Ieri,
giovedì 7 febbraio, un uomo di 44 anni ha subito un Tso (trattamento sanitario
obbligatorio) all’ Spdc di Livorno, notificatogli dopo una settimana di
ricovero volontario, in risposta alle sue ripetute richieste di dimissioni.
M., ex
paziente del Csm di Livorno, stanco della pesante terapia farmacologica, si era
rivolto ad un medico di Firenze con il quale era riuscito a staccarsi dal
Servizio di Salute Mentale, concordando una terapia meno invasiva.
Mercoledì 30
gennaio la dottoressa del Csm, sotto probabili pressioni della famiglia, suona
a casa di M. che non le apre.
A quel punto
la stessa, dopo qualche ora fa partire un Aso (Accertamento Sanitario
Obbligatorio), e M., scortato da ambulanza e vigili urbani, arriva al Csm.
Durante il colloquio con la dottoressa, M. accetta di farsi ricoverare
volontariamente presso il decimo reparto di Psichiatria di Livorno, consapevole
del rischio di un ricovero coatto se si fosse rifiutato.
Nei giorni
seguenti M. ha richiesto la sua cartella clinica per informarsi sia circa il
regime del suo ricovero, sia sulla sua terapia farmacologica: negatagli la
visione della cartella, dagli infermieri gli è stato detto di essere in Tsv
(trattamento sanitario volontario).
Da questo
momento ha espresso più volte e chiaramente ai medici la volontà di firmare la
dimissione dal ricovero e di uscire, come previsto dalle legge 180 (legge
Basaglia del 1978), ma i medici non glielo hanno permesso, minacciandolo di trasformare
il ricovero da volontario in obbligatorio, anche in presenza nostra e di due
giornalisti, e nonostante il supporto esterno del suo medico di fiducia e di un
legale.
In risposta
a queste pressioni l Spdc di Livorno ha attivato il Tso, nonostante non sia
soddisfatta una delle condizioni per l attivazione del provvedimento, il
rifiuto delle cure, visto che M. le ha sempre accettate sia dentro al reparto,
dove lui è entrato volontariamente, sia all esterno dove è in cura da un
medico.
Siamo di
fronte ad una serie di abusi che vanno dal ledere i diritti fondamentali dell
individuo fino ad arrivare al sequestro di persona.
Ad M. è
stata negata la possibilità di scegliere come, dove e con chi curarsi; di poter
visionare la propria cartella clinica, per essere messo al corrente della
propria diagnosi e dei farmaci a lui somministrati; di dare il consenso
informato, per conoscere gli effetti dei trattamenti subiti.
Ma l’ abuso
più grande è stato commesso quando, dopo qualche giorno, ad M. è stato impedito
di dimettersi dal reparto con spintoni e ricatti, finché non avesse firmato la
richiesta per la pensione di invalidità, questo si chiama sequestro di persona.
Temiamo per
l’ incolumità di M. all interno del reparto, la sua volontà di uscire è stata
mascherata da sintomo di malattia e viene trattata farmacologicamente, nel
tentativo di neutralizzarne i comportamenti
indesiderati,
mettendo a rischio cosi la sua salute e non tutelandola come voglio far
credere.
Ancora una
volta ci troviamo di fronte al fatto che la psichiatria ripropone le stesse
dinamiche che si attuavano nelle strutture manicomiali, esercitando un potere
assoluto e fino a ora incontrastato.
contro gli
abusi della psichiatria
Collettivo Antipsichiatrico
Antonin Artaud-Pisa
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