Dibattito
su ergastolo e funzione della pena, organizzato dall’Associazione di
volontariato in carcere “Controluce” (Pisa) – 23 Novembre 2007, ore 21.00, Casa
dello studente Fascetti, P.zza dei Cavalieri 6 Pisa
Del carcere non si parla mai. Anzi, se ne
tace molto volentieri, così come da sempre accade per tutte le istituzioni
totali, cioè quei nonluoghi di cui il
potere si serve per allontanare tutti coloro che rappresentano un cattivo
esempio per gli altri membri della società e che rappresentano un pericolo per
la sopravvivenza del sistema stesso.
Parlandone, o facendo luce su quello che veramente è il carcere e come si vive
al suo interno, potrebbe infatti svelare la tremenda violenza quotidiana su cui
le democrazie si reggono, potrebbe farci capire i paradossi di questa società,
potrebbe mettere in evidenza che nel carcere vigono gli stessi principi di
controllo e repressione che regolano la vita degli individui in “apparente”
stato di libertà. E’ per questo che risulta interessante che un’Associazione
che in carcere ci entra, riporti all’esterno, con un incontro pubblico, uno dei
tanti nodi che investono il sistema punitivo attuale. Il dibattito vedrà
presenti il Prof. Vincenzo Ruggieri (Docente di Sociologia, Università di Pisa
e Middlesex University, Londra) come relatore introduttivo alla questione della
funzione della pena e in particolare sulla misura dell’ergastolo; Giuliano
Capecchi (Ass. Pantagruel, volontariato in carcere, Firenze); il Sen. Giovanni
Russo Spena (Rifondazione Comunista), firmatario della proposta di legge per
l’abolizione dell’ergastolo; esponenti di altre associazioni di volontariato in
carcere.
“Fine pena: mai”. E’ questo il titolo
dell’iniziativa. E’ questo il nome in gergo burocratico dell’ergastolo, la pena
detentiva più grave nell’attuale sistema penale italiano: consiste nella
privazione della libertà personale per tutta la durata della vita, con
l’obbligo del lavoro e dell’isolamento notturno. Tuttavia, il carattere di
perpetuità di tale pena è, in teoria, mitigato dalla possibilità concessa al
condannato di essere ammesso alla libertà condizionale dopo avere scontato
26 anni, qualora ne venga ritenuto attendibilmente provato il ravvedimento.
Tale limite è ulteriormente eroso dalle riduzioni previste per buona condotta,
grazie alle quali vengono eliminati 45 giorni ogni sei mesi di reclusione
subiti. D’altro canto la riforma penitenziaria del 1986 ha contribuito a
rimodellare i contenuti dell’ergastolo anche al di là dei profili che attengono
alla liberazione condizionale: ha consentito infatti che il condannato
all’ergastolo possa essere ammesso, dopo l’espiazione di almeno 10 anni di
pena, ai permessi premio, nonché, dopo 20 anni, alla semilibertà.
Quanto queste “alternative” siano poi effettivamente utilizzate è ben altra
cosa. Il carattere teoricamente perpetuo della condanna pone gravi problemi di
compatibilità con l’art. 27 comma 3 della Costituzione – “Le pene […] devono
tendere alla rieducazione del condannato” – ripetutamente poste all’attenzione
della Corte Costituzionale che le ha sempre respinte sull’assunto che “funzione
e fine della pena non sia solo il riadattamento dei delinquenti” e che la pena
dell’ergastolo, come si è detto sopra, “non riveste più i caratteri della
perpetuità”. Lasciando ai giuristi il dibattito sul fronte minimale della cosa
e sulle possibili attenuanti dell’atroce misura, resta il fatto che l’ergastolo
è – nelle parole di Vincenzo, un ergastolano conosciuto dall’Associazione
Controluce – “disumano,
illegittimo, inaccettabile nella misura in cui rende l’uomo schiavo,
realizzando, di fatto, un’ipotesi di servitù coatta, legittimata in nome di una
pretesa superiore ed inviolabile ragion di stato”. Durante l’iniziativa del 23
Novembre verranno letti alcuni scritti di Vincenzo, nei quali egli ha posto in
essere un parallelo tra ergastolo e pena di morte, definendo il primo una
“morte lenta”, ben peggiore di una fine certa, se questa tanto va attesa in
carcere.
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