Spazi politici di riappropriazione, nella crisi economica, mediale e governamentale
Sulla crisi economica, mediale e governa mentale La fase attuale è segnata dal dispiegarsi della crisi, dalla socializzazione dei debiti che il meccanismo di valorizzazione finanziario ha prodotto in trent’anni di liberismo.
A livello internazionale, i governi hanno iniettato enormi liquidità pubbliche al fine di garantire un precario benessere alle banche. Il G20 di Pittsburgh di fine settembre, oltre ad aver dimostrato i nuovi assetti geopolitici in blocchi di potere continentale (USA e Cina) e l’inconsistenza di un’Europa servile e incapace di emanciparsi dagli assetti di potere entro cui è nata, ha confermato
il modello di sviluppo basato sulla finanziarizzazione della vita.
Il Governo Berlusconi, dentro questo quadro di crisi globale, sta subendo gli attacchi sia dell’ordinamento giuridico (bocciatura del Lodo Alfano), sia degli interessi mediatico-capitalistici contrapposti (De Benedetti etc..). I dubbi dei "poteri forti" su Berlusconi attengono alla quasi certezza che non ha in mano nulla di nulla che possa aiutare ad uscire dalla crisi evitando l’ulteriore declino italiano. La facilità con cui Governo e Media si affidano a dati economici traballanti e opinabili e la gravità della crisi economica in atto, lasciano pensare che non sia più possibile, allo stato attuale, attuare alcun modello di gestione della crisi, senza che essa scarichi la sua virulenza a partire da una drastica riduzione dei consumi e dei livelli di occupazione.
Gli stessi fenomeni di governamentalità di Berlusconi si reggono su un dispositivo di comunicazione politica che diventa sempre meno efficace nella produzione di consenso, non solo a causa dell’attacco di altri poteri editoriali o costituzionali, ma soprattutto in quanto inefficace nel riproporsi come collante sociale di fronte all’incedere della crisi, come hanno dimostrato le mobilitazioni no-Gelmini o anche solo le contestazioni popolari a L’Aquila e Messina.
Lo stesso spettacolo dello scontro mediale fra istituzioni si fonda su elementi che poco hanno a che vedere con le esigenze della popolazione, ma che è del tutto incentrato sulle difficoltà giudiziarie del Presidente del Consiglio e sulla tenuta di un sistema di informazione monopolizzato dalla televisione privata e generalista.
La profonda recessione economica, l’insufficienza delle reti di protezione sociale, l’avanzare dello spettro della disoccupazione di massa, come la sempre più probabile fuga degli investimenti, sono utilizzati come potente leva per un ulteriore violento attacco alla massa salariale, indispensabile al mantenimento del sistema. Meritocrazia, razionalizzazione, efficienza sono le parole d’ordine con cui si esplicano le direttrici di nuova accumulazione capitalista: sono i dispositivi di creazione di una nuova merce-forza lavoro, più assoggettata, flessibile, scolarizzata, impaurita, ricattata.
Il recente contratto che Federmeccanica, Fim e Uilm hanno firmato, adottando il nuovo modello contrattuale, è l’ennesimo passo in avanti nella frantumazione dell’unità e della forza contrattuale dei lavoratori metalmeccanici, oltre che la riprova che l’investimento produttivo e occupazionale del
padronato italiano è legato alla forte svalutazione della forza-lavoro.
Il pacchetto sicurezza e la sua applicazione giocano un ruolo fondamentale nella definizione di una sottoclasse di precari assoluti, tramite cui cercare di spingere verso il basso il prezzo della forzalavoro dei migranti e dei lavoratori in generale, di marcare socialmente ed etnicamente una gerarchia interna al mercato del lavoro ed alla società. E soprattutto riveste centralità nella costruzione di un duplice paradigma: di governo dell’esclusione sociale e della marginalità, da un lato, e di gestione securitaria dei conflitti, dall’altro.
