”l’ Utopia concreta: esperienze di autogestione” è il titolo dell’ultima delle iniziative promosse dalla biblioteca Franco Serantini e dai comunisti anarchici di Pisa. È proprio da questo apparente ossimoro -“utopia concreta”- che si origina la riflessione: l’utopia, come scriveva Proudhon , è stata per molto tempo un sogno non realizzato, ma non irrealizzabile, e infatti ci sono stati uomini e donne che a questo sogno hanno creduto tenacemente sino a trasformarlo in realtà.
A seguito della proiezione del documentario di Adriano Zecca ”un’utopia di nome Cecilia” prodotto dalla televisione svizzera in lingua italiana, il prof. Mauro Stampacchia (Università di Pisa) nel suo intervento, ha raccontato proprio una di queste esperienze, quella della colonia Cecilia e del suo fondatore. Nel 1890 Giovanni Rossi , veterinario formatosi alla Scuola Normale Superiore di Agraria di Pisa, di stampo socialista e fondatore della sezione dell’Internazionale di Montescudaio, si imbarca da Genova alla volta del Brasile per andare a fondare una colonia autorganizzata e libertaria.
Colonia Cecilia sorge nei pressi della municipalità di Palmeiras, a pochi chilometri dalla capitale Curitiba. La vita difficile di quegli anni non impedisce comunque ai coloni, aumentati a più riprese sino a 240, in maggioranza lombardi e toscani, di realizzare un piccolo villaggio (chiamato naturalmente
“Anarchia”), un mulino con forno annesso, piccoli laboratori artigianali, mentre dall’alto del palmizio sventola la bandiera anarchica rossanera. L’ esperienza di colonia Cecilia si conclude nel 1894 , lasciandoci in eredità un esperimento di collettivizzazione dei beni, di pratica di scambio in un mercato interno non regolato dalla moneta, e di realizzazione del libero amore.
Oggi, passati molti anni da quell’esperienza, non occorre andare così lontano per trovare i luoghi dell’utopia. Ce ne raccontano due Colby e Agostino Manni: rispettivamente lo spazio sociale “Libera di Modena” e “la Comune Urupia” di Francavilla Fontana(Lecce).
Libera nasce nel 2000 ad opera del collettivo anarchico e libertario degli Agitati che si impossessa di uno stabile nella campagna modenese, per realizzare uno spazio sociale e libertario, nel 2001 si sviluppa anche l’idea di uno spazio abitativo. Oggi Libera ha otto anni ma 5 anni fa il Comune di Modena ha comunicato l’intenzione di costruire un autodromo sopra allo spazio occupato da Libera. Ed è iniziata la resistenza, che continua ancora oggi. Quello che i compagni modenesi difendono non è solo la loro casa, il loro lavoro di anni , l’importanza di uno spazio sociale per la zona, ma soprattutto un modello di vita egalitaria, libera, ecologica, che si vorrebbe seppellire sotto una colata di cemento, per incrementare il turismo nella zona.
L’esperienza di Urupia si origina invece nel sud Italia all’inizio degli anni novanta dall’incontro tra un gruppo di salentini -all’epoca quasi tutti redattori della rivista antimilitarista Senzapatria- e alcuni “militanti” della sinistra radicale tedesca. Il progetto decolla ufficialmente nel 1995, con l’acquisto di alcuni fabbricati rurali e di circa 24 ettari di terreno nelle campagne di Francavilla Fontana, nell’Alto Salento, a metà strada tra Taranto e Brindisi. La Comune Urupia diventa così realtà: suoi principi costitutivi sono soprattutto l’assenza della proprietà privata e il “principio del consenso”, ossia l’unanimità nelle decisioni. Questi “punti consensuali” vengono scelti nella convinzione che, in qualsiasi contesto sociale, una vera uguaglianza politica non sia realizzabile senza la base di una uguaglianza economica, e vengono assunti come corollario al desiderio di porre l’individuo, la sua autonomia e la sua felicità a fondamento di qualsiasi sviluppo sociale.
Al di là dei dati storici, è difficile riassumere in poche battute cosa sia e quale sia il valore di una tale esperienza, colpiscono le parole di una comunarda ”Urupia potrebbe anche essere vista come un crocevia di esperienze e di idee, come un teatro di sofferenze e di emozioni, di amori, di rabbie e di incertezze; una piccola -ma quotidiana, continua- rappresentazione di una personale e collettiva ricerca di quel mondo migliore, più libero e giusto, che non abbiamo mai smesso di desiderare.”
Le testimonianze di Colby e di Agostino mostrano che esperienze come quelle di Libera e Urupia sono possibili e soprattutto che funzionano: si può vivere in maniera diversa, si può autorganizzare, si può creare una società basata su uguaglianza, libertà e sulla solidarietà tra gli individui.
Per farlo, però, non sono sufficienti gli ideali, ma è necessario essere consapevoli delle difficoltà e degli ostacoli cui si va incontro, che siano di ordine economico sociale politico o umano, non darsi mai per vinti, non scoraggiarsi, rimboccarsi le maniche e continuare a camminare, perché – come la pensava Galeano – è a questo che serve un’utopia…
È necessario riflettere, allora, sulla possibilità di un vivere liberi, liberi dal giogo dello stato e liberati da alcune costrizioni socio-culturali, riflettere e cercare di concretizzare, dato che ci hanno ricordato che è possibile farlo.
“Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela.”(Oscar Wilde)
Con la speranza che presto tutte le Utopie possano essere raggiunte.