Pisa_ Dopo molti anni di attività, il coordinamento dei collettivi universitari annuncia per la prima volta la decisione, per quest’anno, di non candidarsi alle elezioni degli organi centrali d’Ateneo.Questo significa che non cercheranno più di ottenere gli ormai tradizionali posti di rappresentanza sia in senato accademico che in consiglio d’amministrazione.
Riportiamo di seguito il documento integrale, che gli studenti hanno redatto per comunicare la scelta. Una scelta questa, dettata soprattutto dal momento storico, partendo dall’analisi sulla crisi e i nuovi modi di gestione del conflitto.
Riportiamo di seguito il documento integrale, che gli studenti hanno redatto per comunicare la scelta. Una scelta questa, dettata soprattutto dal momento storico, partendo dall’analisi sulla crisi e i nuovi modi di gestione del conflitto.
I collettivi, protagonisti dell’Onda studentesca, decidono dunque di fare una valutazione e prendere una scelta che sembra essere una vera e propria scommessa sul futuro. Da subito, annunciano il duro attacco alla governance d’Ateneo, ad una gestione verticista da contrapporre ad un nuovo modello di università, un modello di costruzione dal basso basato sull’ autoriforma.
Tra governance ed elezioni
Tra due mesi si terranno le elezioni universitarie, momento in cui negli ultimi dieci anni, come Collettivi Studenteschi, abbiamo sempre partecipato, non per accettazione tacita del sistema di governance universitaria, ma perchè pensavamo che questo fosse un modo efficace per ottenere informazioni, praticare inchiesta e costruire mobilitazione. Quest’anno con l’Onda è riesplosa la partecipazione e la consapevolezza degli studenti, la forza del movimento studentesco, la capacità di autorganizzarsi. Contemporaneamente, dopo le vacanze, abbiamo assistito ad un tentativo da parte di governo e ateneo di normalizzare la situazione su più fronti: non siamo davanti ad una semplice risposta difensiva alle istanze dell’Onda, ma si vuole imporre “l’oblio” dell’Onda. Un ritorno al passato che ora significa restaurazione. Le cariche indiscriminate della polizia agli studenti che presidiavano il palazzo della sapienza il 6 Marzo, per l’arrivo di Marcello Pera, sono la dimostrazione che la governance non sa dare risposte politiche al dissenso, ma mira solo a reprimere violentemente qualsiasi istanza di libertà e partecipazione. Mentre gli studenti venivano picchiati dalla polizia la prorettrice Tongiorgi aumentava il passo e Pasquali faceva finta di niente. È questa la governance del nostro ateneo: incapace politicamente di gestire qualunque dissenso, intimamente felice quando la palla passa alla polizia.
Onda su Onda…
L’esplosione della crisi ha rappresentato un punto di non ritorno sia sul piano dell’istituzione che su quello dei movimenti. L’Onda è stata un movimento come non se ne vedevano da anni, rabbioso e determinato, capace di parlare alla società intera, sognatore ma allo stesso tempo pragmatico nel creare immediatamente autoriforma nelle facoltà . Di fronte agli attacchi del governo le baronie hanno vacillato, attaccate alle loro poltrone e incapaci di prevedere uno sviluppo a medio lungo termine dell’università come luogo di ricerca indipendente e spazio aperto di diffusione di saperi. L’immobilismo delle istituzioni ha tentato sin dal primo giorno di strumentalizzare la lotta contro la 133 per difendere privilegi e vecchi poteri ormai allo sbando.
Ma l’Onda è riuscita a lasciarsi il passato alle spalle attaccando le scellerate riforme del governo, tanto quanto il malgoverno clientelare dei baroni. La forza del movimento è riuscita a far uscire il vero volto della governance universitaria: violenta e autoritaria nel militarizzare il rettorato, per non ascoltare tutti quelli per cui lottare contro i tagli del governo significava soprattutto costruire meccanismi virtuosi di partecipazione attiva e cooperazione tra tutte le soggettività del mondo della formazione. Sembra impossibile riconoscere il rettore “sovrano buono”che convoca un’assemblea di ateneo durante la mobilitazione e glissa sulle proprie dimissioni, nella persona capace di far espellere un consigliere di amministrazione dalla digos pur di difendere un bilancio pieno di incognite e non battere ciglio di fronte ad agenti di polizia che aggrediscono studenti.Lo stesso rettore che alle domande dei giornalisti sulle cariche agli studenti di fronte la Sapienza risponde con un imbarazzante “non so”.
