Nuove norme restrittive per i richiedenti d’asilo ed i ricongiungimenti familiari. Dal 5 novembre è entrato in vigore, dopo la pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale n. 247 del 21 ottobre 2008, il decreto legislativo n. 160
del 3 ottobre 2008 che modifica le disposizioni del T.U sull’immigrazione. (art
29).
La norma modifica il precedente decreto legislativo n. 5 dell’ 8 gennaio 2007
che dava attuazione alla Direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003 relativa al
diritto di ricongiungimento familiare dell’Unione Europea.
Proprio il recepimento della direttiva dell’Unione Europea, attraverso il il
decreto legislativo n. 5, aveva portato a modifiche della normativa adottata
con la legge Bossi-Fini e ad una parziale semplificazione delle procedure di
ricongiunzione familiare.
Un passo indietro rispetto alle modifiche introdotte nel 2007 è rappresentato
proprio dall’introduzione di questo decreto legislativo n.160 che, di fatto,
ripristina le condizioni previste inizialmente dalla legge Bossi-Fini e per
certi aspetti appesantisce ulteriormente la situazione.
Ricordiamo che il ricongiungimento familiare è riconosciuto anche dal diritto
internazionale e che può essere anche regolato dalla legge nazionale
che però, ha un relativo margine di manovra. Vedremo in particolare, rispetto
alle disposizioni contenute nella direttiva n. 86 del 2003 dell’Unione Europea,
come si possa mettere in discussione quanto ora disposto, proprio in relazione
alle difformità tra i principi stabiliti dalla direttiva e le condizioni ora
stabilite da questo nuovo decreto legislativo.
Il decreto va a modificare le condizioni, i requisiti, e anche la
procedura per l’autorizzazione all’ingresso per motivi di ricongiungimento
familiare.
Il reddito
L’elemento più rilevante, che comporta una serie di modifiche rispetto alla
prassi ed alle condizioni finora in vigore, è quello che riguarda i parametri
di reddito, ovvero il reddito che deve essere dimostrato dal lavoratore o dalla
lavoratrice che già risiedono in Italia, con regolare permesso di soggiorno, ed
intendono avvalersi del diritto al ricongiungimento familiare.
I parametri finora in vigore prevedevano la capacità di dimostrare un reddito
non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale nel caso di ricongiunzione
di un familiare, di un importo doppio nel caso di ricongiunzione con due o tre
familiari, del triplo per quattro o più familiari, senza distinzione tra
coniugi, figli e genitori a carico.
Ora invece (va sottolineato che rispetto all’impostazione originaria
del disegno del decreto legislativo, gli appesantimenti dei requisiti si sono
ridotti) il parametro di riferimento prevede che, il beneficiario della
ricongiunzione familiare, debba dimostrare di possedere un reddito minimo annuo,
derivante da fonti lecite, non inferiore all’importo annuo dell’assegno
sociale, aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale, per ogni
familiare da ricongiungere.
Andrà quindi preso in considerazione l’importo annuo dell’assegno sociale,
attualmente di 5.142,67 euro( reddito minimo che deve possedere il
diretto interessato per vivere in Italia), aumentato di 2.571,33
euro per ogni componente del nucleo familiare da ricongiungere.
Per esempio, per un nucleo familiare di tre persone, il marito, che vuole
ricongiungersi alla moglie e ad un figlio, dovrà dimostrare un reddito pari
all’importo annuo dell’assegno sociale, ovvero 5.142,67 euro, più due volte la
sua metà (2.571,33 euro), quindi 10.285,34. Per un nucleo di quattro familiari
invece, per esempio nel caso di un marito che vuole ricongiungersi con la
moglie e due figli, si dovrà dimostrare il possesso di un reddito derivante da
fonti lecite pari a minimo 12.856,67 euro (5.142,67 + 2.571,33 x 3). Se invece
si trattasse della ricongiunzione di quattro familiari, dovremo aggiungere
altri 2.571,33 euro, per un totale di 15.427,99 euro.
I punti più critici quindi, quelli che determinano sostanziali
differenze con il passato, sono quelli relativi alla ricongiunzione di un
familiare e di tre familiari, per i quali, rispetto al passato, c’è un aumento
del reddito da dimostrare di 2.571,33 euro.
