Jayyus: Momenti di tensione con i militari israeliani.

Palestina, Jayyus_La carovana si sveglia alle 8.00 e dopo una colazione improvvisata, parte subito con una giornata densa di dibattiti e workshop.

Il primo incontro è con Il movimento “Stop the wall”.Il relatore arriva con al seguito un gruppetto di internazionali di lingua francese per cui la traduzione è tripla (inglese, francese, italiano).

Molto chiara la situazione e molto diretto l’interlocutore che snocciola dati indicativi sulla situazione che il popolo palestinese subisce.

Dal 1967 gli arresti tra le fila palestinesi da parte degli israeliani è di 800.000 persone e solo dal 2000 ad oggi se ne contano 45.000.

In questo momento nelle carceri si trovano 11.000 palestinesi tra cui 44 membri del parlamento dell’Anp. I martiri della causa palestinesi sono all’incirca 4.000.

800 sono i dollari che compongono il reddito annuo dei palestinesi contro i 20-24 mila (l’anno) degli israeliani. Considerando che sono gli stessi i prodotti che consumano, si capisce il grave squilibrio che porta questa situazione.

 325 tra cui 22 bambini sono stati uccisi da Annapolis ad oggi, alla faccia della conferenza di Pace.

Lo stato di assedio è caratterizzato da 562 check point dislocati su tutto il territorio palestinese.

Gli israeliani hanno aumentato gli insediamenti di 11 volte a partire dal 2004, il numero dei coloni è arrivato a contare circa 460.000 e più di 200.000 solo nell’area di Gerusalemme.

Il 6% della West Bank è ricoperta praticamente da israeliani insediati lì come usurpatori e quello che più è insopportabile è che detengono l’80% delle risorse idriche del paese di cui si appropriano con veri e propri furti, infatti non è un caso notare per le strade della Palestina molte pompe d’acqua tinte da colori israeliani (bianche e azzurre) recintate e fortificate, con cui gli israeliani attingono dalle falde acquifere palestinesi.

A Gaza la situazione è insostenibile, l’87% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno (sotto la cosiddetta soglia di povertà), durante l’assedio degli ultimi mesi, 130 i morti palestinesi e 400 i feriti di cui 187 non sono riusciti ad avere cure mediche.

Questo è sicuramente il vero motivo per cui la carovana non è riuscita ad entrare in quei territori, il solo vedere le condizioni in cui sono costretti a vivere i palestinesi in quella zona farebbe troppo scalpore.

Nella West Bank sotto i due euro al giorno si afferma il 70% della popolazione.

In molti dei villaggi visitati specie quelli a ridosso del muro il tasso di disoccupazione si attesta intorno al 75 %.

Nell’intenzioni di Israele, il relatore di Stop the Wall, sembra leggere la volontà di dividere la Palestina in 4 piccoli cantoni che verranno poi ulteriormente divisi.

Viene illustrato cosa in definitiva i palestinesi chiedono:

-il ritorno dei profughi

-l’indipendenza

-gerusalemme capitale

-gestione delle loro risorse idriche

Israele sta invece continuando a rubare l’acqua e continua nell’opera di “ebraizzazione” di Gerusalemme, vedi il distacco attraverso il muro di alcuni distretti palestinesi come Abu Dis (visitata ieri dalla carovana) dalla municipalità di Gerusalemme.

Il paradosso è che le richieste palestinesi vengono riconosciute da due risoluzioni dell’ONU, la 194 e la 189, ma questo non basta, così come non sono bastate le altre circa 260 risoluzioni ONU, a bloccare l’avanzata israeliana e la costruzione di un muro (dichiarato illegale a livello internazionale) simbolo dello stato di Apartheid  che si vive in quei territori.

Dopo la carrellata di dati, il relatore porge un invito ai partecipanti della carovana: "non vi chiediamo cose complicate, ma di giudicare per quello che vedete non per quello che avete sentito dire. Da ora siete ambasciatori della situazione palestinese".

