La relazione sul programma per l’Università presentata dal Ministro Maria Stella Gelmini non prospetta niente di buono. Il riconoscimento della centralità del sistema di alta formazione e ricerca per lo sviluppo del Paese, la scelta di puntare sull’autonomia delle istituzioni, la volontà di valorizzare i giovani, l’intenzione di attuare un rigoroso monitoraggio del 3+2 e proseguire nella definizione di standard di sostenibilità e qualità dei corsi di laurea; di incrementare la mobilità di docenti e ricercatori a livello internazionale; di ricercare un più stretto collegamento delle lauree triennali con il mondo del lavoro.
Questi i principi, di per se già poco condivisibili, soprattutto se si leggono le vere intenzioni.
Sulle risorse, preso atto della situazione di sottofinanziamento dell’Università, si assume l’impegno ad incrementarne il finanziamento, ad una gestione più oculata delle risorse, a vincolare parte del FFO alla valutazione del merito e della qualità (Tremonti permettendo).
Si ricorda la forte esposizione finanziaria di diversi Atenei, e si propone la necessità di piani di rientro pluriennali per risanarne i bilanci.
Sull’autonomia la relazione assume il riferimento dell’autonomia responsabile, coniugata con un’idea di competizione interna al sistema scientifico e didattico, laddove la relazione recita: “la natura pubblica del sistema non presuppone la natura statale dei soggetti che vi partecipano”, corredata dall’ulteriore affermazione che “…l’approdo da auspicare è la parità delle condizioni finanziarie delle strutture pubbliche e private…”.
In occasione del convegno organizzato dal C.U.N. il 17 giugno, il Ministro ha dichiarato la volontà di spingere le Università verso la trasformazione in Fondazioni.
Il giorno stesso, il Consiglio dei Ministri ha varato la norma che consente la trasformazione degli Atenei in Fondazioni di diritto privato; si noti: la trasformazione, non la partecipazione o la costituzione di Fondazioni. In tal caso, alla Fondazione viene trasferito l’intero patrimonio dell’Università (significa regalare patrimonio pubblico ad un soggetto privato); la Fondazione non è più sottoposta alle regole di bilancio e rendicontazione del pubblico.
E il contratto del personale tecnico-amministrativo resta quello dell’Università solo fino alla scadenza del contratto in vigore.
In sintesi questa norma trasformerà gli atenei in fondazioni universitarie in cui i docenti saranno dipendenti pubblici regolamentati da leggi e il personale tecnico amministrativo sarà privatizzato e reso ancora più precario perché nelle fondazioni si applica la legge 30.
Le fondazioni, enti di diritto privato, avranno la titolarità del patrimonio delle Università e dei beni immobili, potranno deliberare i loro statuti e i regolamenti amministrativi in deroga alle norme dell’ordinamento contabile dello stato,sono tenuti a redigere il bilancio soltanto ogni 3 anni, ma continueranno ad avere i finanziamenti pubblici, e quelli privati poiché le donazioni saranno detassate.
Il primo atto di governo del nuovo Ministro è dunque una scelta gravissima sul piano degli orientamenti di fondo e sul piano delle potenziali conseguenze: lo scardinamento radicale della natura pubblica dell’Università.
La relazione si sofferma poi sulla valutazione, proponendo una riscrittura del decreto sull’ANVUR, sul welfare studentesco, in cui si ripropone tra l’altro l’erogazione dei prestiti d’onore, sulla governance degli Atenei, rispetto alla quale sostanzialmente si afferma la necessità di un’ampia libertà delle Università nell’organizzarsi, ed un alleggerimento del ruolo ministeriale, che dovrebbe limitarsi a porre paletti vincolanti al sistema e al controllo dei risultati.
Quindi gli studenti, da bravi precari in formazione, vedranno rafforzare il sistema per l’ indebitamento, calcolando il prestito come forma di welfare laddove il vero aiuto sociale scomparirà, visto le risorse territoriali, lasciando spazio al debito monetario come unico mezzo per arrivare alla laurea (e nella vita?).
Molto preoccupante anche la parte sul reclutamento e sul rapporto di lavoro di docenti e ricercatori.
In primo luogo, al di là di dichiarazioni generali di intenti sulla necessità di portare i giovani nel sistema, non vi è traccia di ipotesi di piano di reclutamento a medio termine, oltre ai 20+40+80 milioni di euro già stanziati dalle Finanziarie passate.
In secondo luogo, si propone, per il reclutamento, di tornare alla legge Moratti: idoneità nazionale con la formazione di un listone di idonei, dal quale le Università attingono secondo la propria scelta.
Conviene ricordare che la scelta dell’idoneità nazionale è strutturalmente connessa con la formazione di un serbatoio di attese, alle quali, prima o poi, si dà risposta con una sanatoria.
E, ancora, la relazione dice che “Il contratto nazionale fisserà solo la retribuzione di base, il resto sarà il frutto di una trattativa tra Atenei, docenti e ricercatori fondata su criteri meritocratici”.
Questa dichiarazione si presta a molteplici letture; poiché il Ministro certo non ignora che i docenti sono regolati per legge, e non per contratto, si può ritenere che si intenda avviare la contrattualizzazione della docenza.
Occorre naturalmente capire come. (Quale retribuzione base? Quella di oggi? E gli scatti?)
Desta invece preoccupazione l’idea che una parte della retribuzione, legata al merito, sia oggetto di una trattativa privata individuale tra docente ed Ateneo.
Chiunque conosca la natura delle Università e delle relazioni interne alla docenza non può che preoccuparsi degli enormi spazi di discrezionalità, e delle relative potenziali conseguenze retributive, che si possono determinare.
Pessimo dunque questo inizio; resta inoltre da verificare se il Ministro, stretto tra l’Economia e la Funzione Pubblica, disporrà, all’interno del Governo, degli spazi di manovra finanziaria e normativa utili a corrispondere al programma presentato soprattutto per quel che riguarda la promessa di aumento del FFO.
Rispetto alle anticipazioni sulla programmazione triennale di Tremonti, l’Università sembra uscire di nuovo malconcia, con forti tagli proprio al FFO ed un nuovo blocco del turn-over.
Speriamo che il movimento studentesco sappia il prossimo autunno essere all’altezza di contrastare il ritorno della riforma Moratti e la trasformazione (privatizzazione…) delle università in fondazioni.
E pensare che a Pisa chi si faceva portatore dell’idea delle fondazioni è stato uno dei primi promotori della Zecchino-Berlinguer.
L’eminente Luciano Modica, ex rettore a Pisa, ex presidente della Crui e infine ex sottosegretario al ministero dell’università e della Ricerca sotto il ministro Mussi.
Ancora una volta si percepisce una certa sintonia tra le politiche di riforma del sistema universitario tra i vari governi.
Peccato la sintonia si collochi nella continua privatizzazione di quello che era un sistema pubblico di formazione universitaria.