Va poi precisato che, nell’ambito delle modifiche introdotto al
Testo Unico sull’immigrazione, nel decreto è contenuta una deroga alle
disposizioni enunciate in precedenza. Si specifica che, per il ricongiungimento
di due o più figli di età inferiore ad anni 14, oppure per il ricongiungimento
di due o più familiare da parte di una persona in possesso dello stato di
protezione sussidiaria, è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al
doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale.
Nel caso in cui vi siano più figli di età inferiore a 14 anni ed altri di età
superiore, andrà aggiunta all’importo doppio dell’assegno sociale, la metà
dell’importo annuo dell’assegno per ogni altro figlio non inferiore ai 14 anni
(es: 5.142,67 x 2 + 2.571,33 per ogni figlio con più di 14 anni) .
I figli maggiorenni
Per i figli maggiorenni, in base a quanto disposto dal Decreto Legislativo n.
160, si richiede il possesso del requisito dell’impossibilità di provvedere alle proprie
indispensabili esigenze di vita derivante da una condizione di invalidità
totale.
Ciò che è stato modificato rispetto alla normativa previgente è che, non si
richiede una invalidità tale da non consentire un autosufficienza economica, ma
un’invalidità comunque totale, al 100%.
Tale limite solleva dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo
della violazione degli obblighi comunitari. L’invalidità totale è una
condizione non prevista dalla Direttiva 2003/86/CE, anche perché, tra l’altro,
il concetto di invalidità totale è di difficile accertamento con riferimento al
paese di provenienza ed è soggetto a discipline e normative diverse tra da
stato e stato.
Nella prassi peraltro, lo ricordiamo, fino ad ora, quando si è trattato di
valutare la possibilità di autorizzare la ricongiunzione di figli maggiorenni
invalidi, questi accertamenti erano demandati al consolato competente per
territorio che, delegando un medico, provvedeva ad effettuare tale
accertamento, con esiti variabili.
D’altra parte, facciamo pure una considerazione di carattere
pratico, non credo che siamo moltissimi i figli maggiorenni che finora hanno
beneficiato della ricongiunzione familiare potendo dimostrare una comunque
grave invalidità, tale da non consentire di provvedere al proprio
sostentamento. Sarebbe interessante ricostruire statisticamente il numero di
beneficiari, ma siamo certi che si tratti di pochissime persone in tutta Italia
e non vediamo perché il legislatore si sia preoccupato in modo cosi accanito di
limitare delle obiettive esigenze di convivenza tra familiari, nel caso di
figli invalidi, ancorché maggiorenni, per ridurne forse di poche unità
l’ingresso.
I coniugi
Per quanto concerne i requisiti riguardanti il coniuge, è ora richiesta l’età
minima di 18 anni.
Secondo l’ordinamento giuridico italiano è possibile contrarre il matrimonio
anche per chi non abbia ancora compiuto 18 anni. In ogni caso, in materia di
normativa sullo stato matrimoniale si applica, e si deve necessariamente farlo,
la legge del paese di provenienza. Questa soglia di limite ora proposta è
palesemente in contrasto con le tradizioni delle popolazioni di molti paesi di
questo mondo.
Inoltre deve essere dimostrato lo status di coniuge non legalmente separato.
Ma questa previsione è piuttosto superflua perché in realtà sono pochissimi i
paesi nel mondo che conoscono la procedura della separazione legale. Nella
grande maggioranza dei casi, esiste solo il divorzio senza la previsione di
alcuna soluzione intermedia. Questa previsione andrà semplicemente ad aggravare
la procedura amministrativa per l’autorizzazione all’ingresso nei confronti
della generalità dei coniugi di cittadini stranieri che, trovandosi all’estero,
intendono beneficiare della ricongiunzione familiare. Dal punto di vista
pratico infatti, munirsi di questa certificazione, richiederne la traduzione e
la legalizzazione presso il Consolato italiano di competenza, comporterà enormi
ed inutili perdite di tempo e naturalmente, di denaro.
I genitori a carico
Per quanto riguarda i genitori a carico sono state ripristinate le norme
restrittive che erano state stabilite dalla legge Bossi-Fini, (n. 189 del
2002).