Il paragone ci aiuta,però, a comprendere realmente con chi abbiamo a che fare quando parliamo di istituzioni universitarie e dimostra come un movimento, che probabilmente le varie baronie pensavano di riuscire a controllare, sia esploso esprimendo tutta la sua voglia di cambiamento e abbia detto con semplicità :
“nella nostra università non vogliamo nessun barone, nè rosso, nè nero, nè verde, nè a pallini”.
Abitando le pieghe dell’onda…
In questi mesi i collettivi studenteschi hanno abitato le pieghe dell’Onda e in questo movimento hanno deciso di sciogliersi. Questa scelta, non affatto scontata, ci è sempre sembrato il punto di partenza fondamentale per stare all’interno del movimento, con la lungimiranza di chi davvero sapercepire le tendenze, mettendosi ogni volta in gioco senza paura di perdere i propri distintivi. Per noi, l’Onda è stato ed è un movimento che ha cambiato il modo di fare politica, un “prisma attraverso il quale ogni colore, ogni sfumatura passa e ne viene modificata, ma solo dopo esserci passati attraverso”.
Siamo entrati nel prisma dell’Onda in un modo e ne stiamo uscendo in un altro. Abbiamo sperimentato nell’Onda la forza dell’unità e delle differenze che la moltitudine di studenti e precari hanno dimostrato. La forza e la rabbia, una rabbia degna, in cui si sono mescolate le passioni e i calori di un’intera generazione in lotta. Donne e uomini decisi ad attaccare l’arroganza del potere e difendere le proprie forme di vita, fatte di affetti e desideri, e da qui rilanciare la lotta.
Per noi è stato importante prima percepire l’evento, l’Onda, per poi starci dentro fino in fondo, fino a scioglierci dentro, accogliendo ogni trasformazione che l’Onda ha trasmesso, come l’aria di cui abbiamo bisogno per respirare.
Nessun movimento si può etero dirigere o strumentalizzare. Quando ci si trova ad attraversare qualcosa di così grande bisogna porsi in ascolto ed imparare, elaborando nuove risposte collettivizzando le esperienze senza ideologie né verità in tasca.
Può sembrare un sogno da illusi ma a noi interessa cambiare l’università, non essere soggetto privilegiato che va a trattare con qualche ministro.
Pensiamo che la sfida che l’università in crisi ci pone sia la creazione di nuove forme di autogoverno, che sappiano reagire alle politiche reazionarie del rettore Marco Pasquali, ai bilanci criptici del direttore amministrativo Riccardo Grasso, alle decisioni affrettate di Facoltà sul lastrico, che si mantengono a galla vendendo brevetti alla regione, accendendo convenzioni con aziende private, moltiplicando gli sbarramenti nei percorsi di studi degli studenti.
In qualche modo, con tutti i limiti e le parzialità , in questi mesi in Onda abbiamo creato insieme nuove forme di democrazia che hanno superato gli schemi della rappresentanza studentesca classica.
Al contrario liste studentesche come Sinistra per e Ateneo Studenti, rimanevano attaccati a queste care vecchie forme di classicismo.
“Sinistra per…” invitava tutti ad una protesta “moderata”, “pacata” e piena di buon senso, ma allo stesso tempo nella persona del suo senatore accademico andava a trattare a Roma con la Gelmini senza nessun mandato.
Sin dai primi giorni di mobilitazione sinistra per… ha tentato di mantenere una propria visibilità identitaria, delegittimando pubblicamente con una lettera aperta l’occupazione del polo Carmignani in quanto “prematura”. E’ curioso notare come le accuse all’occupazione venissero portante anche alle assemblee delle varie facoltà in agitazione che si tenevano all’interno dello stesso Polo Carmignani, cioè si delegittimava l’occupazione ma al contempo si approfittava delle sue assemblee per avere visibilità.
“Ateneo studenti” invece sperava che in fondo l’onda passasse, cercando di tamponare ogni cambiamento, troppo impaurito dal presente: in quanto lista legata agli ambienti del centro-destra ed a “comunione e liberazione” non poteva contestare la legge, e quindi accusava i manifestanti in quanto provocavano “disagio” per gli “studenti” (ma quali studenti?Quelli che pieni di rabbia invadevano a migliaia le strade contro la 133?).
