Parma, 15.01.09. Quattro dei dieci agenti coinvolti nel pestaggio dello studente ghanese Emmanuel Bonsu Foster sono stati arrestati. Gli altri sei sono stati sospesi dal servizio. Le accuse sono pesanti: violenza privata, perquisizione arbitraria, falso, calunnie, e soprattutto sequestro di persona. Oltre a queste pesa su tutti gli agenti un’aggravante particolarmente pesante: discriminazioni razziale, odio etnico o razziale. Pare che l’elemento determinante nelle indagini sia stato una foto, trovata sul computer di uno degli agenti, che lo ritrae con accanto il giovane che, dopo esser stato arbitrariamente fermato, pestato, uniliato nei modi più svariati, è costretto a posare come se si trattasse di un trofeo di caccia.
Inutile ripercorrere la vicenda, già sufficientemente nota e già documentata anche da questo blog. Interessante invece riflettere sulle parole del procuratore capo dell’indagine riportate da Repubblica, che prima dice, riferendosi agli agenti: “Li abbiamo arrestati dopo una lunga indagine, ci siamo andati con i piedi di piombo”; e poi, alla domanda del giornalista che gli chiede se il Comune abbia collaborato alle indagini, risponde con un secco “no”. Perché si usano i piedi di piombo per trattare chi si è macchiato di crimini così odiosi, mentre non si usano, ad esempio, nei confronti di un migrante colpevole di “commercio abusivo”? Perché il Comune in un caso del genere non solo non ha favorito le indagini, ma anzi si è inizialmente schierato a difesa degli agenti?
Le parole del procuratore Laguardia sono probabilmente molto più utili di tante altre speculazioni a collocare questa triste vicenda nel suo giusto contesto. Da mesi assistiamo infatti ad una progressiva militarizzazione dei territori, delle città, seguita, o accompagnata, da chi diffonde a gran voce la cosiddetta emergenza sicurezza. In città piccole, poco oltre la dimensione che comunemente si definisce provincia, cresce a dismisura la percezione di un rischio che non esiste al di fuori delle pagine dei giornali e delle parole di qualche politicante. Se non ci sono omicidi, rapine e stupri giornalieri, poco importa. Il criminale diventa la prostituta, il venditore “abusivo”, il clandestino, il senza-fissa-dimora, il manifestante, lo studente che suona la chitarra in piazza. Ecco allora che i primi cittadini, non importa se di destra o di sinistra, inebriati dal potere garantito loro dal ministro leghista Maroni, si fanno paladini dell’ordine: vengono creati “consigli per l’ordine e la sicurezza”, “task force anti-abusivi”, ordinanze varie, servizi di vigilanza delle piazze cittadine, il tutto condito da massiccia istallazione di telecamere di controllo. Ma tutto ciò spesso non è sembrato sufficiente. Effettivamente non si può emanare provvedimenti che poi non è possibile mettere in atto a causa della mancanza di mezzi. Le forze di polizia dispongono di organici ridotti, e non tutti gli uomini possono essere impiegati per cacciare gli studenti dalle piazze e i venditori ambulanti dai parcheggi. Ecco allora che si ricorre ai vigili urbani, che diventano il braccio armato dei comuni e si ergono a tutori dell’ordine e della sicurezza. Sono loro gli addetti a mettere in pratica la pioggia di ordinanze (un termine fino a pochi mesi fa quasi ignoto) che le fantasiose giunte comunali inventano. Ma neppure questo, spesso, basta. Ed ecco allora i sindaci pronti, in un periodo in cui i licenziamenti e le casse-integrazioni aumentano in modo vertiginoso, a chiedere a gran voce soldi al governo non per far fronte alla crisi, bensì per assumere nuovi vigili. È di oggi la notizia che a Pisa, dove pare che a breve ci sarà da far rispettare l’ordinanza anti-borsoni, entro l’estate verranno assunti dieci nuovi vigili urbani.