Si richiede, ora come allora, che i genitori non abbiano altri figli nel paese di
origine, oppure, nel caso in cui siano ultrasessantacinquenni, che gli altri
figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi
di salute. Naturalmente si dovranno fronteggiare, anche in
questo caso, tutti i rischi ed i tempi di attesa connessi alla dimostrazione
burocratica dell’ impossibilità, dettata da gravi motivi di salute, di
provvedere o contribuire al sostentamento dei genitori nel paese di origine. Si
potrebbe dubitare, anche da questo punto di vista, della legittimità di questa
norma, nella misura in cui non garantisce più una corretta e piena attuazione
della normativa europea.
La direttiva 2003/86 dell’Unione Europea, all’art. 4, paragrafo
2, lettera a), prevede la garanzia del diritto alla ricongiunzione familiare in
tutti i casi in cui i genitori a carico, cioè coloro che in tutto o in parte
vivono delle rimesse dell’immigrato che vive regolarmente in Italia, non
dispongano nel loro paese di un adeguato sostegno familiare.
Il fatto di non disporre di un adeguato sostegno familiare, non ha nulla a che
vedere con l’assenza di figli viventi nel paese d’origine e neppure,
necessariamente, che eventuali figli presenti siano gravemente invalidi e non
possano provvedere ad un adeguato sostentamento.
La verifica sulla possibilità di adeguato sostentamento dovrebbe basarsi sulla
valutazione obiettiva delle risorse disponibili, eventualmente delle risorse
disponibili anche da parte degli altri figli che vivono nel paese di
provenienza, ma non certo su una pretesa di un’assenza totale di figli o sulla
presenza di soli figli gravemente invalidi.
I genitori ultrassentacinquenni e la copertura sanitaria
Le limitazione introdotte rispetto ai requisiti per ricongiungere i genitori a
carico sono di notevole portata, ma un’altra disposizione contenuta nelle novità
legislative introduce l’obbligo di iscrivere i genitori ultrasessantacinquenni
al Servizio Sanitario Nazionale attraverso un’ iscrizione volontaria, oppure di
coprire tutti i rischi previsti in materia sanitaria con un’assicurazione
privata.
La norma fa riferimento all’assicurazione sanitaria, o ad altro titolo idoneo a
garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore
dell’ascendente ultra sessantacinquenne, ovvero alla sua iscrizione al Servizio
Sanitario Nazionale previo il pagamento di un contributo il cui importo è da
determinarsi con decreto del Ministero del Lavoro.
Per copertura di tutti i rischi si intende quella tradizionalmente garantita
alle persone iscritte al Servizio Sanitario Nazionale, non quindi riferita alle
sole prestazioni di urgenza, ma anche a tutte le altre prestazioni, anche di
carattere ambulatoriale, che rientrano tra quelle normalmente destinate agli
iscritti al Servizio Sanitario Nazionale.
La norma contenuta nel decreto legislativo 160, anche dal punto
di vista del coordinamento normativo, risulta incompatibile rispetto ad una
norma tuttora vigente per cui non si sono previste né la modifica né
l’abrogazione. Si tratta dell’art. 34, comma 2, del T.U. sull’immigrazione, che
prevede, per i cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti, il
diritto/dovere di iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale e
l’estensione della copertura del Servizio Sanitario Nazionale per il
lavoratore, a tutti i familiari a suo carico, ivi compresi i genitori a carico,
come avviene per i lavoratori italiani e comunitari. Da questo punto di vista,
si è introdotta una discriminazione che non appare compatibile con i principi
stabiliti dalla direttiva comunitaria ed anche con il generale principio di non
discriminazione ribadito dallo stesso Testo Unico sull’immigrazione.
L’esame del DNA
Un’altra specifica disposizione contenuta nel decreto legislativo n. 160 del 3
ottobre 2008 prevede, che, nel caso in cui i legami di parentela richiesti come
requisiti per il ricongiungimento, non possano essere documentati in modo
certo, mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità
straniere, in ragione della mancanza di un’autorità riconosciuta, o comunque
quando sussistano fondati dubbi sulla autenticità della documentazione che
comprova i legami di maternità, paternità e l’età stessa della persona
interessata, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio
di certificazioni, ai sensi di art. 49 del DPR n. 267, sulla base dell’esame del
DNA effettuato a spese degli interessati.
