Fascisti nelle curve. Li vedono in Bulgaria e non li vedono in Italia.

  I neofascisti nelle curve italiane non sono una novità. Sono anni che croci celtiche sventolano in alcuni stadi italiani. Spesso trovano sponda in alcuni idioti che nel rettangolo di gioco fanno la partita (vedi Di Canio, Aquilani, Abbiati, Buffon, Cannavaro etc..) ma il silenzio assordante viene da media, dirigenti conniventi e questure.Ancora più grave è il paragone con le curve antifasciste che lottano contro la deriva a destra. A Pisa come a Livorno. Riportiamo un articolo di Repubblica sui fatti accaduti in occasione della partita della nazionale con la Bulgaria. Non sarà un duro attacco alla destra nelle curve ma comunque è uno strumento di analisi un pò più approfondito di questo fenomeno che di spontaneo ha ben poco.
ROMA I cinque di Sofia, tra arrestati e "trattenuti come
testimoni", non arrivano a trent’anni. Ventisette il più giovane,
ventinove il più vecchio. Vivono a Milano, Treviso, Como, Lucca,
Napoli. Almeno due di loro negli archivi della nostra polizia di
Prevenzione erano già finiti. Non per fatti di stadio, ma perché
"segnalati come organici a formazioni di estrema destra". Due profili
che – a dire di fonti diverse del Dipartimento di Pubblica sicurezza –
sembrano redatti con carta copiativa. "Neri da Curva". Prodotti del
vivaio dell’odio e dell’intolleranza. Che ormai – soltanto a voler
stare al rapporto presentato nel maggio scorso al Parlamento dal nostro
Servizio interno (Aisi) – monopolizza da destra 63 delle 98 sigle in
cui si articola la geografia ultras nel nostro Paese.

Eppure, nel palazzo
del pallone, nelle sue periferie (l’Osservatorio sulle manifestazioni
sportive) e in almeno una delle componenti di governo (Alleanza
nazionale), in molti, "indignati", cadono (o fingono di cadere) dal
pero. Come se la notte bulgara avesse rivelato una maligna metastasi di
cui si ignorava l’esistenza. Come se "Ultras Italia" fosse un nuovo
brand d’esportazione venuto alla luce per partenogenesi in qualche
ignoto interstizio della nostra provincia nera. Insomma, il solito
"cesto di mele marce".

Non è così.

Le "pezze" con cui "Ultras Italia" annuncia negli stadi italiani ed
europei la propria nascita portano la data del 2002-2003. E non è
difficile riconoscerle. Sono stoffe tricolori appese alle gradinate, in
cui è impresso con caratteri tipografici del Ventennio il nome della
città che ne fa mostra come "testimonianza di italianità". Si comincia
con Verona, Udine, Padova, Trieste, che è poi il quadrilatero nero in
cui il grumo si addensa, si manifesta e trova al suo interno ragioni
sufficienti a un lavoro di proselitismo.

"In quella fase –
racconta un qualificato funzionario di Polizia che da anni fa parte
delle ‘squadre tifo’ che seguono la nostra nazionale – contavamo non
più di una cinquantina di elementi. Per lo più del nord-est, che
scommettevano sulla possibilità di creare una struttura agile, visibile
e in grado di affermare una raggiunta egemonia politica di destra nelle
curve del Paese".

Del resto, il
Triveneto non è luogo geograficamente neutro. Il "Fronte Veneto Skin" e
"Forza Nuova" sono la ruota dentata xenofoba in cui si incastra una
nuova geografia politica e sociale, di cui, ogni domenica, le curve
sono lo specchio. A Verona, dopo lo scioglimento delle "Brigate
Gialloblù", i nuovi padroni sono i neri di "Verona front" e "Gioventù
scaligera". A Trieste, gli "Ultras Triestina" si imbandierano nei
vessilli imperiali austro-ungarici. A Udine, gli "Hooligans Teddy Boys"
e i "Nord Kaos" maneggiano ciarpame neonazista non diverso da quello
degli "Hell’s Angel Ghetto" di Padova.

Il palcoscenico
della Nazionale offre agli occhi di questo laboratorio nero tre indubbi
pregi. E’ vergine, perché non ingombro in tutta la sua storia di sigle
ultras. E’ mediaticamente sovraesposto. Si presta magnificamente alla
semplificazione delle parole d’ordine e dei simboli con cui la destra
xenofoba declina la sua "italianità".

L’inno di Mameli
intonato con il saluto romano, i bomber neri, le teste rasate, le croci
celtiche, l’aquila nazista, le ss runiche sono già a Stoccarda e
Varsavia nel 2003 ad accompagnare la nostra Nazionale. Affacciano,
ignorate dallo sguardo televisivo, in Portogallo, agli Europei del
2004.

