L’industria italiana è al collasso. Le fabbriche chiudono e la cassa integrazione aumenta. Il sistema non regge la concorrenza. Lo stato interviene, ma la gente paga le tasse e i manager e gli industriali prendono i profitti. Anche la Toscana è colpita dalla crisi. Piaggio, Electrolux, Eaton sono solo un esempio. In tutto il paese non si produce più ed a pagare il fallimento di capitalisti senza scrupoli è la gente comune. Dopo la presa in giro dell’Alitalia, ci aspettano i salvataggi di banche usuraie che per anni hanno strozzato chiunque avesse bisogno. Banchieri, speculatori e industriali fanno tutti parte dello stesso gioco al massacro. Sono tutti speculatori.
Esplode la cassa integrazione. A settembre quella ordinaria è cresciuta, in un anno, di oltre il 68 per cento, sfiorando il picco dell’80 per cento tra gli operai. Sono gli ultimi dati dell’Inps che non tengono ancora conto dello tsunami della crisi globale. "È a rischio un milione di posti di lavoro", ha detto ieri in un’intervista a Bloomberg Giuliano Amato che nella prima parte del ’93, durante la peggiore recessione dei passati quarant’anni, era alla guida del governo.
Le ultime tabelle dell’Inps fotografano il progressivo peggioramento della situazione occupazionale. E dicono che la crisi è già dentro i gangli dell’economia reale.
Fa impressione leggere che in un solo mese, tra agosto e settembre, la cassa integrazione ordinaria è aumenta in media del 53 per cento e che tra gli impiegati (il ceto medio per eccellenza) l’impennata è stata del 113,79 per cento. Perché questa crisi non distingue i "colletti bianchi" da quelli blu; non separa il mondo del lavoro tra "garantiti" e no; tra giovani e vecchi. È solo la tempistica ad essere diversa: i primi ad essere colpiti, ad esempio, sono coloro che hanno i contratti a tempo, a progetto, interinali. Insomma, i precari. E loro non figurano nelle tabelle dell’Inps perché non hanno la cig. Sono invisibili.
Esplode la cassa integrazione. A settembre quella ordinaria è cresciuta, in un anno, di oltre il 68 per cento, sfiorando il picco dell’80 per cento tra gli operai. Sono gli ultimi dati dell’Inps che non tengono ancora conto dello tsunami della crisi globale. "È a rischio un milione di posti di lavoro", ha detto ieri in un’intervista a Bloomberg Giuliano Amato che nella prima parte del ’93, durante la peggiore recessione dei passati quarant’anni, era alla guida del governo.
Le ultime tabelle dell’Inps fotografano il progressivo peggioramento della situazione occupazionale. E dicono che la crisi è già dentro i gangli dell’economia reale.
Fa impressione leggere che in un solo mese, tra agosto e settembre, la cassa integrazione ordinaria è aumenta in media del 53 per cento e che tra gli impiegati (il ceto medio per eccellenza) l’impennata è stata del 113,79 per cento. Perché questa crisi non distingue i "colletti bianchi" da quelli blu; non separa il mondo del lavoro tra "garantiti" e no; tra giovani e vecchi. È solo la tempistica ad essere diversa: i primi ad essere colpiti, ad esempio, sono coloro che hanno i contratti a tempo, a progetto, interinali. Insomma, i precari. E loro non figurano nelle tabelle dell’Inps perché non hanno la cig. Sono invisibili.
Questi, nei fatti, sono licenziamenti. Secondo le stime della Fiom sono quasi 200 mila i precari nell’industria metalmeccanica. Circa 500 mila in tutta l’industria. E – secondo una stima dell’economista Pietro Garibaldi dell’Università di Torino – sono quattro milioni i lavori senza alcuna tutela. La stragrande maggioranza della precarietà si concentra nel pubblico impiego e nel settore dei servizi. Già colpito dalla crisi, come alla Carrefour di Milazzo, che ha messo in cassa quasi quaranta persone.
Ma l’epicentro della crisi resta l’industria. Fiat, Ilva, Electrolux, Aprilia: sono solo alcune delle aziende che, solo negli ultimi giorni, hanno ridotto la produzione e utilizzato la cassa integrazione. Alla Skf (cuscinetti a sfera) erano sedici anni che non si ricorrevano alla cig. Alla Pininfarina c’è il rischio di chiusura di due, dei tre stabilimenti, con quasi 700 esuberi. Nel torinese, ormai, ci sono più azienda con la cig che quella senza. Alla Bertone, l’altro marchio storico del design automobilistico, 1.200 lavoratori sono in cassa da cinque anni.
La cassa integrazione straordinaria cresce per ora meno di quella ordinaria, perché serve a gestire le ristrutturazioni e per le aziende più grandi (+ 5,32 per cento in un anno). Ma per ora, nell’emergenza, si copre la falla con la cassa integrazione ordinaria. Presto, per chi potrà, ci sarà un travaso dall’una all’altra, mentre le prospettive sono nerissime con una domanda – secondo Prometeia – che scenderà del 2,9 per cento quest’anno e poi ancora nel 2009 (-1,2 per cento), per risalire (+ 1 per cento) solo nel 2010. Questa è la recessione.