Migranti: ddl su “permesso a punti”, tassato di 200 euro

Conti alla mano restare in Italia potrebbe significare anche una spesa di poco più di mille euro ogni due anni. E il costo della regolarità per una famiglia di quattro stranieri. Un esborso non richiesto, è bene precisarlo subito, dalle normative vigenti.
Ma che potrebbe esserlo se il Parlamento approvasse il testo del disegno di legge 733 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) così come è stato proposto dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato.
 
Nel Ddl che faceva parte del "pacchetto sicurezza" varato dal Governo a maggio (e in cui c’era anche il Dl 92/2008, convertito a luglio), è stata inserita a Palazzo Madama una norma che sottopone la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno al pagamento di una tassa dell’importo di 200 euro. Questo vuol dire che per un nucleo di quattro persone con un permesso di durata biennale un rinnovo costa 800 euro a cui vanno sommati i 70 euro di costi fissi già attualmente sostenuti, che ovviamente vanno moltiplicati per quattro.
 
Il tutto porta una spesa complessiva di 1.080 euro. E non è neanche il caso limite. Perché per lo più i permessi di soggiorno sono collegati a contratti di lavoro a tempo determinato o stagionale e quindi hanno durata più breve. Con la conseguenza che le spese per il rinnovo potrebbero essere necessarie anche annualmente o più volte durante i dodici mesi.
La norma, beninteso, ha una finalità sociale. I proventi della nuova tassa sono destinati per la metà al finanziamento di progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione diretti alla collaborazione internazionale e alla cooperazione a Paesi terzi in materia di immigrazione. La formulazione, però, potrebbe non rimanere questa.
 
Un emendamento presentato dal Governo al testo in Aula lascia la fissazione dell’importo da versare a un decreto del ministro dell’Economia di concerto con l’Interno. E vincola il gettito per metà a un Fondo per finanziare le spese di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine e per l’altro 50% alla dotazione del Viminale in relazione agli oneri connessi alle attività istruttorie per rilascio e rinnovo.
La votazione dell’Assemblea di Palazzo Madama su questo e sugli altri correttivi proposti, non solo dall’Esecutivo, riprenderà dopo la sessione di bilancio. Ma non è l’unico punto del provvedimento che riguarda il capitolo immigrazione.
 
Già il testo che il Governo aveva presentato al Senato (erano 20 gli articoli originari) conteneva misure finalizzate a un giro di vite sulla presenza irregolare e sulla criminalità straniera. La versione "partorita" dalle Commissioni riunite con 55 articoli (diventata, nel frattempo, 733-A) marca ancora di più il segno in questa direzione.
Così si punta a introdurre gli accordi di integrazione da sottoscrivere al momento della richiesta di permesso. Siamo curiosi di sapere cosa si chiederà al migrante come contropartita di ciò che noi gli offriamo, o meglio concediamo, nel nostro paese, ossia fatica e discriminazione[red.].
 
Ogni accordo conterrà dei crediti. In Commissione è stato previsto che la perdita integrale dei bonus determini la revoca del titolo di soggiorno e l’espulsione. Il Governo ha in parte mitigato la disposizione con un emendamento presentato all’Aula, prevedendo una serie di eccezioni a cui non si applichi il foglio di via: come, ad esempio, quanti abbiano ottenuto asilo o usufruiscano di protezione sussidiaria.
Rischierebbe, invece, un’ammenda da 5mila a 10mila euro lo straniero che entra o soggiorna illegalmente sul territorio italiano. Si è passati quindi dalla previsione iniziale di un delitto punibile con la reclusione da sei mesi a quattro anni, per il quale si stabiliva l’arresto obbligatorio dell’autore del fatto e il giudizio direttissimo, a una contravvenzione. E possibili novità anche sul fronte ricongiungimenti.
 
Marco Noci e Giovanni Parente per Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2008
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