Anche a Pisa, come nel resto d’Italia, è esploso il fenomeno delle ordinanze: sia tra tutte quelle già approvate che tra quelle ancora in discussione, la maggior parte colpisce direttamente soggetti migranti (ordinanza anti-borsoni, anti mendicanza molesta, anti insediamenti abusivi). Secondo lei questi provvedimenti costituiscono il tentativo di intervenire su problematiche nuove e reali o contribuiscono piuttosto ad additare come problema fenomeni da sempre presenti?
La situazione mi sembra analoga a quella che esiste a Genova, Bologna, Milano e altre città d’Italia. Non credo si tratti di un tentativo di demonizzazione, quanto piuttosto del frutto di una cultura perbenista diffusa a tutti i livelli, di cui le amministrazioni di centro-sinistra rappresentano l’aspetto più efficientista e forse anche più moralista rispetto alla destra. È chiaro poi che questi problemi esistono solo perché sono fatti esistere. I Rom, ad esempio, sono pochi e ci sono da sempre. Sono in parte aumentati dopo la crisi balcanica ma non credo sia questo il problema. Credo si tratti fondamentalmente di una ricerca di consenso a tutti i costi perché si è visto che in situazioni in cui non c’è crisi economica e non ci sono guerre questi argomenti pagano. Il famoso cittadino medio, inteso come categoria mediale e non come categoria sociologica, è sensibile a queste cose perché viene fatto diventare sensibile a furia di suonargli la grancassa. A questo punto da cosa nasce cosa. Quando facevo l’università ci insegnavano che paradossalmente laddove c’è la prostituzione aumenta il controllo sociale perché un’attività del genere ha bisogno di un certo ordine. Ora invece si invertono i termini della questione: se ci fosse un interesse diretto per l’emancipazione delle donne occorrerebbe mettere in atto pratiche di protezione e se ne potrebbe discutere. Questo invece non succede mai, perché a parte qualche discorsetto generico o para-femminista, o catto-para-femminista, a nessuno gliene frega nulla. Dopo 15 giorni le donne o tornano loro stesse o, se espulse, vengono subito sostituite e tutto torna come prima. La questione però è stata posta, e tutti sono contenti. Sono dinamiche vecchie come il mondo, o come la società occidentale. Quello che colpisce è la totale mancanza di cultura e sensibilità sociologica in amministrazioni in cui sono presenti partiti che un tempo si sarebbero detti di sinistra: la loro ottusità va oltre ogni immaginazione.
Pisa sembra corrispondere molto bene alle amministrazioni da lei descritte. Ad un’iniziale campagna basata sulla cosiddetta tolleranza zero, a fronte di un’ampia mobilitazione che ha visto cinvolti anche eminenti intellettuali cittadini ha risposto con un parziale cambio di rotta. Oggi si dice che le ordinanze sono parte integrante di un processo di integrazione. A fronte di ciò tuttavia la stessa amministrazione decide ingenti tagli a progetti sociali di vario genere e parallelamente preventiva un’ampia spesa per l’assunzione di dieci nuovi vigili urbani e l’istallazione di nuove telecamere in città.
Non solo dunque vengono tagliate le spese sociali, ma i soggetti emarginati vengono colpiti proprio approfittando del fattore che è causa della loro esclusione, quello economico. È possibile dunque, secondo lei, parlare di integrazione attraverso dinamiche di questo tipo?
Probabilmente la mobilitazione degli intellettuali ha fatto percepire una perdita di consensi e ha fatto sì che si cercasse di porre un argine. Sono meccanismi che esistono ovunque e non ottengono alcun risultato. Nel mentre le persone continuano a vivere sulla strada esattamente come prima. Personalmente non credo nella massima “pensare globalmente-agire localmente”: l’agire locale non serve assolutamente a niente rispetto a fenomeni di portata sovranazionale. Al di là di banali considerazioni morali e politiche il problema è che si mettono in contrapposizione esseri reali, perché questi sono esseri reali, con un essere immaginario che è il cittadino che vuole sicurezza. È immaginario perché tutte queste cose non hanno alcun legame con la sicurezza, dato che, detto brutalmente, questa non esiste. La sicurezza è legata al caso e alla contingenza: mille ordinanze di questo tipo non elimineranno la possibilità di essere scippati in mezzo alla strada. Non mi risulta ad esempio che le telecamere abbiano mai potuto prevenire un crimine. Anni fa a Genova, sotto casa mia, ci fu un orrendo delitto, una donna sgozzata: dopo una prima ondata di arresti tra la comunità marocchina, basati su motivazioni fantasiose quali il tipo di ferita inferta, i principali sospetti ricaddero sull’ex-fidanzato della vittima, che era stato ripreso da alcune telecamere. Tuttavia queste lo mostravano solamente andare e venire, senza fornire dunque alcuna prova concreta. Nonostante fosse chiara la sua colpevolezza fu perciò rilasciato e arrestato in seguito per l’omicidio di un’altra fidanzata a Sanremo. Gli unici che ci guadagnano da tutta questa situazione sono i produttori di telecamere.
I provvedimenti di questo tipo e la questione della sicurezza costituiscono due ordini di problemi così lontani tra loro che l’unica soluzione possibile è immaginaria. Si deve dare l’impressione di far qualcosa, ma in realtà non si fa assolutamente nulla. Se si volesse ad esempio risolvere il problema della prostituzione su strada si dovrebbe creare una linea di intervento in cui, attraverso associazioni e comunità di vario tipo, alle donne viene prospettata una reale alternativa alla prostituzione, che credo sarebbe ben accetta. A quel punto si dovrebbero creare strutture protette in cui dar loro asilo. Questo però costa troppo, o non c’è la volontà politica di farlo. Tutto il resto non è che un unguento sociale.