della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Sono le 16.37. In meno di un’ora si
conteranno cinque bombe, due a Milano, tre a Roma. Le indagini, subito
indirizzate verso i circoli anarchici milanesi, in particolar modo si
focalizzano sul circolo di Ponte della Ghisolfa. A essere immediatamente
fermato è Giuseppe Pinelli, ferroviere e anarchico, trattenuto illegalmente
in questura (non essendo il fermo approvato dalla magistratura) che volerà
tre giorni più tardi dalla finestra del quarto piano della questura di
Milano. Pietro Valpreda, anarchico, di professione ballerino, viene
arrestato il 16 dicembre. Il giorno seguente i giornali sbattono il mostro
in prima pagina. Il corriere della sera dichiara a caratteri cubutali :IL
MOSTRO E STATO CATTURATO; il presidente della repubblica Giuseppe Saragat si
congratula col questore di milano per la velocità e l’efficienza con cui è
stato risolto il caso, ma il 15 dicembre ai funerali di stato celebrati al
duomo, oltre al cordoglio dei milanesi, in piazza c’è anche il livore di una
parte della città che non è affatto disposta ad accettare una storia tanto
inverosimile quanto sporca.
Roma 3 maggio 2005. il presidente della seconda sezione penale della
cassazione respinge i ricorsi contro sentenza la della corte d’appello per la strage.
Dal ’69 al 2005 ci sono 36 anni di processi, di tentativi, talvolta anche
goffi, da parte dello stato di occultare, cancellare prove, corrompere super
testimoni, tacere di fronte a irregolarità giudiziarie, liberarsi di una
situazione che ha preso una piega scomoda.
Nel ’69 oltre alla direzione delle indagini, una verità diversa usciva dai volantini stampati di notte e diffusi durante il giorno. I quotidiani si riempiono di una serie di interrogativi scomodi. Come mai la bomba inesplosa fu fatta tanto frettolosamente brillare distruggendo così elementi probatori per risalire all’origine dell’esplosivo?E cos’è successo veramente a Giuseppe Pinelli, visto che le tesi sulla causa della sua morte sono tante e discordanti? Se al livello giudiziario la verità non è mai emersa, quella storica invece è riuscita ad avere una voce forte. Anche i giornali iniziano a crederci: è strage di stato. "Ingiustizia è fatta" scriveva Camilla Cederna su l’espresso nel 1970, riferendosi all’arresto di Valpreda.
Che quello di piazza fontana sia un mistero irrisolvibile, come ha dichiarato recentemente il ministro della difesa Ignazio La Russa, è la posizione comoda per le alte cariche. Ma la strage di piazza fontana non è affatto un mistero.
Quando gli anarchici di ponte della ghisofa accusavano il ministero dell’interno di coprire i colpevoli della strage, non avevano nulla in mano. Saranno le indagini condotte dai giudici Stiz e Salvini a rivelare il collegamento strettissimo fra Servizi segreti e movimenti di estrema destra. Alla fine del 1972 alcuni uomini del Sid intercettano un indagato per concorso, e riescono a farlo espatriare in Spagna. Quando Ventura, indagato numero uno dal processo del ’72, giudicato colpevole e in stato di detenzione nel carcere di Monza, sembra intenzionato a rivelare alcune informazioni sulla strategia della tensione, riesce ad evadere non senza l’aiuto di qualcuno di importante, qualcuno che gli fa avere una chiave per aprire la cella e delle bombolette di gas narcotizzante per neutralizzare le guardie di custodia. Lo stesso Delfo Zorzi, individuato dal giudice Salvini come il primo responsabile, l’ultimo ad essere accusato, risiede attualmente in Giappone, dove porta tranquillamente avanti le sue attività imprenditoriali. Guido Giannettini, legato al Sid da un rapporto di collaborazione, dopo essere stato sospettato di coinvolgimento nella strage, viene indotto ad espatriare in Francia dove continuerà ad essere stipendiato dal Servizio. Ad essere indagati sono anche personaggi che ancor oggi occupano un posto nel