A Bruxelles sono chiamati i “gazpromiens”. Un gruppo di persone che, per ragioni diverse, controlla che gli interessi del monopolista del gas russo Gazprom siano difesi con sollecitudine presso l’Unione europea. Questa importante lobby è composta da leader europei, come l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schrhöder o l’attuale premier italiano Silvio Berlusconi, alla guida di paesi legati da importanti contratti con Gazprom. Ci sono anche alcuni pezzi grossi dell’Unione europea, come il commissario per l’energia Andris Piebalgs, e gli influenti responsabili delle grandi società di energia italiane, tedesche, olandesi o francesi. Tutti hanno in corso importanti affari con i russi o sperano di farne.
L’influenza dei “gazpromiens” sulla politica europea si estende però a settori che non hanno nulla a che vedere con il gas. Come per esempio nel caso del pacchetto sul clima. Elaborato da Bruxelles, questo insieme di proposte ambiziose destinate a fare dell’Europa un leader mondiale nella protezione del clima contro le emissioni di anidride carbonica è un vero e proprio regalo per i “gazpromiens”. Infatti fra le tecnologie candidate a sostituire l’energia prodotta dal carbone, la soluzione del gas naturale sembra oggi la meno cara e la più facile da utilizzare.
Non deve quindi stupire che paesi come la Polonia, che negoziano al tempo stesso le condizioni del pacchetto sul clima e i contratti a lungo termine per il gas russo, abbiano seri problemi. Infatti prima della definizione da parte dell’Ue dei suoi piani di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, i polacchi non possono definire la loro domanda di gas per i prossimi anni. Fra l’incudine e il martello, la Polonia cerca di barcamenarsi fra le pressioni dell’Unione europea, che chiede un rinnovamento integrale del suo antiquato sistema energetico, e l’insistenza della Gazprom, il cui combustibile emette circa il 40 per cento di anidride carbonica in meno rispetto al carbone e per il quale non ci sono alternative a breve termine.
Si pensa anche ai progetti di diversificazione delle consegne di gas verso l’Europa, che assicurerebbero ai paesi dell’Unione, compresa la Polonia, l’accesso alle fonti energetiche della Norvegia, dell’Asia centrale o del Qatar. Ma questa stessa Europa, sempre pronta a lottare contro l’effetto serra a scapito dei paesi più poveri dell’Ue, non sembra altrettanto preoccupata di diversificare le sue fonti di approvvigionamento di gas.
Le possibilità di realizzare il progetto principale di diversificazione dell’Ue, il gasdotto Nabucco (che collegherà il Mar Caspio con il Mediterraneo senza attraversare la Russia), si riducono sempre di più di fronte al suo concorrente, il progetto russo di gasdotto South Stream. In Europa centro-orientale, i “gazpromiens” propongono nuove definizioni per la diversificazione. Per Piebalgs un mezzo per diversificare il mercato del gas europeo è in realtà quello di aumentare la dipendenza energetica dell’Europa nei confronti della Russia.
Il commissario lettone ha ovviamente le sue ragioni per promuovere Nord Stream, che suscita invece l’opposizione degli estoni e dei polacchi. La Gazprom infatti intende costruire (per una spesa di più di un miliardo di euro) in una Lettonia in piena crisi economica i magazzini di stoccaggio del gas proveniente dal Nord Stream. Di recente il progetto ha ricevuto il sostegno dei danesi, che non solo hanno ritirato le loro obiezioni di carattere ambientale nei confronti del gasdotto, ma hanno anche ordinato due miliardi di metri cubi di gas russo attraverso il Nord Stream. I finlandesi, che inizialmente erano contrari al progetto, sembrano oggi accoglierlo con favore. Anche se il Cremlino ha favorito questa scelta applicando una tariffa doganale sul legno importato dalla Finlandia.
Le stesse disposizioni del trattato di Lisbona sono favorevoli ai “gazpromiens”. La ratifica del trattato ha infatti ufficializzato il cambiamento dello statuto della Banca europea di investimenti (Bei), partner necessario nella costruzione del North Stream per Gazprom, che in questi ultimi tempi ha grandi problemi di liquidità. Prima dell’entrata in vigore del trattato, la Bei aveva bisogno del consenso di tutti i membri dell’Ue per finanziare questo investimento. Adesso il consenso di 18 paesi che possiedano almeno il 68 per cento del capitale della Bei è sufficiente per prendere la decisione. Attualmente i paesi direttamente coinvolti nel Nord Stream, cioè la Germania, la Francia, l’Italia, l’Olanda e la Danimarca, detengono il 55 per cento del capitale e per i “gazpromiens” non dovrebbe essere molto difficile trovare il restante 13 per cento.