Life Is Now: call center e precarietà

Life Is Now. Lo sanno
bene Soprattutto i 914 lavoratori che Vodafone ha venduto, nell’ambito della
cessione del ramo d’azienda relativo al recupero crediti e servizio clienti,
alla più piccola e sconosciuta Comdata. E non si tratta solo di lavoratori
precari o a tempo determinato, ma anche di persone che da molti anni prestano
servizio in Vodafone con contratti a tempo indeterminato, e che adesso si
ritrovano privi delle garanzie che derivavano loro dal fatto di lavorare per un
colosso della telefonia mobile capace di fatturare ogni anno qualcosa come 5
miliardi di euro. Perché proprio questo è il punto. Se è vero che formalmente
le tipologie di contratto non cambieranno nel passaggio da Vodafone a Comdata,
quello che cambia, e che spaventa molto questi lavoratori, è la capacità della
nuova azienda di garantire i livelli occupazionali attuali, dal momento che
stiamo parlando di un’azienda, non solo molto più piccola, ma che lavora sulle
commesse che riesce ad ottenere dalle aziende più grandi e i cui ricavi sono,
pertanto, assicurati solo fino alla scadenza delle commesse attualmente in
atto.

Senza contare che Vodafone, come molte altre aziende oggigiorno,
insiste molto sul coinvolgimento dei propri dipendenti all’interno di un
progetto che li veda protagonisti del successo dell’azienda stessa. Tanto che
molti di questi lavoratori finiscono per crederci, e per cedere alla logica
aziendale della “grande famiglia” per la quale tutti devono remare nella stessa
direzione per il conseguimento del bene comune. E’ facile immaginare la
delusione che sopraggiunge quando la grande famiglia li mette alla porta.   

Per queste ragioni, i dipendenti Vodafone si sono organizzati
per opporsi unitariamente alla vendita del ramo d’azienda, rivendicando il diritto
a mantenere il loro rapporto di lavoro con Vodafone, anche in virtù degli
ottimi risultati ottenuti nel corso degli ultimi anni. Ci sono state numerose
iniziative di confronto e di protesta nei confronti dell’azienda, sia di natura
spontanea sia coordinate dalle rappresentanze sindacali di base, che lasciavano
intravedere la possibilità di una chiara e unitaria presa di posizione dei
lavoratori contro le politiche aziendali.

Questa visione comune del problema è venuta a mancare nel
momento in cui i sindacati confederali hanno impostato il livello della
trattativa con Vodafone (chiusa nell’arco di una giornata) non sul terreno del
rifiuto della cessione del ramo di azienda a Comdata, ma su quello della tutela
delle garanzie contrattuali e del livello occupazionale sul breve periodo (3
anni). A questa scelta ha corrisposto il tentativo, da parte del sindacato, di
compattare l’opinione dei lavoratori a favore di questo livello di trattativa,
che comportava la rinuncia a lottare contro la cessione del ramo d’azienda.
Questo è stato fatto non solo con la legittima propaganda sindacale, ma anche
ventilando la minaccia che se fosse saltato il tavolo delle trattative, le
conseguenze sarebbero state disastrose per i lavoratori stessi, con
licenziamenti nell’arco di 18 mesi. In questo modo, il sindacato ha finito per
sostituirsi all’azienda stessa nelle trattative con i lavoratori in lotta.

Grazie alla “potenza di fuoco” della propaganda dei sindacati
confederali nei luoghi di lavoro, questo tentativo è risultato complessivamente
vincente (da segnalare le importanti eccezioni di Roma e Bologna, dove le
assemblee dei lavoratori non hanno dato mandato di rappresentanza agli organi
sindacali confederali). Infatti, più del 57% dei dipendenti ha approvato la
proposta sindacale nell’ambito delle consultazioni interne promosse dai
sindacati medesimi.

Il risultato di questa operazione è quello di aver creato un
precedente pericoloso, legittimando qualsiasi azienda a cedere comparti
aziendali, anche molto produttivi, senza dover rendere conto ai propri
dipendenti di scelte che riguardano la loro vita.

A questo proposito, dobbiamo ricordare che, se è vero che la
cessione di comparti aziendali è sempre stata prevista nella legislazione, essa
è stata resa molto più facile dalla legge 30 sul mercato del lavoro, che ha
reso possibile la cessione di comparti non dotati di autonomia produttiva. La
situazione è talmente paradossale che può accadere, ad esempio, che due persone
che prima lavoravano nello stesso ufficio si ritrovino, dopo la cessione, a
lavorare per due aziende diverse.

In
conclusione, il caso Vodafone è un chiaro esempio di come il progressivo
espandersi del precariato all’interno del mondo del lavoro (e i call centers
sono, anche nell’immaginario collettivo, luoghi simbolo del lavoro precario)
riduca la possibilità di condurre vertenze collettive da parte dei lavoratori, i
quali si ritrovano a vivere in una dimensione lavorativa sempre più atomizzata,
prigionieri di una realtà che fomenta la competizione esasperata tra loro stessi
anestetizzando qualsiasi conflittualità nei confronti del datore di lavoro. In
questo contesto, il sindacato si dimostra incapace di rappresentare gli
interessi dei lavoratori, e in particolar modo dei lavoratori precari o
atipici, che non godono delle garanzie previste dai contratti nazionali del
lavoro, e che vedono costantemente ridimensionare la portata delle loro
rivendicazioni in nome di una realpolitik concertativa che svende diritti in
cambio di piccole e precarie tutele.

 



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