Philip Jeck: è andato in scena a Cascina un’artista molto particolare

La domanda di rito che tutti ti pongono con curiosità appena dici di aver visto il live di Philip Jeck, è:
"Come è stato?".
La risposta è difficile, un misto di interessante e curioso, anzi: "particolare!"
Un’oretta è durato il live nella saletta del teatro Politeama di Cascina, tutto d’un fiato, nessuna pausa.
Philip non è un giovanotto, ma questo è un punto a favore vista la sua nota e navigata esperienza nel campo.
L’atmosfera dunque molto seria e "vintage": mi riferisco soprattutto ai giradischi che usa, ovvero due portatili dei primi anni ’60, delle valigette che sembrano giocattoli e sono talmente minuti che quando ci mette su dei 33 giri ti chiedi come facciano a girare e rimanere in equilibrio da soli.
Nessun video alle spalle, ma una ripresa in diretta, dall’alto, sul tavolo di lavoro dell’artista.
Sul tavolo oltre ai due giradischi, c’è un mixer, un’effettiera a pedale (delay per chitarra, credo) e un piccolo synth che si intravede appena con una tastierina da due ottave. Tavolo in legno e un paio di ciabatte, le sue mani che si muovono freneticamente sul mixer e che trasformano i suoni che escono da dischi d’epoca (‘50-’60) che non si capisce bene cosa siano.
Già, inutile pensare di capire quali dischi usa, che canzoni, inutile…
Il suono che esce non è frutto di quello che è inciso su quei dischi, ma piuttosto di un lavoro meticoloso di trasformazione del suono, una trasformazione radicale di ogni sonorità prodotta da quei giradischi.
A tratti sembra quasi di percepire il motivetto originario del disco, ma appena ti sembra di aver individuato qualcosa, è troppo tardi.
All’inizio un rumore di sottofondo molto “sporco” ci vuole ricordare che i dischi che usa e le tecnologie che leggevano tali dischi al tempo non garantivano certo la pulizia e la limpidezza del suono.
Gioca molto, in stile serioso, ma gioca, e pare pure divertirsi a tratti, mentre appoggia le mani sulla tastierina, oppure mentre gira le dita intorno al mixer o al delay a pedale.
Molto affascinante. Un lavoro da artigiano il suo, da artigiano del suono.
Uno pensa di trovarselo davanti imponente. D’altronde è lui quello che una quindicina di anni fa è diventato famoso per aver fatto suonare 180 vinili contemporaneamente e con gli anni più volte a riproposto tali acrobazie.
Ieri sera no. Era lì sulla sua scrivania illuminato da luci bassissime e mirate, pronte a mostrare nel video alle sue spalle la diretta di un curioso artista, d’esperienza e pieno di genio.
I commenti a margine sono molti: è uno di quegli artisti che prima di vedere devi conoscere oppure vai lì senza voler sapere niente, per vedere cosa ti fa sentire dal profondo?
Indubbiamente per carpire alcuni dettagli era necessario avere alcune informazioni. Nonostante la diretta video sul lavoro, alcuni aspetti potevano sfuggire. Ad esempio ho pensato che quegli strani quadratini gialli che spuntavano su alcuni vinili, potevano essere solo i gommini di cui qualcuno mi aveva parlato, gommini che lui mette sui dischi per far rimbalzare indietro la puntina.
Uno della mia età, che i vinili li ha visti poco, rimane sicuramente stupito dalla varietà di dischi che usa quell’uomo. Abituati a vedere solo 33 giri e 45 giri, c’è da chiedersi quanti giri ha uno di quei dischi da 10 pollici (78? Lo dice wiki…), la via di mezzo tra i classici 12 pollici dei 33 e i 7 dei 45 giri. Forse alcuni di quei dischi è in gommalacca anziché in vinile, chi lo sa…
La parte finale del live è sicuramente quella che più ho apprezzato: suono un po’ più pulito, bassi decisi e via a sfumare lentamente fino alla chiusura.
Un po’ di assopimento durante l’esibizione. Brusco il risveglio su alcuni alti da far saltare i timpani, tanto che qualcuno si è tappato le orecchie.
Comunque da vedere. Per una sera qualcosa di diverso.
Questo il commento di un profano in merito al sacro (per esagerare) Philip Jeck.
 

Kaiser Sozer per Aut-Aut.

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