Migranti: STATO, CITTADINO, STRANIERO
La dottrina giuridica
per definire il concetto Stato moderno ha scelto di individuare i suoi elementi
costitutivi: il popolo, il territorio ed il governo. Lo Stato, Ente
territoriale, esercita, infatti, la propria potestà di governo in un ambito
spaziale delimitato da confini e primo destinatario di tale potestà è il
popolo, inteso come la collettività presente in modo stabile sul suo territorio.
Tale collettività è
formata dall’ insieme di coloro che vengono definiti cittadini, e dunque dagli individui contraddistinti da uno status
cui è connessa la titolarità di diritti civili e politici di cui l’ ordinamento
garantisce l’ esercizio. Ma la
cittadinanza, in quanto status, è al tempo stesso anche l’ elemento distintivo
rispetto a chi essendone privo, non si inserisce in questo insieme di individui
e cioè rispetto allo straniero.
Potremmo dunque
definire, in senso negativo, lo straniero, come l’ estraneo rispetto alla
collettività dei cittadini e quindi rispetto al popolo.
Agli stranieri devono
però essere riconosciuti comunque quei diritti che seppur non direttamente
sanciti dagli ordinamenti vengono garantiti generalmente a beneficio di
tutti gli uomini indistintamente.
Nel nostro
ordinamento la carta costituzionale sancisce
espressamente soltanto il diritto di
asilo politico( art.10 comma 3Cost.) ed il
divieto di estradizione per reati politici (art.10 comma4).
Tali diritti poichè previsti direttamente
dalla Costituzione dovrebbero operare a prescindere dalla vigenza di leggi ordinarie
che ne disciplinano le condizioni di esercizio.
Vi sono poi quei
diritti che sebbene non direttamente
riconosciuti agli stranieri, si considerano garantiti, in quanto sanciti
generalmente a beneficio di tutti gli uomini e
la lista fortunatamente è più lunga!
Tali si individuano
attraverso un esame combinato degli art 2 e 3 Cost.[1]
In buona sostanza
deve stabilirsi in che modo opera il diritto di eguaglianza sancito dall’
art. 3 della Costituzione ed ovviamente
per definire la questione occorre fare un diretto riferimento a quei diritti
inviolabili dell’ uomo riconosciuti dall’ art 2
a tutti gli esseri umani in modo indistinto.
Ed il diritto di
eguaglianza andrà appunto letto nel senso sono i diritti inviolabili ad essere
riconosciuti tanto ai cittadini italiani che agli stranieri.
La stessa Corte Costituzionale in numerose sentenze ha
espressamente stabilito che “il principio
di eguaglianza sancito ex art. 3 cost. non può essere considerato in modo
isolato ma deve essere interpretato in connessione con l’art.2 cost. che
garantendo i diritti inviolabili dell’ uomo non distingue tra cittadini
italiani e stranieri.. Quindi tale principio può essere implicitamente
richiamato come norma di garanzia dei diritti umani operante anche nei
confronti dello straniero …e rinvia a consuetudini e ad atti internazionali nei
quali la protezione dei diritti fondamentali dello straniero è ampiamente
assicurata” (Corte Cost. sent. n. 120/1967).
Lo stesso art. 2,
comma 1 del T.U. 286/1998 sancisce “Allo
straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono
riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norma di
diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di
diritto internazionale generalmente riconosciuti”.
Ma quali sono nello
specifico tali diritti?
Possiamo senza ombra
di dubbio individuare tra i diritti
fondamentali, il diritto alla vita, alla libertà personale, all’ integrità
fisica, alla libertà religiosa, alla salute, alla libera manifestazione del
pensiero, alla difesa in giudizio, alla presunzione di non colpevolezza, al
divieto della pena capitale, al diritto dovere di istruzione, alla garanzia del
lavoratore, al diritto di sciopero,ed anche al diritto dovere di concorrere
alla spesa pubblica secondo la propria capacità contributiva.
Ma quali di tali
diritti vengono effettivamente garantiti e quanti di loro sono invece costantemente violati?
