere come risposta al problema dei reati, è evidente a qualsiasi persona di buon senso che il problema dell’Italia non è certo il numero di posti letto del sistema carcerario, ma un codice penale che prevede il carcere per tipologie di reati che dovrebbero essere affrontate con tutt’altro approccio, reati per i quali il carcere spesso risulta un amplificatore del fenomeno.
Sembra che una riforma del codice sia nelle intenzioni del governo, ma con l’aria che tira c’è ben poco da sperare.
Panurge.