Soltanto in un paese marcio e mitridatizzato dalle fondamenta qualcuno può accogliere
l’ordinanza dei giudici di Santa Maria Capua Vetere su Mastella & famiglia con
alzate di spalle, «Così fan tutti», «Embè, dove sta il reato?».
Passi per Mastella
e per la sua corte, passi per il suo avvocato il quale teorizza addirittura che
il compito della politica è occupare tutto l’occupabile: imputati e difensori
si difendono come possono, hanno persino (almeno in Italia) il diritto di mentire.
Ma che pure persone non coinvolte nell’affare liquidino i fatti narrati nell’ordinanza
come ordinaria amministrazione rientrante nella «discrezionalità della politica»
senza che la magistratura possa mettervi becco, lascia di stucco.
È vero, il clamore suscitato dall’inchiesta faceva pensare a elementi ancor
più gravi (in quel caso il gip avrebbe usato la galera, non i domiciliari): ma
solo l’assuefazione al peggio può far dire che non c’è nulla di «penalmente rilevante».
Mastella ripete di non aver «mai preso tangenti in vita mia», come se questo
bastasse a metterlo al riparo dal codice penale.
In realtà esistono, nel codice, svariati reati che non richiedono passaggi di
denaro. Le mazzette, nel «sistema» denunciato in Campania, sono superflue: è
tutto uno scambio di favori «in natura». Io ti mando in quel posto e ti lascio
licenza di rubare: un po’ come i corsari di sir Francis Drake, autorizzati dalla
Regina a tenersi il bottino. Insomma un conto sono le esigenze cautelari, giudicate
in un modo dal Gip e suscettibili di diversa analisi al Riesame e in Cassazione,
un altro la rilevanza penale. L’ordinanza parla di «concorsi pubblici vinti
non dai candidati meritevoli, ma esclusivamente da quelli sponsorizzati da Camilleri
(Carlo, imprenditore, consuocero di Mastella e presidente dell’Autorità di bacino
del Sele, ndr) e dal suo partito», con «falsificazione delle graduatorie». Se
la cosa fosse provata, sarebbe abuso d’ufficio, il reato di chi viola leggi o
regolamenti per procurare ad altri ingiusto danno o vantaggio.
Nel sistema sannita le tangenti non servono. È tutto uno scambio di favori tra
amministratori
Il gip parla di cause «aggiustate» al Tar e al Consiglio di Stato, tramite giudici
compiacenti: pure questo, se provato, è reato. La giustizia, anche amministrativa,
dev’essere uguale per tutti. Anche per i non-Udeur.
L’ordinanza racconta di primari «nominati dai direttori generali dell’Asl non
in base a capacità professionali, ma di indicazioni fomite da esponenti Udeur»
(«noi non teniamo un ginecologo?», domanda il ministro quando viene nominato
il fratello di un forzista). Idem per le nomine di 11 direttori dei parchi e
di 5 collaboratori fissi dell’Arpac. Se è così, anche questi sono abusi d’ufficio;
leggi e regolamenti stabiliscono che, per fare il primario (o altra funzione
pubblica) occorrono requisiti precisi, cioè competenze professionali, dalle quali
parrebbe esclusa la tessera dell’Udeur. Il direttore pressato dai Mastella, Luigi
Annunziata, spiega che «l’ospedale già sta male e le persone che stanno intorno
a Clemente sono tutti peggio di me» e lui non può abbassare ancora il livello
dei primari sistemando il neurochirurgo della signora Mastella, «uno sconosciuto
che tiene 56 anni».
A Cerreto Sannita, Mastella reclama l’assessorato ai lavori pubblici e, per far
pressione sul sindaco, incarica – secondo l’accusa – i suoi uomini in Regione
per chiudere il rubinetto dei finanziamenti al piano d’insediamento produttivo
nel comune. Se è così, questa potrebbe essere concussione: il reato del pubblico
ufficiale che abusa della sua qualità o funzione per costringere o indurre qualcuno
a dargli o promettergli «denaro o altra utilità» (un posto chiave, per esempio).
Ma c’è una complicazione, tutta italiana: la giurisprudenza nostrana ha stabilito
che, se la contropartita ottenuta dal pubblico ufficiale con le sue minacce è
un provvedimento votato in consiglio regionale, i consiglieri che l’han votato
non sono punibili (come i parlamentari, immuni per i «voti dati»: una giurisprudenza
«domestica» che contrasta con la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio
d’Europa, che punisce anche chi vota in un certo modo in cambio di soldi o di
favori).
Se invece la contropartita non è frutto di un voto in Regione, ma di una normale
azione amministrativa, allora il discorso cambia: se i finanziamenti a Cerreto
erano fissati per legge e sono stati bloccati in attesa della nomina dell’assessore,
chi li ha bloccati può aver commesso abuso d’ufficio, od omissione di atti d’ufficio,
o concussione in caso di minacce.
Più arduo sarà dimostrare la concussione di Mastella ai danni di Bassolino: ti
boicotto la giunta se non nomini chi voglio io allo Iacp di Benevento. Il boicottaggio
della giunta sarebbe avvenuto tramite assessori e consiglieri che gli votavano
contro o disertavano le sedute, cioè con attività che – almeno in Italia – sono
ritenute insindacabili, cioè immuni. Se però fosse provato che, per premere, fu
addirittura sciolto indebitamente l’Asl di Benevento per far designare a commissario
un fan di Mastella, l’abuso e la concussione sarebbero teoricamente configurabili.
Ps. Tutto ciò avveniva nel Casertano, la provincia più avvelenata dall’emergenza
rifiuti. Ma non risultano telefonate di Mastella & C. per minacciare qualcuno
affinchè rimuovesse il pattume (eppure l’Udeur ha l’assessore regionale all’Ambiente).
Tutto rientrava nella «discrezionalità della politica», tranne la monnezza.
Marco Travaglio – da L’Unitò del 18 gennaio
2007
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