Riportiamo di seguito l’interessante articolo apparso su "Senza Soste":
La stampa locale di questi giorni descrive in termini entusiastici il progetto di rimpatrio per i senegalesi proposto dal Comune di Pisa, che coinvolgerebbe, non si sa in che termini, anche "Regione Toscana, Croce Rossa, Comunità europea, governo e ambasciata senegalese".
In che cosa consiste il progetto? I senegalesi presenti a Pisa (circa 2.000) se disponibili a tornare in Senegal dovrebbero riempire un modulo per poi ricevere un contributo economico e una formazione professionale nel settore agricolo.
«Se andrà come immaginato, di senegalesi a Pisa ne resteranno ben pochi», dice Matar Ndiaye, vice presidente della comunità senegalese.
«Rimarranno pochi, pochissimi senegalesi a Pisa, ve lo assicuro, ma il nostro rimpatrio sarà di tipo produttivo e ci consentirà di vivere e lavorare dignitosamente in Senegal» ribadisce Pape Diop, presidente del coordinamento toscano delle associazioni senegalesi.
«Molti senegalesi – dice Ndiaye – hanno la terra ma non la sanno lavorare».
Facendo due conti, quindi, si tratta di un progetto molto costoso (la stampa non parla di cifre) per cui è lecito porre delle domande ai promotori:
1) Quanti senegalesi dei 2000 presenti a Pisa hanno un terreno da lavorare?
2) Essendo questi originari di molte regioni del Senegal, è stato fatto uno studio sulla proprietà terriera e sui problemi della produzione agricola nelle varie zone, che hanno caratteristiche molto differenziate? Come si pensa di risolvere il problema dell’impoverimento dei terreni dovuto alla monocoltura dell’arachide imposta ai tempi del colonialismo? Si pensa di arrestare il fenomeno della desertificazione? Come mai tra i partner del progetto non ci sono istituti universitari di agraria o economia?
3) I senegalesi coltiveranno la terra con utensili in bronzo o il Comune di Pisa fornirà anche macchine agricole? E se sì, chi pagherà poi i materiali di consumo?
4) I promotori del progetto hanno verificato se nelle zone di provenienza degli immigrati c’è acqua sufficiente per l’irrigazione ed energia elettrica per la lavorazione e la conservazione dei prodotti? Le forniranno loro?
5) E’ stata fatta una stima sul prezzo di mercato dei futuri prodotti, comprensivo del trasporto al porto di Dakar visto che si prevede una loro esportazione? Tali prezzi sarebbero competitivi sul mercato interno ed estero?
6) E’ stata fatta un’analisi costi/benefici? Perché se si vuol dare un incentivo economico, una formazione professionale e un rimborso per le spese del rientro a 2.000 persone si va nell’ordine dei milioni di euro, e a questi livelli di spesa ci sono alternative molto efficaci.
7) E’ stato valutato che precedenti progetti di rientro in Senegal, alcuni dei quali aventi come partner istituzioni pisane, hanno avuto risultati comici pur avendo come beneficiari poche persone e non 2.000?
8) Quando si pensa di verificare le possibilità di distribuzione in Toscana dei prodotti? Prima o dopo il corso di formazione, visto che i promotori del progetto ammettono che per ora su questo non ci sono certezze?
9) L’attuale aspettativa di vita in Senegal è inferiore a 60 anni, la mortalità infantile è del 140 per mille, ci sono 6 medici ogni 100.000 abitanti e 600.000 casi di malaria l’anno con 5.000 morti. Il Comune di Pisa intende risolvere anche questi problemi? Non crede che queste siano buone ragioni per emigrare anche se ci fosse qualche possibilità di piazzare qualche chilo di noccioline all’Ipercoop di Navacchio?
10) Con i prossimi senegalesi che arriveranno a Pisa cosa si intende fare? Qual è la durata del progetto? Si andrà avanti a tempo indeterminato pagando tutti quelli che arrivano?
Tutte queste domande avrebbero dovuto farle i giornalisti alla conferenza di presentazione se i quotidiani locali non fossero uffici stampa delle amministrazioni locali. Può darsi che i promotori abbiano già le risposte, dato che a Pisa c’è un gruppo di funzionari e ricercatori che quando parlano di cooperazione e immigrazione sembrano quelli che hanno inventato la penicillina.
Se invece, com’è probabile, risposte non ce ne sono si tratta di uno spreco di soldi e di una presa in giro.
Visto che la stampa scrive che "il progetto è figlio dell’ordinanza antiborsoni", il sospetto è che il Comune di Pisa, dopo l’opposizione suscitata dalla sua ordinanza discriminatoria e di stampo leghista contro gli ambulanti senegalesi, cerchi di recuperare terreno con una manovra propagandistica: così, avrà pensato qualche cervellone, si guadagnano i voti dei bottegai di Piazza dei Miracoli e non si perde consenso nell’ambiente del volontariato e tra le comunità di immigrati, magari distribuendo qualche soldo a fondo perduto ad associazioni "amiche" e a qualche senegalese perfettamente integrato nel funzionariato politico locale.
Il problema è che la matrice culturale del progetto è profondamente razzista: prima di tutto un progetto non deve porsi l’obiettivo del rimpatrio ma semmai quello di creare le condizioni perché la gente non sia costretta ad emigrare (cosa che non si farà mai perché la stessa area politica proponente del progetto condivide pienamente le politiche neoliberiste e di sfruttamento che hanno ridotto sul lastrico i Paesi poveri); peggio ancora si veicola l’idea che i senegalesi siano una massa di selvaggi con l’anello al naso che pur avendo a disposizione terreni fertili a perdita d’occhio non hanno voglia di coltivarli e vengono a rompere le scatole qui. E per fortuna che noi italiani con la pazienza e la bontà d’animo che ci contraddistingue invece di ributtarli a mare gli insegniamo a lavorare.
Dopo il progetto, quelli che avranno deciso di rimanere o saranno rimasti fuori dalle liste di rimpatrio avranno l’etichetta dei vagabondi che preferiscono fare gli abusivi in Italia piuttosto che lavorare la terra a casa loro.
Davvero un bel risultato! Comunque per carità, speriamo di sbagliarci. Seguiremo gli eventi e ne riparleremo fra un po’.
Per Senza Soste, Nello Gradirà
17 maggio 2009