La riforma Gelmini, e in genere i tagli alla formazione, spingono questo mondo verso un profondo declassamento qualitativo, verso una sua nuova funzione di precarizzazione cognitiva, di colonizzazione delle soggettività, di sfruttamento lavorativo, di rendita parassitaria sui bisogni e sulle capacità di studenti, ricercatori, precari della scuola.
Le recenti sparate di Matteoli sulla ripresa dei sondaggi per fine novembre per la costruzione del TAV, lo stesso Berlusconi che annuncia la realizzazione imminente del Ponte sullo stretto di Messina, parlano della volontà/necessità di intensificare la valorizzazione di capitale, riproponendo il tema grandi opere come volano dell’economia in (della) crisi, fonte di profitti privati e di sciagure economico-sociali-ambientali per le popolazioni dei territori.
Perciò riteniamo interessante valutare la crisi del governo Berlusconi alla luce delle contraddizioni politiche e delle ricadute sociali che le tensioni interistituzionali, e le conseguenti ipotesi autoritarie
sulla forma politica statuale, possono comportare.
All’interno di questo processo/scontro, ci sono dei punti di rottura che possiamo agire per fare leva contro il sistema ed aumentarne le contraddizioni irrisolvibili al suo interno. Se per ora questo scontro è giocato al di fuori “delle contraddizioni reali”, diventa tanto più importante lo spazio delle lotte, per ora frammentariamente affrontato da differenti soggettività, ma che può vedere affacciarsi altri protagonisti.
Spazi politici della riappropriazione
Dato che gli esiti di questo conflitto politico non si decideranno a colpi di sentenze o manette, e che le "nuove" piazze torneranno a essere importanti, diventa tanto più necessario nell’assemblea nazionale di area provare a immaginare quali saranno le nuove piazze e in che modo vadano affrontate in una prospettiva antisistemica.
Dentro un contesto di crisi sociale ed economica che si avvita su stessa è quindi necessario concentrare l’attenzione politica dei movimenti sulla questione del reddito a partire dalla conflittualità sociale, diffusa ma frammentata, che attraversa la composizione sociale del lavoro vivo.
Se l’indebitamento pubblico è la nuova frontiera dell’opera di sussunzione del capitale finanziario, la governance che ne determina i passaggi mostra quanto il paradigma della sicurezza sia il nuovo modello di espressione del comando. Il welfare è uno dei campi più attraversati dalle contraddizioni sistemiche, poiché è stretto, da un lato, dalla morsa neoliberista di decenni di privatizzazioni, appalti ed esternalizzazioni (e quindi di mercificazione dei diritti sociali); dall’altro, dalla necessità politica per le istituzioni di strutturare interventi sociali indispensabili alla sopravvivenza e all’adeguamento del sistema di riproduzione sociale ed esistenziale, affinché la rivolta non sia all’ordine del giorno. Le battaglie dei profughi a Torino per la residenza, dei migranti di tutta Italia per l’allargamento della sanatoria e contro il pacchetto sicurezza, dei precari e degli studenti per la casa e il reddito, parlano dell’opposizione sociale ad un welfare/watchfare, ovvero di lotte contro la
spesa pubblica in controllo e sorveglianze, a partire dalla riappropriazione dei bisogni negati.
Inquadrare le battaglie contro l’espropriazione (di territori, salario, tempi di vita, spazi) come percorsi di riappropriazione di reddito, significa lavorare allo scardinamento delle forme di gerarchizzazione, di selezione e di inclusione differenziata alle protezioni sociali degli “spossessati”, ovvero combattere in primo luogo contro le divisioni imposte dalla “linea del colore”, del merito, o di genere, e dai vari dispositivi postcoloniali di segregazione, che strutturano gerarchie e modelli sociali di competizione e concorrenza tra i vari segmenti di classe. Significa quindi mettere in crisi il meccanismo di sussunzione finanziaria della vita che è alla base del precario equilibrio socio-economico del sistema di comando.
