Iran: femministe condannate per “disturbo all’ordine pubblico”

Volevano gli stessi diritti degli uomini, in tema di divorzio, custodia dei figli ed eredità. Ora rischiano la frusta e il carcere. Per le femministe Massoumeh Zia e Marzieh Morteza Langheroudi l’accusa è di "disturbo dell’ordine pubblico". La condanna – confermata oggi in via definitiva dal Tribunale rivoluzionario di Teheran – è di 35 frustate e 1 anno di carcere per Zia e di 10 frustate e una reclusione di 6 mesi per Langheroudi.
 
Ma l’esecuzione della condanna è sospesa a un termine condizionale.
Langheroudi, 55 anni, dovrà stare attenta a non "sgarrare" per i prossimi due anni, se non vuole andare incontro all’umiliazione della punizione corporale e alla durezza del carcere. La sua compagna di lotta, la 31enne Zia dovrà comportarsi bene per cinque anni. Certo, non sarà semplice "rigar dritto". Infatti, in concreto, le donne hanno semplicemente fatto un po’ di volantinaggio.
 
Hanno cercato di raccogliere firme, hanno espresso un dissenso e scritto articoli femministi sul Web. Hanno chiesto, insomma, di non essere considerate inferiori.
La più giovane, Zia, fu arrestata durante un corteo nel giugno del 2006, insieme ad altre 70 attiviste. Langheroudi, è stata arrestata con altre 30 donne quando, poco dopo, si riunirono sotto al tribunale per chiedere la liberazione delle amiche. Si prese la condanna a un anno di carcere anche un uomo, Amir Yaqoubali, per aver manifestato al fianco delle femministe.
 
La campagna che ha visto incarcerare dozzine di donne si chiamava "un milione di firme". Con le adesioni raccolte (in Iran, ma anche all’estero) le donne avrebbero chiesto l’abolizione delle norme discriminatorie nei loro confronti per quel che riguarda matrimonio, divorzio, custodia dei figli ed eredità.
Ma la repressione del regime contro le donne si fa sempre più violenta. La leader delle femministe, la 21enne Hana Abdi, è detenuta in una provincia sperduta dell’Azerbagijan orientale, colpevole di "complotto contro la sicurezza dello Stato". È attesa la sentenza definitiva, ma questa nuova sentenza non è certo un segnale incoraggiante.

Ma si tratta solo dell’ultimo caso di repressioni delle istanze femminili a Teheran,
in un regime all’interno del quale le donne contano meno di zero,
private di diritti che a noi sembrano elementari. Se ogni tanto sembra
che qualcosa si smuova, la strada da fare è ancora molto lunga. Negli
ultimi due anni nel Paese di Ahmadinejad  il movimento
“Un
milione di firme” è vivo e attivo, vede la partecipazione di numerose donne di
qualsiasi estrazione sociale. L’obiettivo è quello di attirare
l’attenzione internazionale sui soprusi e le discriminazioni che giorno
dopo giorno vengono messe in atto nei confronti delle donne in Iran.

Fino ad ora la lotta sembra ad armi impari, eppure queste donne
coraggiose non perdono la speranza che i cosiddetti potenti del mondo
smettano di interessarsi solamente al prezzo del greggio e si
concentrino finalmente su una cosa che un prezzo non ce l’ha: la
dignità e la vita delle donne, in Iran e in tutto il mondo.

Tra i mille soprusi e repressioni, nello scorso gennaio, ‘Zanan’ (Donne), la principale
pubblicazione femminile/femminista iraniana, fu chiusa per ordinanza
di un tribunale iraniano. La rivista, fondata 16 anni fa e diretta fino
ad allora da Shahla Sherkat, è stata per anni un punto di riferimento per
le donne iraniane e la difesa dei loro diritti.

Pur trattando temi estremamente delicati come i crimini d’onore, il
commercio sessuale e le violenze domestiche, fino ad allora Zanan era riuscita a
evitare la censura del regime. Shahla Sherkat, la direttrice, è stata negli anni portavoce della
resistenza delle donne musulmane alle imposizioni della gerarchia
religiosa che ha voluto imporre una visione maschilista della società,
limitante nelle libertà individuali e di genere. (notizia tratta da pinkblog.it)

Questa voce è stata pubblicata in Questione di genere. Contrassegna il permalink.