Non ci meravigliamo dunque se poi qualcuno prende troppo alla lettera le proprie mansioni e identifica tout court le persone di colore con il problema sicurezza e le pesta a sangue per difendere la pubblica tranquillità. Non si tratta, esclusivamene, di qualche pazzo invasato nostalgico di tempi in cui l’equazione persona di colore-delinquente era assodata. Si tratta di un sistema più vasto, di una situazione di cui sono responsabili in primis tutti coloro che creano e diffondono paura, odio e insicurezza per distogliere l’attenzione dai problemi reali: il lavoro precario, il diritto alla casa. Non i migranti.
Inutile ripercorrere la vicenda, già sufficientemente nota e già documentata anche da questo blog. Interessante invece riflettere sulle parole del procuratore capo dell’indagine riportate da Repubblica, che prima dice, riferendosi agli agenti: “Li abbiamo arrestati dopo una lunga indagine, ci siamo andati con i piedi di piombo”; e poi, alla domanda del giornalista che gli chiede se il Comune abbia collaborato alle indagini, risponde con un secco “no”. Perché si usano i piedi di piombo per trattare chi si è macchiato di crimini così odiosi, mentre non si usano, ad esempio, nei confronti di un migrante colpevole di “commercio abusivo”? Perché il Comune in un caso del genere non solo non ha favorito le indagini, ma anzi si è inizialmente schierato a difesa degli agenti?
Le parole del procuratore Laguardia sono probabilmente molto più utili di tante altre speculazioni a collocare questa triste vicenda nel suo giusto contesto. Da mesi assistiamo infatti ad una progressiva militarizzazione dei territori, delle città, seguita, o accompagnata, da chi diffonde a gran voce la cosiddetta emergenza sicurezza. In città piccole, poco oltre la dimensione che comunemente si definisce provincia, cresce a dismisura la percezione di un rischio che non esiste al di fuori delle pagine dei giornali e delle parole di qualche politicante. Se non ci sono omicidi, rapine e stupri giornalieri, poco importa. Il criminale diventa la prostituta, il venditore “abusivo”, il clandestino, il senza-fissa-dimora, il manifestante, lo studente che suona la chitarra in piazza. Ecco allora che i primi cittadini, non importa se di destra o di sinistra, inebriati dal potere garantito loro dal ministro leghista Maroni, si fanno paladini dell’ordine: vengono creati “consigli per l’ordine e la sicurezza”, “task force anti-abusivi”, ordinanze varie, servizi di vigilanza delle piazze cittadine, il tutto condito da massiccia istallazione di telecamere di controllo. Ma tutto ciò spesso non è sembrato sufficiente. Effettivamente non si può emanare provvedimenti che poi non è possibile mettere in atto a causa della mancanza di mezzi. Le forze di polizia dispongono di organici ridotti, e non tutti gli uomini possono essere impiegati per cacciare gli studenti dalle piazze e i venditori ambulanti dai parcheggi. Ecco allora che si ricorre ai vigili urbani, che diventano il braccio armato dei comuni e si ergono a tutori dell’ordine e della sicurezza. Sono loro gli addetti a mettere in pratica la pioggia di ordinanze (un termine fino a pochi mesi fa quasi ignoto) che le fantasiose giunte comunali inventano. Ma neppure questo, spesso, basta. Ed ecco allora i sindaci pronti, in un periodo in cui i licenziamenti e le casse-integrazioni aumentano in modo vertiginoso, a chiedere a gran voce soldi al governo non per far fronte alla crisi, bensì per assumere nuovi vigili. È di oggi la notizia che a Pisa, dove pare che a breve ci sarà da far rispettare l’ordinanza anti-borsoni, entro l’estate verranno assunti dieci nuovi vigili urbani.
Non ci meravigliamo dunque se poi qualcuno prende troppo alla lettera le proprie mansioni e identifica tout court le persone di colore con il problema sicurezza e le pesta a sangue per difendere la pubblica tranquillità. Non si tratta, esclusivamene, di qualche pazzo invasato nostalgico di tempi in cui l’equazione persona di colore-delinquente era assodata. Si tratta di un sistema più vasto, di una situazione di cui sono responsabili in primis tutti coloro che creano e diffondono paura, odio e insicurezza per distogliere l’attenzione dai problemi reali: il lavoro precario, il diritto alla casa. Non i migranti.