sulla rivista Aut&Aut (mensile dell’Anci) del mese di febbraio in cui
emerge la "criticità" della situazione legata al diritto alla casa dei migranti.
Quello dell’accesso alla casa
costituisce l’aspetto forse più critico dell’inserimento sociale degli
immigrati, da loro stessi avvertito come questione assolutamente centrale (a
Firenze, secondo una ricerca di Ires Toscana del 2003 quasi la metà degli
intervistati la pone come prioritaria, ancora più della disponibilità di
un’occupazione lavorativa). Nonostante la varietà di condizioni, il dato
generale è infatti quello di un massiccio coinvolgimento dei migranti in situazioni
di disagio e di esclusione abitativa. Secondo il Censis (Censis, 2004), dei
circa due milioni e mezzo di stranieri in Italia, più di un quinto versa in
condizioni di sovraffollamento, il 40% circa ha una condizione abitativa
precaria, non più della metà vive in affitto e solo lo 0,8% dispone di una casa
di proprietà, mentre un quarto risulta ospite e infine il 5% dimora presso una
struttura di accoglienza. Una persistente precarietà, dunque, che caratterizza
in particolare l’inizio del percorso migratorio e, anche nelle fasi successive,
le componenti più deboli e quelle più recenti dell’immigrazione. Ma quali sono
i fattori che distinguono la domanda abitativa degli immigrati dal resto della
domanda? Innanzitutto la permanenza di forme di discriminazione: dai pregiudizi
che portano i proprietari a non affittare a stranieri, alla speculazione per
cui si affitta a immigrati ma a condizioni per loro sfavorevoli. Secondo
un’indagine nazionale del Sunia e Ancab-Legacoop, l’assenza di contratto di
affitto riguarderebbe il 37% degli immigrati intervistati. A Firenze un report
del Sunia ha segnalato che, tra le circa 5500 persone che avevano ricevuto
consulenze di vario tipo su posizioni contrattuali irregolari, il 30% è di
origine immigrata. Varie indagini fanno pensare a una vera e propria
strutturazione in senso “etnico” del mercato privato: potenti filtri da parte
delle agenzie immobiliari, destinazione agli immigrati di spazi inadeguati da
un punto di vista dell’abitabilità e dell’igienicità, richieste di canoni esosi
e fuori mercato che gli immigrati possono sostenere soltanto tollerando forme
più o meno pesanti di convivenza multifamiliare e/o di sovraffollamento
(Fondazione Michelucci, 2000 e 2004). Elementi critici, a cui vanno ad
aggiungersi la non equità dei requisiti di accesso all’Erp e all’edilizia
sociale (in particolare la nuova formulazione dell’art. 40 della L. 289/2002
prescrive la necessità di disporre, per partecipare ai bandi per le case
popolari, di una carta di soggiorno o del permesso di soggiorno di durata
almeno biennale – vale a dire, disporre di un contratto di lavoro a tempo
indeterminato), la scarsa possibilità di accesso a forme di credito di molti
stranieri, i limiti delle politiche di accoglienza, gli svantaggi legati alla
legislazione sull’immigrazione.