Nell’ impossibilità
di tracciare un quadro completo delle costanti violazioni dei diritti dei
migranti dovremo limitarci ad
analizzarne alcune tra le più macroscopiche.
ESPULSIONE
AMMINISTRATIVA E LIBERTA’ PERSONALE
La novità più
importante introdotta dalla bossi-fini relativamente al provvedimento di
espulsione è la sua immediata esecutività, anche dove questo sia sottoposto a
impugnativa da parte dell’ interessato.
Nel vecchio testo la
possibilità di accompagnamento immediato dello straniero oltre i confini
nazionali era già prevista anche se non assurgeva ad ipotesi principe.
In entrambi i casi il
diritto di difendersi viene assicurato soltanto per il tramite delle
rappresentanze diplomatiche o consolari dello stato italiano nello stato di
destinazione, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Per cui lo straniero “sospettato”
di essere presente sul territorio italiano in maniera irregolare viene di norma
allontanato con un provvedimento amministrativo e dunque con un provvedimento che non è adottato da un
giudice ma bensì dal prefetto, dal questore ed in casi particolari dallo stesso
Ministro dell’ Interno.
Dovremmo adesso
riflettere su tali dati, per cui non solo un provvedimento che va ad incidere
sulla libertà personale di un soggetto, attraverso il suo immediato
allontanamento dallo stato, non viene preso dall’ autorità giudiziaria, l’
unica che sarebbe realmente competente ad adottarlo, ma la stessa possibilità
per lo straniero di opporsi al provvedimento viene assicurata in modo molto
indiretto e soltanto dopo il suo allontanamento.
Non viene permesso
dunque all’ espulso di esercitare una efficace difesa, né di poter partecipare
al contraddittorio, cioè di poter spiegare personalmente le proprie ragioni .
Questo ove il
provvedimento di espulsione viene emanato indipendentemente dalla commissione
di reati da parte dello straniero, nella maggior parte dei casi infatti ad
essere criminalizzata è la sola
migrazione, in maniera completamente indipendente dalla condotta tenuta dal
soggetto sul territorio dello stato che decide di allontanarlo.
E questo in una
situazione in cui risulta impossibile per il cittadino straniero regolarizzarsi
dentro il territorio.
Ovvero siamo davanti
alla criminalizzazione massima di una condotta per cui chi entra irregolarmente
in Italia, anche se in possesso di un lavoro,
di un alloggio e magari di un discreto reddito non può regolarizzarsi[2],
e può venire allontanato dal territorio nazionale con un semplice provvedimento
amministrativo.
POSSIBILITA’ DI
CONCORRERRE ALLA SPESA PUBBLICA SECONDO LA PROPRIA CAPACITA’ CONTRIBUTIVA
Concorre alla spesa
pubblica potrebbe aiutare il migrante a sentirsi parte attiva dello stato che
lo sta ospitando, potrebbe dunque favorire la sua integrazione e d’altronde
potrebbe anche aiutare numerosi cittadini italiani a percepire il migrante come
una risorsa e non più come un peso, ma perché è così difficile che questo si
realizzi?
Sia la Turco Napoletano che la Bossi fini hanno previsto come strumento principe
per l’ ingresso in italia di cittadini stranieri quelli che con il linguaggio
comune vengono indicati con il termine di Flussi, entrambi i testi normativi
sembrano voler individuare infatti come principio informatore della normativa
in materia di immigrazione l’ effettivo svolgimento da parte dello straniero di
un’ attività.
Nella pratica il
Presidente del consiglio dei ministri , tenuto conto dei rapporti provenienti
dalle regioni sul fabbisogno di manonera determina annualmente le quote
numeriche di stranieri da ammettere sul territorio nazionale per lavoro
subordinato, lavoro stagionale e per lavoro autonomo.
I vari legislatori succedutisi allo scopo di rendere la programmazione dei
flussi il più possibile corrispondente alle reali esigenze del mercato del
lavoro hanno previsto che le chiamate annuali venissero predisposte in base ai
dati sulla effettiva richiesta di lavoro suddivisa per regioni e per bacini
provinciali di utenza.