Per la verità, già il regolamento di attuazione del Testo Unico
sull’immigrazione vigente prevede che, in casi simili, il Consolato italiano
possa disporre accertamenti tecnici. Non solo l’esame del DNA, ma anche l’esame
della densitometria ossea che permette di ricostruire l’età del soggetto.
Il fatto di avere introdotto questa ulteriore disposizione serve, più che ad
incrementare le possibilità di verifica da parte dei Consolati italiani tutte
già previste, ad enfatizzare in qualche modo la prevenzione nei confronti dei
beneficiari della ricongiunzione familiare e forse anche a spingere per una
generalizzazione di questi accertamenti anche oltre i casi in cui vi possono
essere dei fondati dubbi.
Non abbiamo motivo di nascondere il timore, già espresso da molti, che le
autorità consolari possano rincorrere, ben oltre i casi che la possono
giustificare, alla prescrizione di questi accertamenti. Il rischio, oltre ai
tempi lunghissimi, che si aggiungono ai già lunghissimi tempi di attesa per una
normale procedura di ricongiunzione familiare, ed alle spese ingenti, è quello
che si mettano in moto prassi per le quali si costringono gli interessati a
fornire delle prove che non sono obiettivamente in grado di fornire.
Ad esempio, l’accertamento in base all’esame del DNA non è facilmente
disponibile in molti dei paesi di provenienza dei migranti e quindi, può
comportare addirittura una migrazione temporanea verso altri stati, solo al
limitato scopo di ottenere e produrre queste certificazioni che potrebbero
essere messe ulteriormente in dubbio. La possibilità dei consolati di dubitare
dell’autenticità della documentazione o delle certificazioni non prevede dei
limiti intrinseci.
A questo riguardo lo stesso garante per la privacy, pur avendo adottato un
parere favorevole alla normativa che sta per entrare in vigore (espresso il 5
giugno 2008), ha ricordato che tale procedura, fondata sull’uso dei test
genetici, deve essere strettamente limitata ai casi in cui l’interessato non
possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli di consanguineità,
in ragione al suo status, ovvero della mancanza di un’autorità riconosciuta, o
della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale. Ha
fatto inoltre presente che non dovrebbero considerarsi indispensabili
trattamenti di dati genetici effettuati nonostante la disponibilità di
procedure alternative, che non comportano questo trattamento di dati sensibili.
La disposizione è figlia della cosiddetta “lgge Sarkozy” del 20 novembre 2007.
L’ uso di test genetici però, in Francia, è stato sottoposto a strette misure
di garanzia, limitandolo a situazioni di inesistenza dell’atto di stato civile,
ovvero all’esistenza di seri dubbi sull’autenticità e comunque sottoponendo la
prescrizione di test genetici al via libera dell’autorità giudiziaria ed
escludendo che i test possano riguardare l’accertamento della paternità. Questo
è un aspetto che può riguardare la delicatezza dei rapporti all’interno della
famiglia e quindi effettuare un’ ingerenza nella vita coniugale che va ben
oltre le esigenze di controllo connesse alla procedura di autorizzazione alla
ricongiunzione familiare.
I 180 giorni per il rilascio del nulla osta
Il termine per la consegna del nulla osta per il ricongiungimento familiare,
finora previsto nella durata massima di 90 giorni, trascorso il quale,
teoricamente, gli interessati avrebbero potuto, in mancanza di un riscontro da
parte dello Sportello Unico, rivolgersi direttamente al Consolato italiano per
il rilascio del visto d’ingresso, è stato spostato a 180 giorni.
La durata effettiva dei procedimenti di ricongiunzione familiare è mediamente
di gran lunga superiore in tutto il territorio nazionale, anche perché, la
procedura di inoltro attraverso il sistema informatico, introdotta lo scorso 11
aprile 2008, non ha comportato un sostanziale restringimento dei tempi di
attesa, ancora lunghissimi.
L’incidenza delle nuove norme sulle pratiche pendenti
Le pratiche in attesa di convocazione, quelle per le quali è stata già disposta
la convocazione ma non ancora il rilascio del nulla osta, quelle per le quali è
già stato rilasciata il nulla osta ma ancora non è stato rilasciato il visto
d’ingresso da parte della competente rappresentanza consolare, dovranno fare
riferimento al principio del tempus regit actum, principio generale
sancito dalla giurisprudenza prevalente per il quale, se la legge cambia mentre
il procedimento è ancora in corso, la decisione finale deve essere assunta in
base a quanto prevede la nuova normativa. La modifica delle condizioni di legge
non può incidere sulle posizioni giuridiche già acquisite ma può incidere sulle
posizioni giuridiche non ancora definite.
