domeniche si ferma lungo le rive del fiume Eufrate per pescare. Anche
ieri, Akram, era seduto sull’argine del grande fiume con lo sguardo
rivolto a est, verso il confine con il vicinissimo Iraq.
Nell’edificio, quello in costruzione, c’erano delle persone, civili, come ha riferito il governo di Damasco. Tra queste, la moglie del guardiano dell’edificio che adesso si trova in ospedale, intubata. “Due elicotteri sono atterrati e gli altri due sono rimasti a mezz’aria”. Lei li ha visti bene, ha avuto più tempo di Akram. E i soldati, venuti fuori dagli elicotteri, erano otto. “Ho cominciato a correre per raggiungere i miei bambini, per metterli in salvo”, ha detto la donna all’inviato dell’Ap. Perché c’erano anche dei bambini all’interno dell’edificio e alla fine, quando si è fatta la conta delle vittime, tra gli otto corpi rimasti a terra c’erano quelli di quattro bambini.
Il raid oltre confine. Da Damasco la reazione è stata durissima. Reem Haddad, portavoce del ministero dell’Informazione, ha riferito all’emittente panaraba Al-Jazeera che senz’altro ci sarà una reazione da parte della Siria, che non mancherà una risposta alla “grave aggressione” portata sul loro suolo da parte statunitense. Secondo quanto riferito dalla tv di stato, ieri pomeriggio, alle 4 e 45 locali, quattro elicotteri Usa, provenienti dall’Iraq, hanno invaso lo spazio aereo siriano e attaccato un edificio in costruzione nel villaggio di Sukariya, non lontano dalla cittadina di Abukamal, a soli otto chilometri dal confine iracheno e dalla cittadina di Qaim. Solo la settimana scorsa i vertici americani in Iraq avevano accusato Damasco di disinteressarsi del controllo del confine diventato un vero è proprio incrocio per passaggio di armi e di terroristi legati ad Al-Qaeda.
Covo di terroristi? Sebbene dal comando Usa
non sia arrivata nessuna comunicazione ufficiale in merito al raid compiuto
ieri, una fonte militare, rimasta anonima per ovvi motivi, ha confermato la
notizia affermando che l’attacco era mirato a spezzare la rete di al-Qaeda che
opera oltre confine. “Abbiamo preso noi la situazione in mano”, ha detto
l’ufficiale. Il colonnello Chris Hughes, portavoce delle forze Usa dispiegate
nell’Iraq occidentale, ha detto che “le unità impegnate in quella zona non sono
responsabili dei fatti di domenica pomeriggio”. Il governo ha convocato gli
inviati statunitensi e iracheni a Damasco per avere spiegazioni. Soprattutto,
si chiede a Baghdad di prendere una posizione e di opporsi a che il suo
territorio diventi base di attacco per la Siria. Oltre che di
una grave violazione del diritto internazionale, si tratta di una violazione
anche dei principi che ispirano il Patto di Sicurezza (Sofa) in corso di approvazione
tra Baghdad e Washington dato che uno dei punti prevede il divieto di attaccare
i paesi confinanti. Se è vero che la
Siria rappresenta ancora il principale crocevia per
l’afflusso della guerriglia dal nord Africa all’Iraq, restano difficili da capire
le motivazioni di un attacco lampo a un edificio, che sembrerebbe un edificio
qualunque, lontano dal poter essere considerato covo di contrabbandieri o
affiliati di al-Qaeda.
In questo quadro bisogna ricordare l’avvicinamento tra Siria e Libano. Lo "stato canaglia" di Bush, aprirà una sede diplomatica in Libano e viceversa il presidente libanese Fuad Siniora andra a Damasco.
Il presidente siriano Bashar
al-Assad ha firmato il 14 ottobre un documento, con il quale vengono aperte, per la
prima volta dagli Anni ’40, relazioni diplomatiche tra Damasco e Beirut. Il
decreto n. 358/2008 è il sigillo tanto richiesto dai politici anti-siriani in
Libano che mette il riconoscimento della sovranità libanese da parte della
Siria definitivamente fuori discussione. Lo storico decreto. I quattro
articoli del provvedimento legislativo stabiliscono, brevemente, “l’apertura di
rapporti diplomatici tra la
Repubblica Araba Siriana e la Repubblica Libanese”
e “la creazione di un’ambasciata nella capitale libanese”. Anche se non è stata
indicata una data precisa dalla quale sarà operativa una missione diplomatica
nel Paese dei Cedri, un funzionario del ministero degli Esteri ha rivelato
all’agenzia Afp che entro fine anno tutto sarà pronto.
Le tappe dell’avvicinamento. Già
a Parigi, in occasione del vertice dell’Unione per il Mediterraneo del 12
luglio, Michel Suleiman e Bashar al-Assad si mostrarono favorevoli a uno
scambio di ambasciatori e all’instaurazione di rapporti diplomatici tra il
Libano e la Siria. I
due ne parlarono in presenza del capo di Stato francese Nicolas Sarkozy e
dell’emiro del Qatar Ahmad Ben Khalifa Al Thani. Successivamente, ad agosto,
nel corso di una visita lampo del presidente Suleiman a Damasco, le due parti
misero sul tavolo della discussione la demarcazione certa e definitiva dei
confini tra le due nazioni e la questione dei prigionieri libanesi scomparsi in
Siria.
Le origini della tensione. Damasco
ha sempre avuto una forte influenza su Beirut e, di fatto, non ha mai smesso di
considerare il paese costiero parte integrante della Grande Siria. Le ragioni
vanno individuate nella spartizione a tavolino dell’Impero Ottomano da parte di
Francia e Gran Bretagna nel 1917, quando il Bilad al Sham, la grande provincia
siriana, fu smembrata e il Libano fu ridisegnato in maniera ben più estesa,
rispetto a quanto non fosse in precedenza la vecchia provincia montagnosa.
Tanto la Siria
quanto il Libano divennero Mandato Francese. Dalla loro indipendenza, 1943 per
il Libano, 1946 per la Siria,
non ci sono mai stati rapporti. Quando nel 1975 scoppiò la guerra civile
libanese Damasco si preoccupò di inviare il suo esercito nel Paese dei Cedri
per prevenire pericolose derive radicali prima, filo-israeliane poi e infine le
forti influenze occidentali, nel corso del biennio 1982-1984. La presenza
dell’esercito siriano in Libano si è protratta per 29 anni, fino al 2005. Ma
anche dopo il ritiro delle forze militari, Damasco ha potuto sempre contare su una
solida presenza di sostenitori filo-siriani, primi fra tutti i membri di
Hezbollah.
(peacereporter.net)