La normativa in
vigore prevede che il datore di lavoro, italiano o straniero se regolarmente
soggiornante, che intenda instaurare in italia un rapporto di lavoro con uno
straniero residente all’ estero, deve presentare all’ ufficio competente (
sportello unico) una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, ovvero deve
richiedere il signor Tizio, che ancora risiede nel proprio paese di origine
come lavoratore da assumere. La richiesta, che deve essere corredata da
una complessa documentazione, il datore
di lavoro, ad esempio, dovrà assicurare al lavoratore una idonea sistemazione
alloggiativi, nonché le eventuali spese per il rientro nel paese di
provenienza, dovrà rientrare nei limiti numerici, quantitativi e qualitativi
determinati dal decreto flussi ovvero essendo state preventivamente stabilite
dal presidente del consiglio le quote numeriche di ingressi permessi, non
verranno accettate tutte quelle richieste che seppure regolari non rientrano
nei limiti numerici stabiliti.
Qualcuno potrebbe intendere
questo come un segno di civiltà, bene, analizziamolo.
Potremmo insinuare un
primo dubbio pensando ad un datore di lavoro, magari una vecchia signora che
abbisogna di una badante che per questo chiama la signorina Tizia, che abita
magari in Romania, senza averla mai vista,e quindi le garantisce alloggio,rimpatrio e
tutta una serie di altre cosette. La realtà è
sempre ben diversa, la signorina tizia ben conosce la signora , lavora
per lei ormai da qualche anno e lavora con tanta dedizione che la vecchia
simpatica signora, magari anche un po’ per egoismo personale per evitarle una
probabile espulsione decide di regolarizzarla. Si mette adesso in moto tutto
quel sistema burocratico prima descritto con il fior fiore dei migliori intenti
la signora e tizia aspettano l’ uscita del decreto che stabilisce le quote di
ingresso si rivolgono ad un’ associazione o magari anche ad un avvocato per
compilare il modulo( è praticamente impossibile compilarlo senza una minima
esperienza) ed aspettano speranzose che la loro domanda rientri tra le prime
fortunate (peccato che le famose quote si esauriscano nella prima mezzora a
fronte di lunghe file notturne).
Qual’ è il risultato?
Il risultato è che
priviamo la maggioranza dei cittadini stranieri che ci chiedono di essere regolarizzati,
che ci chiedono di poter emergere dal lavoro nero, che ci chiedono dunque in
sostanza di poter contribuire alla nostra spese pubblica secondo la loro
capacità contributiva di farlo. Perché?
Forse perché la legge
sull’ immigrazione è una legge da campagna elettorale che gioca su paure
costruite ad arte e serve solo ad ingraziarsi una determinata parte di
elettorato.
In conclusione vorrei
che riflettessimo sull’ importanza estrema riveste il lavoro, perché se è vero
che questo spinge lo straniero ad emigrare per migliorare la propria dimensione
personale , il suo esercizio se fatto in modo regolare è fattore di
legittimazione sociale, di convivenza, di integrazione e di accesso ai diritti
afferenti alla sfera civile e sociale. Il lavoro ed il rispetto delle regole
che lo disciplinano, è quindi il principale elemento di integrazione in un
nuovo paese, lo strumento che consente allo straniero di acquistare visibilità
e riconoscimento sociale.
Dove pensate poi che
rimangano tutti quei lavoratori a cui non permettiamo i legalizzarsi?
Ovviamente rimangono
ad ingrossare le fila del lavoro nero.
[1] Art.
2 Cost. La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’ uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’
adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale.
Art.
3 Cost. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del paese.
[2] Attualmente lo strumento
principe per l’ ingresso in Italia di stranieri
regolari è dato dal “Contratto di
soggiorno per motivi di lavoro” ovvero dalla possibilità per il lavoratore
straniero di essere chiamato a svolgere un determinato lavoro da un datore di
lavoro cittadino italiano o regolarmente
soggiornante sul territorio italiano. La possibilità di effettuare tale
chiamata si ripete ogni anno ma per quote numeriche stabilite.
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