Ben poche riunioni internazionali hanno avuto meno senso del G8 in corso in Giappone. L’annuale riunione tra gli otto governi auto-proclamatisi “grandi” è stata da tempo svuotata di senso e ridotta ad una passerella ad uso e consumo di folle di giornalisti acritici. Non ci sono potenti riuniti in Giappone, nel senso che nessuno degli otto capi di stato ha il potere di incidere sui grandi mali del tempo; ancora meno ne ha George W. Bush, in scadenza di mandato e bollato come peggior presidente americano di sempre. Da tempo al G8 non si decide più nulla, ci si incontra, si cerca di produrre una dichiarazione decente a chiusura del vertice e ci si da appuntamento all’anno successivo. Lo hanno capito anche gli altermondialisti, sempre meno attirati dalla riunione e lo hanno capito anche i mercati internazionali, che dal G8 non vengono minimamente turbati. In effetti la serie delle ultime riunioni descrive una sequenza di nulla appena decorato da roboanti dichiarazioni immediatamente disattese.
Così ancora non si sono visti i cinquanta miliardi di dollari (una miseria) per aiutare i poveri promessi tre anni fa, che già gli otto grandi si gloriano di aver messo a disposizione un (uno!) miliardo di dollari per aiutare qualche miliardo di persone alla fame per l’aumento del prezzo dei generi alimentari.
Succede lo stesso per le emissioni inquinanti: gli otto grandi paesi occidentali riuniti dichiarano di voler affrontare il tema, ma alla riunione non sono presenti India, Cina e Brasile, veri protagonisti delle rivoluzioni industriali del ventunesimo secolo, mentre è presentissimo quel George W. Bush, per il quale qualsiasi riduzione delle emissioni va bene a patto che non tocchi lo stile di vita degli americani e non incida sui i bilanci delle aziende americane. Come dire che il paese che produce le maggiori emissioni inquinanti non partecipa ai colloqui e, con lui, non partecipano i due giganti emergenti, mentre il paese con le maggiori emissioni (e il maggior consumo di risorse) pro-capite accetta al massimo un accordo che diminuisca le emissioni degli altri. Questo senza considerare la vicinanza ideologica ed economica di Bush alle Big Oil, vicinanza che recentemente lo ha spinto a porre il veto a leggi sul risparmio energetico o sulla limitazione dei consumi degli autoveicoli.
Più che ovvio che da premesse simili non ci sia da attendersi che la consueta passerella ipocrita al termine della quale verrà stilato un comunicato carico di buone intenzioni non vincolanti destinate a rimanere carta straccia. Lo hanno capito tutti, dal nostro Berlusconi fino al premier giapponese, che dal vertice spera di ottenere quel minimo rilancio d’immagine che gli permetta la sopravvivenza politica, ora appesa a un esile filo.
Dopo due mandati bushisti, anche il G8 è ridotto a stracci come la pletora di istituzioni internazionali in realtà controllate dall’Occidente per imporre la propria visione, ma soprattutto il proprio dominio, agli altri paesi. Distrutto come distrutta è la credibilità della World Bank (ormai in coma) e del Fondo Monetario Internazionale. Crollato il muro di Berlino, cresciuta la disponibilità di capitali non occidentali, il G8 e le altre istituzioni costruite dall’Occidente sono oggi come grandi scatole vuote davanti alla quale i leader occidentali recitano a memoria una parte che ormai ha stancato tutti e che di conseguenza non incanta più nessuno.
C’è poco da fare, la retorica dei potenti non affascina e non intimorisce più i paesi in via di sviluppo, che alle vuote promesse occidentali preferiscono gli investimenti e gli affari in moneta sonante di India e Cina. Esemplare in questo senso è la situazione dell’Africa, dove anche i paesi ancora guidate da feroci dittature tenute al guinzaglio dall’Occidente (la maggioranza degli stati africani) tradiscono regolarmente il blocco occidentale consegnando le proprie ricchezze a cinesi ed indiani. Un fenomeno che fa gridare (addirittura..) al “colonialismo” cinese, altra e altissima ipocrisia visto che, Mugabe a parte, non c’è un solo dittatore africano al potere contro il parere del colonizzatore occidentale di riferimento.