Nel caso di un procedimento di ricongiunzione familiare, peraltro complesso e diviso
in due macro fasi, quella del rilascio del nulla osta e quella del rilascio del
visto, i
nuovi parametri richiesti per poter esercitare il diritto della ricongiunzione
familiare non potranno essere applicati se il nulla osta ed il visto sono già
stati rilasciati dalle autorità competenti.
Per esempio, per quanto riguarda le condizioni più restrittive imposte al
ricongiungimento con i genitori a carico, con i coniugi minorenni o con figli
maggiorenni (le questioni sono state oggetto di modifica da parte della nuova
normativa) potranno essere disposti provvedimenti di rifiuto del visto,
nonostante il nulla osta sia già stato rilasciato, perché la verifica di tali
requisiti coincide con gli accertamenti per il rilascio del visto d’ingresso.
Le modifiche normative invece non dovrebbero avere (il condizionale è d’obbligo
perché non possiamo certo escludere che vi possono essere incidenti di
percorso), nessuna conseguenza per chi ha già ottenuto sia il nulla osta che il
visto. In questo caso si tratta semplicemente di utilizzare il visto d’ingresso
presentandosi sul territorio italiano e richiedendo entro otto giorni
lavorativi il permesso di soggiorno.
Sulla questione interviene poi anche l’introduzione della nuova
procedura telematica. Infatti, il decorre del silenzio/assenso oggi stabilito
in 180 giorni, viene calcolato dal momento della convocazione presso lo
Sportello Unico per la verifica dei requisiti e non dalla data di presentazione
della domanda.
Da questo possiamo dedurre che:
le istanze per le quali
non è ancora avvenuto il rilascio del nulla osta dovranno sottostare alla
verifica dei nuovi requisiti;
Le istanze per le quali è
già stato rilasciato il nulla osta ma non il visto d’ingresso, saranno
sottoposte alla verifica dei requisiti soggettivi (legami di parentela, altri
vincoli) determinati dalla nuova normativa, ma non dovranno rispondere ai nuovi
parametri (reddito, alloggio, titolo di soggiorno);
le istanze per le quali
sono già stati rilasciati il nulla osta ed il visto d’ingresso, proseguiranno
il loro iter senza la verifica dei nuovi requisiti.
Per i procedimenti di ricongiunzione familiare si applica la
legge del momento in cui viene compiuto l’atto e non la legge del momento in
cui viene avviato il procedimento.
Una domanda particolare, che peraltro può avere interesse per una casistica
purtroppo assai ampia è, cosa succeda se, nel corso del procedimento, per
esempio, il figlio diventa maggiorenne e se quindi viene a mancare il requisito
della minore età ai fini della ricongiunzione familiare. Dovremo anche a questo
riguardo tenere presente il termine di durata del procedimento. E’ vero che non
si tratta di un termine perentorio, nel senso che nessuna sanzione si può
applicare nei confronti dell’amministrazione se non adotta il provvedimento,
anche senza colpa, nei termini previsti. Ma è anche vero che il superamento di
questo termine non può essere addebitato al diretto interessato, ovvero al
beneficiario della ricongiunzione familiare. Dovremmo quindi immaginare che,
nel caso in cui la maggiore età non si compia all’interno del termine previsto
della legge per la conclusione del procedimento, oggi stabilito in 180 giorni,
ma solo successivamente, non si dovrebbe far pagare al beneficiario un’
inefficienza della pubblica amministrazione. Vi sarebbe titolo quindi per
tentare con un’azione davanti al tribunale competente per territorio, in base
all’art. 30 del Testo Unico sull’immigrazione, per ottenere un provvedimento
che accerti, anche in questo caso, il diritto a perfezionare la procedura della
ricongiunzione familiare. In alternativa potrebbe essere richiesto, come è
capitato in altri casi di lungaggini burocratiche, un risarcimento di danni per
un danno procurato dall’amministrazione sia al beneficiario che al richiedente.
a cura dell’ Avv. Marco Paggi
(meltingpot.org)