Pisa
– In Toscana secondo uno studio irpet di inizio anno, la precarieà non è più
congiunturale, ma è diventata strutturale al
sistema produttivo. Oggi,
nella Toscana che ha raggiunto il minimo storico della disoccupazione (3,6%),
il 78,8 per cento di chi inizia a lavorare ha un contratto atipico. Che non
diventa un trampolino di lancio per cambiare e crescere. Meno della metà (48%)
di chi aveva un contratto flessibile nel 2000 ha trovato un posto fisso nel
2006 e chi lo ha fatto era in maggioranza maschio, giovane e con un´istruzione
di mezzo: né poca, ma ancora meno tanta. Se alla fine si è radicato nel mondo
del lavoro il 61% degli uomini, solo il 42% delle donne l´ha spuntata. Ancora
più invischiate nella precarietà se meno giovani: solo il 43% degli oltre 35
anni si è stabilizzato, contro il 51% dei più giovani. La laurea in tasca più
che un´opportunità sembra quasi diventare un impiccio. Tra il 2000 e il 2006 è
riuscito a trasformare il lavoro atipico in fisso il 53% dei diplomati, il 46%
di chi non ha un titolo di studio e il 43% dei laureati, traditi dal sogno di
insistere pur di trovare alla fine un impiego in sintonia con quanto hanno
studiato. Intanto il salario arriva al massimo a 900 euro al mese, gli orari
sono i peggiori e non escludono neanche il week end.
Sono i dati di un´inquietante ricerca sulla flessibilità in
Toscana condotta da Francesca Giovani per l´Irpet su incarico della Regione e
presentata ieri, oltre che dalla ricercatrice, dal presidente Irpet Franco
Gussoni e l´assessore al lavoro toscano, Gianfranco Simoncini. E´ la prima
indagine in Italia di tipo «longitudinale». Che cioè non registra solo il
fenomeno, ma lo studia nell´evolversi degli anni. In una Toscana in cui i
lavoratori atipici sono 172.000 (135.000 a termine e 37.000 collaboratori), ovvero
l´11,2% della forza lavoro, l´Irpet ha seguito due volte, attraverso interviste
telefoniche fatte con metodo Cati, il percorso di vita lavorativa dei precari.
Prima, ha intervistato 1.800 precari tra il 2000 e il 2004, poi, nel febbraio
del 2006, 900 persone nella stessa condizione tra il 2000 e il 2006. Per
scoprire che, se già nell´arco di quattro anni la situazione era immobile,
ancora più lo è diventata nell´arco dei sei. Se nel 2004 il 42% degli
intervistati si era stabilizzato, con una progressione evidentemente di 10
punti percentuali l´anno, nel 2006 sono il 48%: la percentuale è cresciuta di
sei punti in due anni, dunque non più di 10, ma di 3 punti l´anno. Se nel 2004,
l´11% dei precari assunti quattro anni prima era restato senza lavoro, nel 2006
si sale al 14%.
Non è uguale in tutta la Toscana. Se tra il 2000 e il 2006 a Firenze si
stabilizza il 58% degli intervistati, a Santa Croce sull´Arno e nel Mugello il
51%, a Follonica il 58%, a Rosignano il 29%. Diversa la sorte anche a seconda
dell´attività. Nell´industria passa al posto fisso la metà dei precari, nel
commercio meno del 30%, nei servizi alla persone il 22%, negli alberghi e nei
ristoranti il 321%. Il guaio è che nessuno la sceglie questa strada. E se
magari all´inizio c´è euforia – ho trovato lavoro e per di più in modo
abbastanza libero – presto libertà e incertezza si trasformano in angoscia. Il
primo anno i lavoratori atipici che confessano di esserlo non per scelta ma per
mancanza di alternativa sono il 54%, dopo quattro anni diventano il 61%.
Passati sei anni, è la quasi totalità: l´82% dice di essere flessibile per
forza e non per scelta. Non intravedono possibilità diverse per il futuro, si
vedono senza pensione da vecchi, cominciano a avere paura e perdere entusiasmo.
Delusione del presente, poca fiducia nel futuro. Si avvia secondo l´Irpet una
pericolosa spirale di «malessere sociale» in cui viene frustrato ogni stimolo a
intraprendere e affermarsi.
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