Si manifestano per
la prima volta con violenza, a Trieste, nell’agosto del 2002, durante
un’Italia-Slovenia. Stesso avversario e replica a Palermo nel 2005. Gli
"Ultras Italia" caricano gli sloveni a cinghiate al grido di "Tito
Boia" e le "pezze" che di lì in avanti si trascinano dietro non parlano
più soltanto il dialetto veneto. 18 tifosi ospiti fermati ed espulsi.

Si sono nel
frattempo unite alla nuova giostra "Como", "Busto Arsizio", "Ravenna",
"Napoli", "Reggio Calabria", "Torre del Greco", "Latina", "Castelli
Romani", "Angri", "Nocera Superiore". I cinquanta degli inizi non sono
più tali (a Sofia, sabato, se conteranno 144. A Larnaca, il 6 settembre
scorso, erano in 150). Segnalando così come il "progetto", seguendo una
geografia dell’appartenenza politica, non soltanto abbia superato la
linea gotica, ma sia riuscito nell’obiettivo di far coesistere grazie
al suo collante squisitamente nero, tifoserie altrimenti divise da odi
sanguinosi (come la veronese e la napoletana).

Ma al di fuori degli
addetti, i fatti di Palermo non sembrano inquietare nessuno. Neanche
quando – sono i primi mesi del 2006 – una delegazione di "Ultras
Italia" partecipa in Austria ad un raduno a Braunau (città natale di
Hitler), dove la feccia neonazista d’Europa (inglesi, spagnoli,
francesi, tedeschi) si incontra per pianificare un Mondiale di Germania
violento. "Ultras Italia" può tranquillamente continuare a far mostra
delle sue "pezze" negli stadi del Mondiale e, nei due anni successivi,
in quelli delle qualificazioni per gli Europei. Il saluto romano, per
dirne una, allieta anche l’inno di Mameli intonato il 22 giugno di
quest’anno a Vienna, dove l’Italia gioca la sua semifinale con la
Spagna. Tranne gli osservatori della nostra polizia, nessuno, a quanto
pare, vede o vuole vedere.

Il senso comune liquida la faccenda come "folclore". Lo stesso che fa
dire, oggi, al nuovo direttore dell’Osservatorio, Domenico Mazzilli
(significativamente questore di Trieste fino a tre mesi fa) che, in
fondo, ""Duce-Duce" a Sofia non è reato". Che convince Giovanni Adami,
36 anni, avvocato di Udine, legale dei 5 fermati, tra i sostenitori del
progetto "Ultras Italia", a pronunciare su questa storia una parola
"definitiva": "La verità è che gli aggrediti siamo noi, gli italiani".

Il gruppo di oltre cento tifosi organizzati al seguito della nazionale
è parte dello stesso che segue gli azzurri da due anni, ovvero da dopo
la fine del Mondiale. Il Viminale li conosce bene, si tratta di ultras
della destra provenienti da diverse città, specie del nord-est. Questa
volta si sono aggiunti anche tifosi provenienti da Napoli. E a
provocare le tensioni della giornata sono stati anche il gemellaggio di
questo gruppo con la tifoseria del Levski Sofia, tradizionalmente
collocata a destra, e il confronto con i "rivali" del Cska, tifoseria
di sinistra. Sarebbe questo, secondo alcuni testimoni, il motivo che ha
fatto scattare la rissa all’interno del bar del centro di Sofia:
italiani e sostenitori del Levski contro ultras del Cska. Rapido
l’intervento della polizia locale, così si è evitato il peggio: nessun
ferito e nessun fermo.

Poi, il plotone
italiano è andato allo stadio a piedi, scortato da una moto della
polizia e alcuni agenti: e durante il percorso è stato un miscuglio di
cori calcistici, di ricordi per Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio
ucciso da un colpo di pistola di un agente di polizia italiano, e
soprattuto di "Faccetta Nera", "Duce Duce" e altri cori fascisti.

A chiudere, all’arrivo
allo stadio, l’ingresso nel settore loro riservato e subito il
tentativo d’assalto agli spettatori bulgari. Un gruppo di italiani ha
percorso tutti i gradoni cinghie dei pantaloni in mano, è arrivato fino
alla cancellata che delimita il settore e ha cominciato a menar
fendenti e a tirare oggetti dall’altra parte. La tensione è stata molto
alta per alcuni secondi, prima che una trentina di poliziotti con
caschi, corpetti e manganelli entrasse e riportasse con calma indietro
i sostenitori italiani. Uno striscione degli italiani sarebbe stato
sottratto dai bulgari, di certo quando la calma è stata ristabilita gli
ultras Italia hanno tolto i loro tricolori con i nomi di diverse città
di provenienza, alcuni in caratteri celtici.
 
(Repubblica.it) 
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