Tutto il potere all’autoriforma
La nostra critica alla rappresentanza parte anche da qui, dal ruolo del rappresentante degli studenti che diventa contiguo alle peggiori politiche baronali, in una spirale piena di limiti e compromessi al ribasso.Al contrario le assemblee del Polo Carmignani occupato, i tavoli di lavoro sull’autoformazione, le aule occupate nelle facoltà sono stati laboratori politici nell’università , capaci di partire dall’opposizione alla legge 133 verso la creazione di università altra. Un’altra domanda aperta quindi è: come riusciamo a dare continua a questi esperimenti di autogoverno, a queste forme peculiari di decisione su stessi che noi, di solito, proviamo a chiamare “costruzione di autonomia”..
Ma è anche qui esemplare la mobilitazione contro l’approvazione del bilancio: in quei giorni un tavolo autocostruito e autogovernato, dove saperi e competenze si mettevano insieme, aveva puntato l’indice su sprechi e disastri economici del nostro ateneo. Ma aldilà della critica, allo stesso veniva chiesta una discussione il più possibile pubblica, che uscisse dalla semplice logica dei rappresentanti e dei rappresentati.
Sotto gli occhi avevamo da un lato una gestione pubblica smantellata e costellata di sprechi e incapacità , dall’altro un privato-“nuovo che avanza” incombente; in basso, però, tra chi quelle scelte le subiva, la dicotomia pubblico/privato veniva completamente rifiutata, con una rabbia così potente da scatenare tutte le paura del potere.
Queste scelta di chi sta in basso, queste forme di cooperazione che allo stesso tempo esprimo rabbia e mobilitazione, autogoverno e democrazia radicale, noi le chiamamo “comune”.
Andare ad analizzare questa frontiera, farla crescere ed estendere per forza e determinazione ci sembra un buon modo per combattere questo potere in crisi.
Quello che speriamo di aprire è un percorso aperto e continuamente in verifica, che ponga a tutti la questione dell’autogoverno, una discussione che superi qualunque schema preconfezionato e ideologia di rappresentanza.
VITA DA STUDENTI. OVVERO: LA FABBRICA NEL NUOVO MILLENNIO.
L’università che viviamo è un luogo di sfruttamento e precarietà: piena di test d’ingresso, debiti e sbarramenti, stages e tirocini non pagati, saperi e ricerca dequalificati, investimenti privati che rendono schiavi, sprechi e corruzioni, tempi di studio sempre più veloci, tasse sempre più alte e baroni sempre più famelici. In questa università lo studente è una merce, da sfruttare e rendere disciplinato per il suo futuro produttivo nel mondo del lavoro, da monetizzare e spremere economicamente quando deve pagare affitti,servizi e ciò che una volta veniva chiamato diritto allo studio. Precari in formazione dentro le facoltà , schiavi della rendita nella città…e guai ad uscire per bere una birra perchè quel caso si diventa anche nemici della sicurezza pubblica.
Ma in questi mesi l’università è stato anche il campo di battaglia dell’onda. Il luogo in cui come studenti, precari della ricerca, tecnici amministrativi e qualsiasi altra figura che in questo ateneo viene sfruttata e precarizzata, abbiamo preso parola e ci siamo opposti alla 133, abbiamo creato conflittualità e comunità, altro modo di pensare all’università.
È da qui che pensiamo sia giusto ripartire, anche se pieni di domande, anche se non con un percorso lineare, ma che imponga a tutti una riflessione su come contrapponiamo la nostra università a questa vecchia e ormai in crisi.
Come diceva un vecchio poeta: se viviamo…viviamo per calpestare la testa dei re…
Piccolo post scriptum ad uso dei viaggiatori: Ricominciare da capo non significa tornare indietro.
Chiaramente questo documento è anche l’inizio di un viaggio. Quel bisogno di cambiare che ti porta sempre a partire. Con i ricordi di ciò che eri e i desideri e le circostanze che ti insegnano a disegnare nuove mappe e nuove pratiche di conflitto.
In questi mesi abbiamo imparato che l’università non sta solo nelle facoltà e nei palazzi dell’amministrazione centrale, ma, anzi, in questa città vive soprattutto nelle dinamiche produttive e nei flussi di ricchezza e di rendita.
Vogliamo reddito e libertà .
Il domani non è ancora scritto…