Viene poi illustrata la campagna di boicottaggio che Stop the Wall sta portando avanti.

Questa consiste in un impegno da parte di tutti al livello internazionale a boicottare tutti i prodotti israeliani, sia in campo economico che culturale, in modo da mandare un messaggio forte ai rappresentanti del governo e della politica d’Apartheid israeliana.

Finita la conferenza andiamo a visitare la "porta" meridionale che limita l’accesso ai campi degli ulivi e alle coltivazioni.

Qui il muro non hanno ancora finito di costruirlo, per adesso rimane una rete elettrificata con filo spinato e due porte, una meridionale e una settentrionale, che vengono aperte (non sempre) in alcuni momenti della giornate, di solito tre volte con un’apertura che non dura più di un’ ora.

Lo spettacolo e’ impressionante e una volta toccata la rete, grazie ad alcuni sensori, i militari impiegano 3 minuti per arrivare armati di tutto punto.

Ai piedi della rete, c’è una terra particolare che permette all’esercito di poter tracciare ed identificare ogni passaggio, sia esso a piedi o con un mezzo.

Il destino di questo villaggio e’ simile a quello di coloro che hanno visto in questi anni costruirsi intorno un muro ed essere cacciati dai campi coltivati, prima risorsa economica degli abitanti della zona. Sorprende come una zona ricca di alberi di olivi non riesca a sfamare una intera popolazione e tutto questo grazie alle "politiche" di apertura e chiusura di quelle porte che una volta li portava nei "loro" campi.
Dopo la visita incontriamo il sindaco di Jayuss. 

Nel pomeriggio la carovana si reca alla "porta" settentrionale dell’enorme paese, lì succede qualcosa.

Arriviamo con al seguito molti bambini con età compresa tra i 9 e i 12 anni, uno sciame che incomincia a tirare pietre verso le reti e verso la porta che comunque è chiusa e deserta.

Arrivano immediatamente i militari che lanciano alcuni lacrimogeni, aprono la porta ed entrano dentro il villaggio.

I compagni si trovano a dover difendere i bambini che si danno alla fuga, perché sono essi le prede dei militari armati di mitra e fucili.

Viene afferrata la nostra guida del villaggio senza nessun motivo se non quello di aver rivolto parola agli israeliani dicendo che eravamo in pace e non stava succedendo niente, per fortuna uno dei compagni è riuscito a riprenderlo immediatamente impedendo ai militari di portarselo via.

Prima di andarsene ci avvertono che d’ora in avanti spareranno a chiunque provi ad avvicinarsi a 200 metri dalla rete.

La giornata continua con gli emozionanti workshop per bambini con i giocolieri da una parte e di un incontro tra le compagne e le donne della comunita’ di Jayyus, protagoniste della lotta contro il taglio degli ulivi da parte degli israeliani nei campi palestinesi.

Da registrare l’ennesima sconfitta della squadra maschile di calcio, ma anche questa volta il divertimento sugli spalti è protagonista.

La giornata si conclude con due incontri, il primo con la sezione sportiva del centro che ci parla della squadra di pallavolo, molto forte, ma che rimane penalizzata a causa della scarsa disponibilità di risorse e di strutture da investire nello sport, unico elemento per risollevare il morale dei giovani costretti sotto costante assedio.

Il secondo incontro si svolge con gli studenti universitari, che raccontano la difficoltà nel frequentare gli studi data da  l’impossibilità di muoversi agevolmente per andare in facoltà, grazie al check point di Qualqilya.

Questo ricade sia sulla vera e propria possibilità di terminare gli studi, sia sul rendimento che risulta molto scarso visto che non sempre si riesce ad arrivare alle lezioni o a dare gli esami.
È finalmente l’ora di andare a letto, la carovana si risveglierà per dirigersi verso Qualqiliy, una città completamente circondata dal muro e bloccata da un check point per entrare.

 

 

 

 

 

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