Le lotte che si sono sviluppate in questi mesi ci parlano di una dinamica della socializzazione delle resistenze: lo scontro si sta sempre più giocando attorno ai meccanismi di conflitto e resistenza all’espropriazione. La stessa “onda”, che con il Block g8 di Torino e la campagna vincente contro gli arresti “preventivi” di luglio ha espresso un salto di qualità e di consapevolezza politica nel determinare nemici e obiettivi, marcando definitivamente il campo cui appartiene (quello dell’autorganizzazione sociale del precariato intellettuale), fa i conti con le trasformazioni avvenute.
Necessario è quindi misurarsi con la materialità dell’espropriazione formativa, con i meccanismi di inclusione differenziale alla formazione e al diritto allo studio. E’ importante, in quest’ottica, comprendere la vitalità e la potenzialità di un movimento degli studenti medi che, lontano soggettivamente da qualsiasi retorica legalista-giustizialista, fa i conti in prima persona con lo smantellamento delle possibilità del proprio futuro e con le carenze del proprio presente: lo dimostra la tenacia con cui gli studenti di Milano del liceo serale hanno difeso e resistito alla razionalizzazione produttiva e formativa delle amministrazioni; lo dimostrano le contestazioni ai Ministri, le occupazioni, i cortei autorganizzati che stanno prendendo piede in tutto il Paese. Accanto al mondo della formazione, che pone la costruzione di nuovi saperi e relazioni sociali al di fuori della compatibilità istituzionale e accademica, in antagonismo all’espropriazione del pubblico, molte altre sono le mobilitazioni che già delineano le forme della resistenza nella crisi globale e provano a costruire nuovi legami sociali e nuove forme di vita: le lotte dei movimenti di lotta per la casa di Roma e Firenze contro la repressione e gli sgomberi; la conflittualità sociale che a Palermo si esprime nel legame tra occupazione dei centri sociali e resistenza metropolitana alla distruzione di fette importanti del sistema occupazionale industriale; le battaglie in difesa del posto di lavoro e contro la disoccupazione, che dalla lotta estiva della Insse hanno tratto insegnamento di pratica politica autonoma rispetto alla prassi della contrattazione sindacale.
Il livello dello scontro del precariato sociale è tra la riappropriazione di tempi e spazi di vita e la macchina parassitaria e mercificante del Capitale.
Di fronte abbiamo la crisi sistemica e globale, l’incedere onnivoro dell’espropriazione collettiva, la possibile trasformazione radicale degli equilibri sistemici in senso autoritario, la resa del pubblico come frontiera della prossima bolla speculativa.
Il movimento antagonista non può non confrontarsi con la politicità delle lotte sociali: fare leva sui punti di disgregazione dell’attuale sistema berlusconiano, approfondire la frattura con lo spazio delle contraddizioni reali, cercandone un superamento a partire solo dalla riappropriazione collettiva della ricchezza sociale!
Non solo quindi report e confronto su ciò che stiamo producendo politicamente nei nostri territori, ma, per quanto sarà possibile in una 2 giorni, approfondimento teorico sulle mutazioni della composizione sociale di classe e sulle ristrutturazioni del capitale, e messa a confronto delle strategie con cui affrontare le sfide dei percorsi politici del conflitto sociale.
Reddito, ri-appropriazione, contro-potere, autonomia.
PROGRAMMA DI MASSIMA
Sabato 14 novembre,
ore 15: introduzione e assemblea generale di fase
Domenica 15 novembre,
ore 10: tavoli di lavoro
• Formazione e Saperi. studenti medi, precari della scuola, università
• Metropoli. riappropriazione di casa, reddito, servizi sociali e opposizione al welfare del
controllo; spazi sociali; prospettive del conflitto operaio; migranti e lotte postcoloniali
• Controcomunicazione. crisi dispositivi mediali di governo; infoaut network.
ore 13.30: pranzo
ore 15: relazioni dei tavoli di lavoro, conclusioni.