Dopo i quattro arresti di pochi giorni fa, che hanno assicurato alla giustizia cinque pericolosi rapinatori di fotocopie, ieri sono stati arrestati e denunciati altri studenti, giovanissimi, che protestavano nell’ambito delle mobilitazioni contro la riforma Gelmini. Pochi giorni prima, attraverso un’operazione di polizia degna dell’antiterrorismo, era stato sgomberato il liceo occupato Ghandi.
Mentre scriviamo, è in corso un grande presidio di fronte al Tribunale di Milano, protetto da un imponente schieramento di poliziotti in assetto antisommossa. Dentro, due studenti di diciotto anni, processati per direttissima con le accuse di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
Riportiamo di seguito un articolo, tratto da Carmillaonline, e scritto da Andrea Scarabelli.
J. Bonnot
LA PERSECUZIONE DEI GIOVANI
di Andrea Scarabelli
Se
vedi novanta poliziotti in assetto antisommossa a Milano, sui navigli,
in un’alba spenta che solo novembre sa offrire, pensi di assistere a
un’operazione di estrema gravità e urgenza. Magari per sventare qualche
pericolosissima minaccia terroristica esotica, come quella che da oggi
scopriamo incombere sul nostro premier. Se poi li vedi circondare il
Lab Zero o Ringhiera, insomma la casa occupata sul nuovo parco lungo
Ripa di Porta Ticinese, pensi che sia imminente lo sgombero, un’altra
mossa dell’offensiva unilaterale innescata da questa città contro tutti
gli spazi non omologati in nome della “riqualificazione”.
Invece, no.
Questo venerdì 13 novembre, quell’impressionante schieramento di
poliziotti è lì per arrestare tre degli occupanti. Tre pericolosissimi
appena ventenni, ancora addormentati. Altri due ragazzi sono già stati
prelevati dalle loro abitazioni nell’hinterland, buttati giù dal letto
come criminali pronti alla fuga. Tutti e cinque hanno tra i venti e i
ventiquattro anni, uno di loro finisce a San Vittore, gli altri quattro
ai domiciliari. L’accusa è di rapina aggravata e lesioni, sembra che
rischino dai quattro ai dieci anni di carcere.
Che cosa hanno fatto?
Si sono rifiutati di pagare qualche centinaio di fotocopie fatte presso
la libreria Cusl dell’Università Statale, il 2 ottobre scorso. Un
bottino di al massimo una ventina di euro.
Forse la notizia riportata nella sua brutalità può restituirci un
po’ dello sconcerto che non siamo più in grado di provare. Mese dopo
mese, in questa Italia e in questa Milano, stiamo imparando ad
accettare nuovi livelli di realtà. Una situazione simile fino a poco
tempo fa sarebbe stata letta come un falso, uno scherzo, una
deformazione, qualunque cosa; oggi esiste, è terribilmente reale, forte
di tutti i presupposti che l’hanno resa possibile. La nostra opinione
pubblica sembra vivere in una condizione di stress post-traumatico che
fa accettare passivamente qualsiasi cosa.
Siamo pronti quindi a tollerare un simile spreco di risorse pubbliche
per uno schieramento di forze delirante, allo scopo di fermare cinque
persone perfettamente reperibili in qualsiasi momento, cinque ragazzi
che avevano compiuto un’azione la cui gravità si equipara al rubare la
merenda a un compagno a scuola, nell’ora di ricreazione. Cinque ragazzi
appena più giovani di me, che ora rischiano di vedere la loro vita
rovinata.
In una città come Milano, in cui è ormai impossibile
nascondere il vergognoso scandalo della penetrazione della criminalità
organizzata nell’edilizia e nei fantomatici lavori per l’Expo, in cui
evidentemente i problemi di illegalità stanno a ben altri livelli,
questo non può e non deve essere reale.
Lo è, invece, e non solo: ci tocca leggere articoli di giornale
spietati come quelli subito comparsi, pronti a trattare questi ragazzi
come soggetti altamente pericolosi, con grande sprezzo del ridicolo.
È ormai evidente che stiamo assistendo a una vera e propria
persecuzione dei giovani, come aveva già osservato qui Valerio
Evangelisti nel suo editoriale Ucciderli da piccoli: anche questo ennesimo episodio non deve essere considerato slegato dagli altri agghiaccianti avvenimenti degli ultimi giorni.
Prima di tutto le circa sessanta denunce partite per i cortei dell’Onda
dello scorso anno. Poi l’assedio sistematico a tutte le forme di
cultura e di aggregazione giovanile, con l’esempio surreale
dell’inaugurazione della cancellata che impedisce l’accesso alla
collinetta davanti al Mom proprio nel giorno del ventennale della
caduta del muro di Berlino (!). Qualsiasi richiesta di spazi viene
negata, prima a parole, e poi da uno sbarramento di manganelli.
Infine
forse il caso più angosciante di tutti, la chiusura del liceo serale
statale Gandhi, fiore all’occhiello della città, i cui studenti sono
stati a loro volta perseguitati, continuamente sgomberati, picchiati e
dispersi, e aspettano in presidio permanente in tenda da due mesi, solo
per rivendicare il proprio diritto allo studio. Il comune ha avuto il
coraggio di mantenere la propria posizione anche dopo la sentenza del
Tar che ha dato ragione agli studenti, bloccando la chiusura della
scuola.
Sempre venerdì 13, di sera, gli studenti hanno provato a occupare per
protesta la sede delle scuole civiche, in via Marsala. Sono stati
sgomberati la mattina dopo, all’alba, dai soliti poliziotti armati fino
ai denti come se dovessero fare irruzione in un covo mafioso. Il video dell’operazione stringe il cuore.
Eppure anche questa realtà è possibile, proprio perché abbiamo imparato
ad accettarla: quella della fiamma ossidrica della polizia che apre la
porta, mentre gli studenti sempre più angosciati cantano in coro con
voce rotta “vogliamo solo studiare”.
Ho scritto questo intervento di getto, pieno di sconcerto e rabbia
per quanto accaduto e per il fatto che quasi nessuno avesse preso
posizione in merito, e proprio ora mentre rileggo il pezzo sto seguendo
la diretta del corteo di oggi, sempre a difesa del liceo Gandhi, in
centro, in cui la polizia ha fermato altri quattro ragazzi e caricato i
manifestanti.
Difficile davvero, di questi tempi, essere giovani a Milano.
Non respiri, e non si tratta solo dei veleni a cui l’aria ti condanna
ogni giorno. Non esiste lo spazio vitale per crescere, agire, fare
proposte culturali proprie. Non esiste un mercato di lavoro capace di
vederti come una risorsa, e non come un pezzo di carne rimpiazzabile in
qualsiasi momento, e fino ad allora sfruttabile a piacere, gratis.
Difficile davvero, resistere alla tentazione di andarsene da un paese
che sa solo sputare su di te. E che ti ripaga così della scelta di
restare, di impegnarti a costruire qualcosa in mezzo a tutto questo
disastro. Rimboccati le maniche, perché sarà dura davvero.