Pisa,
9-04-08. Con un iniziativa intitolata “Oh mio corpo, fai sempre di me una
persona che interroga!”, frase tratta da un testo di Frantz Fanon, giunge al
termine il ciclo dedicato alla figura del grande intellettuale militante
intitolato “Dalla damnatio memoriae alla memoria dei dannati”. Costituito da
iniziative di carattere diverso, che hanno affrontato temi come la condizione
dei migranti all’interno del mercato del lavoro italiano, il fenomeno delle
banlieues, la memoria culturale del colonialismo italiano e il pensiero di
Fanon, il ciclo ha costituito un interessante tentativo di esplorazione dei
dispositivi di controllo e repressione della figura del migrante adottati dalle
società occidentali. Questi dispositivi rimandano spesso a situazioni tipiche
del colonialismo, facendo parlare così di condizione post-coloniale. Da qui
l’interesse per la figura di Frantz Fanon, una persona che ha dedicato la
propria vita non solo ad una costante e spesso scomoda riflessione sul
razzismo, sul colonialismo, sui pregiudizi e sui sistemi di controllo, ma cha
ha lottato attivamente contro questi fenomeni, impegnandosi in prima persona
nella lotta di liberazione algerina. L’incontro di ieri, a cura di Paola Bora e
Rubina Piazzi, è stato incentrato proprio sulla figura di Fanon, che fino a
ieri aveva costituito una sorta di presenza fantasmatica all’interno del ciclo
a lui dedicato, chiamato spesso in causa ma sempre indirettamente,
lateralmente. L’incontro di ieri ha costituito invece un’interessante
esplorazione prima di tutto della biografia di Fanon: Rubina Piazzi, dopo aver
efficacemente descritto le vicende biografiche dell’intellettuale-militante,
mostrando come esse siano già di per sé significative, ha mostrato come esse
siano un elemento imprescindibile per chiunque voglia accostarsi alle opere di
Fanon. Le sue vicende personali costituiscono infatti la base delle sue
riflessioni: lo spaesamento provato dall’intellettuale nel suo trasferimento
dalle Antille alla Francia, il suo impegno come psichiatra al servizio del
governo francese in Algeria, il suo distacco dal proprio ruolo istituzionale
per abbracciare la causa degli algerini, costituiscono altrettanti punti di
partenza di riflessioni che si sono rivelate estremamente proficue in campi
diversi, dall’antipsichiatria italiana alle lotte per l’emancipazione dei neri
americani. L’intervento di Paola Bora ha poi approfondito alcuni aspetti
specifici del pensiero di Fanon, come il concetto di maschera e quello di
identità, legando l’esplorazione di questi concetti al modo in cui essi vengono
trattati all’interno del film Bamboozled, di Spike Lee, proiettato in seguito
all’intervento delle relatrici.
Si
è così concluso un ciclo di iniziative che, oltre a costituire una riflessione
sulla condizione del migrante nella nostra società, ha messo in evidenza come riflettere
sulla condizione del migrante significhi riflettere su di noi, sui nostri
pregiudizi, sulla nostra identità, ma anche su quei meccanismi di controllo che
se sul migrante si abbattono impunemente con una violenza e una forza inaudita,
allo stesso tempo costituiscono spesso gli stessi strumenti con cui il
controllo e lo sfruttamento vengono realizzati ai danni di tutti noi.