Duecentomila persone per dire no alla base di Vicenza
Una piazza infinita contro il progetto di costruzione della base Dal Molin
A Vicenza non erano certamente abituati a vedere sfilare un numero così grande di persone. Soprattutto nel momento in cui a chiederselo era una cittadinanza enorme, diversa, che ha espresso in duecentomila modi diversi il suo rifiuto della guerra, materializzato nella fattispecie nella contrarietà alla costruzione della base Dal Molin di Vicenza.
Un serpente lunghissimo è partito dalla stazione, guidato dai comitati che da giorni hanno costruito un presidio permanente davanti alla futura base, sul modello praticato con successo dai valsusini impegnati nella lotta contro i cantieri dell’alta velocità.
Dietro c’erano tutti gli altri: oltre alla già ricordata massiccia presenza cittadina, sfilavano lo spezzone dei centri sociali venuti da tutta Italia e, più in fondo, i partiti che da sempre sono stati presenti a questi cortei (Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi).
Il movimento, in un appello alla partecipazione al corteo, aveva chiesto ai partiti di governo di sfilare senza bandiere. È successo esattamente l’opposto: Vicenza era invasa dai colori dei partiti, forse segno di una vicinanza emotiva, ma che sul piano politico ha avuto ben altre conseguenze, come hanno dimostrato le svolte dei vari Giordano, Pecoraro Scanio, Diliberto dopo lo smacco del voto sul rifinanziamento della guerra in Afghanistan e i conseguenti famosi “dodici punti” di Prodi.
Dalla Toscana arrivavano moltissimi pullman, un furgone e un treno a testimoniare solidarietà e a ricordare la questione Camp Darby, la seconda base americana più grande d’Europa, oggetto di un progetto di allargamento di cui si discute da anni, che prevede anche il dragaggio del canale dei Navicelli, troppo stretto per il transito di due navi contemporaneamente.
Il corteo è terminato dopo un lungo anello, che ha coperto buona parte della città per la gioia dei piedi dei manifestanti. Sul palco, alla fine, nessun politico, ma Dario Fo a dare spettacolo.
Non è facile dire se questa manifestazione potrebbe segnare l’inizio di un nuovo movimento contro la guerra. Sei anni fa, all’alba degli scontri che tuttora proseguono in Iraq, il movimento no war era un’altra cosa, che è andata affievolendosi con gli anni, fatta spesso di contraddizioni insanabili fra le varie “anime” del movimento.
Oggi la campagna contro il Dal Molin si fa testimonianza: la lotta sfronda davvero le differenze, stimola anzi la partecipazione e la lotta, ribadisce la tenace distanza dei politici italiani dalla politica. Speriamo che duri.