panorama politico, quali Pino Rauti, e ad assolverli altri personaggi: Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, indagato insieme a Freda e Ventura, durante le indagini volute dal giudice Stiz, verrà assolto da Gerardo D’ambrosio (attuale senatore del PD), lo stesso della famosa sentenza del "malore attivo" per intenderci. Il 20 ottobre 1972 tre avvisi a procedere , per omissione di atti d’ufficio nelle indagini sulla strage di piazza Fontana, sono inviati al dirigente degli affari riservati del Ministero degli interni, al questore e al capo dell’ufficio politico della questura di Milano, Antonino Allegra. Ai poliziotti, agenti dei servizi segreti, questori, politici viene chiesto di rispondere in tribunale alle pesanti accuse di favoreggiamento, depistaggio, e di avere occultato le prove necessarie a dimostrare la colpevolezza di alcuni esponenti del gruppo nazifascista Ordine Nuovo. La lista degli indagati e dei coinvolti più o meno direttamente è lunga e rappresenta un fiammifero che fa luce su una realtà scabrosa e ci aiuta a inquadrare meglio molti politici che ad oggi ricoprono cariche istiuzionali, Rauti è solo uno di questi, che per il suo totale coinvolgimento in quei fatti viene ricordato.
La Biblioteca Franco Serantini insieme al Laboratorio delle Disobbedienze Rebeldia ha organizzato un’iniziativa per dare voce a chi in quegli anni ha lottato per non fare passare la verità dei più forti. Luciano Lanza, autore del libro "Bombe e segreti. Piazza fontana: una strage senza colpevoli" edito per Elèuthera, frequentatore del circolo anarchico di Ponte della Ghisolfa, e Marcello Pantani, militante di Lotta Continua, si ricordano bene quel giorno e quello successivi e sono testimoni di quanto è avvenuto.
La sentenza definitiva dice "Tutti assolti", è vero, eppure, a quarant’anni dalla strage, possiamo affermare che lo stato italiano quella volta ha perso il controllo della situazione, ha mostrato il fianco; per un attimo "il re è stato nudo".
La verità storica, almeno quella, va difesa da chi non aspetta altro che camuffrae,travisare, manipolare, normalizzare. E così se 40 anni fa era il presidente della repubblica Saragat a complimentarsi pubblicamente per l’anarchico buttato in gattabuia, ora Napolitano fa stringere la mano a due vedove, Licia Rognini e Gemma Capra, sotto le luci di pronti riflettori e giornalisti d’assalto; "tutto è bene quel finisce bene" dice la didascalia invisibile. Ma per fortuna c’è qualcuno che ha ancora qualcosa da aggiungere. Attraverso le parole di Luciano Lanza e di Marcello Pantani rivivono i nomi che troppo spesso sono diventati la stigmatizzazione di un mito e hanno per questo perso la loro componente di realtà, quella stessa in grado di fare urlare di rabbia.
Lanza inizia il suo intervento con delle parole che hanno l’inevitabile effetto di catapultarci in quei panni, e di sentire anche sulle nostre spalle una responsabilità.
Ricordare cosa accadde 40 anni fa significa continuare a salvaguardare la verità storica, per chi non ha accettato i crimini dello stato con il solito fatalismo disarmante, ostacolare l’opera di normalizzazione che avvalendosi dei poteri mediatici attecchisce sempre di più, sperare ancora che un giorno sui libri di storia si possa leggere che il 12 dicembre 1969 lo stato italiano, per mezzo dei suoi servizi segreti e avvalendosi di una solida alleanza con i neofascisti che hanno fatto da manovalanza, uccise 16 dei suoi cittadini e ne ferì 33 per poter giustificare la deriva repressiva e l’inasprimento dei provvedimenti penali . A sovvertire l’ordine fu chi si arroga il diritto di difenderlo. Ma significa anche rendere giustizia a chi li ha vissuti, a chi ha gridato "Il re è nudo!", perchè per loro è ancora storia aperta. Dopotutto per noi il compito è molto più semplice: si tratta solo di scegliere la voce migliore nel fare da passaparola.