Proprio su Mugabe si misura l’ipocrisia occidentale. Inviso ai britannici per aver confiscato qualche anno fa le terre ai farmer bianchi che le avevano ottenute sotto il regime razzista di Ian Smith o prima ancora durante il dominio della British South African Company, il dittatore dello Zimbabwe mantiene la solidarietà di molti leader africani, assolutamente contrari all’inasprimento delle sanzioni contro il regime di Harare. Facile da comprendere: se Mugabe deve essere sottoposto all’ostilità internazionale perché è un dittatore che non permette libertà e democrazia nel suo paese, è facile intuire che, prima o poi, lo stesso potrebbe accadere a al dittatore guineano Teodoro Obiang (che vorrebbe mangiare i testicoli del principale oppositore e che è tanto solidale con Mugabe), a quello congolese Sassou Nguesso e giù a continuare l’elenco con il sanguinario etiope Meles Zenawi, il ciadiano etilista Deby Itno, il centrafricano Bozizè, l’eterno gabonese Bongo Ondimba (al potere dal 1967). Un elenco parziale che già dimostra come tutti i dittatori africani siano graditi all’Occidente, che quasi sempre riconosce loro lo status di “presidente democraticamente eletto” anche quando le elezioni sono farse peggiori di quelle viste in Zimbabwe.
Chiaramente nessun “presidente” africano se la sente di mettere con le spalle al muro un collega che in fondo non è neppure il peggiore; non se lo possono permettere i dittatori dell’Africa sub-sahariana e nemmeno quelli dell’Africa settentrionale, visto che Mubarak, Gheddafi, e il tunisino Ben Ali sono al potere da decenni e gli ultimi due non permettono nemmeno l’esistenza della stampa, figurarsi quella dell’opposizione o di elezioni democratiche. L’Occidente ipocrita ha individuato il cattivo, mentre con gli altri dittatori va a nozze facendo affari e non solo. In Tunisia si è addirittura tenuto nel 2005 il WSIS (World Summit on the Information Society, il summit mondiale della società dell’informazione), con il paradossale effetto di trasportare intellettuali e giornalisti a discutere della libertà del sistema dell’informazione in un paese privo di stampa dove i media sono ossessivamente controllati dal regime e dove anche l’accesso a internet è pesantemente censurato.
A fronte di contraddizioni del genere non ci si può certo attendere quel quasi unanimismo necessario a prendere di petto le grandi sfide di questo inizio di ventunesimo secolo, che infatti non usciranno certo dal G8 giapponese, per organizzare il quale è già stata spesa, principalmente in “sicurezza”, una cifra equivalente a quella promessa agli affamati. Curiosamente, i potenti del mondo si devono riunire circondati da imponenti schieramenti di militari e polizia, non già per sfuggire all’islamico terrorista, ma per tenere a distanza i propri amministrati che da tempo riconoscono e combattono questa ipocrisia. Ne hanno approfittato proprio gli attentatori alla metropolitana di Londra, colpevolmente sguarnita per difendere dai pacifici altermondisti i leader in quei giorni riuniti in Scozia.
Contro di loro gli organizzatori del G8 usano la violenza ed il terrorismo, ogni G8 è preceduto da una campagna mediatica che identifica i contestatori come spietati Unni pronti a tutto. Basta andare con la mente al G8 di Genova, dove addirittura circolò sulla stampa (imbeccata dai servizi italiani) l’imminenza di “attacchi portati dai manifestanti lanciando sacche di sangue infettato dall’AIDS e sparando siringhe usate con cerbottane” (testuale). Ovviamente le “previsioni di pericolo” e le “informative” della vigilia si sono rivelate sempre fantasie anche quando erano più plausibili delle balordaggini partorite dai servizi di Berlusconi, mentre molto reali sono state le detenzioni (spesso preventive) dei manifestanti e le violenze poliziesche esercitate su di essi, anche se fortunatamente queste non hanno raggiunto in alcuna occasione il feroce orrore criminale dispiegato dalle forze dell’ordine italiane a Genova.
Il G8 giapponese produrrà solamente colore e qualche gaffe, George Bush ha già cominciato di buona lena, preceduto però da chi ha redatto le biografie dei leader presenti. Quella di Berlusconi è stata giudicata “insultante” e Bush si è scusato, visto che è stata redatta da mani americane. Nessun errore, solo realismo e precisione nei dettagli tratti dalle pagine della “Encyclopedia of World Biography”. Realismo che fa a pugni con l’ipocrisia sopra menzionata, grazie alla quale diventa offensivo in quel contesto scrivere che il Berlusconi affarista è diventato la persona più ricca di in paese dalla politica corrotta, governando a suo vantaggio grazie al monopolio televisivo. Che al G8 verità e realtà siano ospiti sgraditi non è una novità.
Autore: mazzetta – mazzetta.splinder.com