dell’Ateneo pisano ha ratificato il bilancio approvato dal Consiglio d’Amministrazione
una settimana fa. Questo bilancio, pur tra cifre e tabelle incomprensibili ai
più, dimostra chiaramente il volto più arrogante dell’autonomia finanziaria: in
un’università azienda non c’è spazio per i diritti dei lavoratori e delle
lavoratrici e per la garanzia di servizi agli studenti. L’obiettivo primario,
da raggiungere ad ogni costo, è far quadrare il bilancio, cercando di non
scardinare i privilegi concessi negli anni ai poteri forti.
È normale, dunque, che questo bilancio contenga tagli
a tutti i servizi, dal servizio bibliotecario, ai fondi per il lavoro a tempo
determinato, a quelli per la ricerca e la didattica, mentre l’unica voce che
gode di un incremento del budget è quella per l’edilizia dei dipartimenti
(punto nodale della campagna di consenso del rettore).
La novità è che, per la prima volta, un bilancio così
sfrontato e incurante nei confronti dei diritti di chi vive e fa funzionare
l’università, ha avuto anche un unico, ma importantissimo effetto positivo:
quello di creare una convergenza tra le rivendicazioni degli studenti e quelle
dei lavoratori.
Ieri mattina un gruppo di studenti, appartenenti a
vari collettivi, si è trovato di fronte al rettorato, mentre si svolgeva la
seduta del Senato, proprio per contestare i bilancio che si stava approvando.
Questo presidio si è infoltito, fino a raggiungere le 60-70 persone, quando
agli studenti si sono uniti i lavoratori tecnici-amministrativi
dell’Università, che proprio per quella mattina si erano convocati in assemblea
sindacale per discutere del bilancio.
In Senato si sono letti i documenti prodotti dagli
studenti e dall’assemblea dei lavoratori, ovviamente senza che questi venissero
presi nella dovuta considerazione. Ma l’elemento positivo è stato che, a
seguito del presidio, studenti e lavoratori si sono riuniti in un’unica
assemblea per elaborare un percorso comune di mobilitazione. A fronte di
proposte “a ribasso”, seppur non prive di senso, dei sindacalisti (come “spalmare”
equamente i tagli al fondo per il tempo determinato tra tecnici-amministrativi
e ricercatori e docenti a contratto), l’assemblea è riuscita ad allargare la
sua analisi da un’ottica vertenziale ad un’ottica di critica all’intera
gestione dell’ateneo, da portare avanti attraverso l’unione e la compattezza di
tutti i settori che compongono l’università.
Si è parlato in particolare delle gravissime
conseguenze portate dall’autonomia finanziaria, in primis dal tetto del 90% nel
rapporto tra Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) e spese per il personale.
Tra le responsabilità attribuite alla gestione ministeriale, si è sottolineato
ovviamente anche il punto nodale della costante diminuzione dei fondi per le
università che, paradossalmente, non riescono a dare una copertura finanziaria
a quegli adeguamenti salariali che pure sono decisi dal potere centrale.
L’assemblea ha sottolineato, tuttavia, anche le
responsabilità della gestione politica dell’ateneo degli ultimi anni: ci sono
infatti numerose università in Italia che riescono a mantenersi ben al di sotto
del tetto del 90%. Un dato rilevante a questo proposito è che Pisa ha un numero
di docenti ordinari (in assoluto, non in percentuale) di gran lunga superiore a
quello di molti atenei di dimensioni maggiori.
Per quanto riguarda nello specifico il bilancio di
quest’anno i punti più contestati sono stati innanzitutto il taglio dei fondi
per il tempo determinato che in alcune situazioni, porterà necessariamente a
non rinnovare i contratti, in altre porterà ad un sostanzioso peggioramento di
quei contratti (si parla di passaggi della percentuale di part-time dall’83% al
55%). La maggior parte dei lavoratori (tutti di età compresa tra i 30 e i 50),
sarà costretta ad accettare questi contratti peggiorativi, pur di conservare
un’attività lavorativa che per alcuni, di rinnovo in rinnovo, dura addirittura
da 10 anni. Accetterà nella speranza di una futura stabilizzazione che però,
date le posizioni prese dalla CRUI e dal ministro Mussi proprio in questi
giorni, alla vigilia della Finanziaria, sembrano ormai un sogno lontano.
Un altro punto che l’assemblea ha reputato gravissimo
è stato quello della mancanza nel bilancio di fondi per la sostituzione per
maternità, che creerà un grave elemento discriminatorio per le lavoratrici
precarie, che si sentiranno rivolgere (e non da uno scaltro imprenditore, ma da
un dirigente di un ente pubblico) la classica domanda: “Ma lei non avrà mica
intenzione di fare dei figli?”.
La partecipazione attiva degli studenti in questa
assemblea non ha portato una semplice solidarietà ai lavoratori, ma ha espresso
la totale condivisione della critica radicale alla gestione politica dell’università
che grava pesantemente anche sugli studenti, sia perché porta ad un
peggioramento dei servizi a fronte di un costante aumento delle tasse, sia
perché gli studenti saranno futuri precari o, in larga parte, lo sono già.
Per questo dall’assemblea è emersa la necessità forte
e viscerale di intraprendere un percorso di lotta che superi l’estrema
frammentazione introdotta in ambito lavorativo, ma anche studentesco, dalla
precarietà e, dal basso, porti avanti una critica all’intero sistema università.
Il primo passo di questo percorso è stato già individuato nella produzione di
un documento comune (creato da studenti, precari tecnici-amministrativi e
precari della ricerca e della didattica) da portare al convegno sui saperi
umanistici al quale venerdì 7 dicembre interverranno il ministro Mussi e il
sottosegretario Modica.
L’assemblea ha inoltre deciso di riunirsi nuovamente
lunedì 10 per gettare le basi di un percorso che porti ad una mobilitazione più
ampia possibile nell’Ateneo e che si concretizzi in iniziative di piazza e
blocchi dei servizi.
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