Parlare di carcere. Ascoltare la società.

Muovere una critica all’ergastolo è solo una
parte della questione più ampia della messa in discussione della pena detentiva
in quanto tale e dell’istituzione carceraria. Questa spinosa questione dovrebbe
essere affrontata andando oltre un riesame del contesto attuale di gestione
della cosiddetta criminalità, nell’ottica che il carcere è la
cristallizzazione, il risultato, di diverse strategie di più gruppi di potere,
che hanno potuto decidere l’inviolabile confine tra legalità e illegalità,
devianza e normalità. Per trasformare davvero il sistema penale è necessario
ripensare i postulati logici che lo hanno fatto nascere, iniziando col decriminalizzare una serie di atti o
comportamenti attualmente ritenuti intollerabili e dunque da escludere, per
passare poi a mettere in discussione la società tutta, i suoi valori, i suoi
principi, i suoi rapporti di potere.

Per comprendere che il crimine è
arbitrariamente creato dalle stesse persone che poi lo puniscono, che sono poi
le stesse che creano quelle disuguaglianze e quelle ingiustizie che conducono
una sempre più ampia fascia di popolazione a compiere certi atti. Dal momento
che l’obiettivo del carcere – correggere per rieducare – fallisce, lasciando
spazio all’effetto opposto – la riproduzione di “delinquenza” -, potremmo
giungere alla conclusione che l’effetto
viene organizzato e razionalizzato in nuovi fini.
L’istituzione penale, dunque, fabbrica una categoria di individui che fanno
circuito con essa; come scrive Michel Foucault, “la prigione richiama
incessantemente gli stessi”, costituendo a poco a poco una popolazione
marginale di cui si serve per fare pressione sulle “irregolarità” o “illegalità”
che non si possono tollerare. “Produzione” di delinquenza quindi come strumento
di controllo ed esercizio di potere sui corpi, questo è il punto di partenza
per rielaborare il sistema punitivo vigente, per capire da dove viene la
singolare pretesa di rinchiudere per correggere e per tentare di modificarla –
a lungo termine, eliminandola, e, a breve termine, rendendola meno brutale e
vana per coloro che devono sottoporvisi.
Il carcere cambierà davvero solo quando esisterà una società che liberi dalla
necessità di esso, che liberi dal carcere tutti e tutte, in un’ottica di
risoluzione delle situazioni-problemi che sia tutta interna alla società
stessa. Parlare di carcere per ascoltare la società appunto. E ricomporla nella
sua interezza.

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