È del 17 marzo 2009 un articolo uscito su La Repubblica in cui si mette in risalto come in merito all’applicazione della terapia elettroconvulsivante la Regione Toscana applichi «regole più severe» a tutela del paziente.
Effettivamente la Regione Toscana si è distinta, insieme ad altre, nella volontà di porre un limite all’uso della TEC. Con la legge regionale n.39 del 18 ottobre 2002 «in materia di applicazione della terapia elettroconvulsivante, la transorbitale e altri simili interventi di psicochirurgia» venivano, infatti, poste alcune restrizioni all’uso dell’elettroshock. Nell’articolo 3 commi 2 e 3 si stabiliva che la TEC può essere praticata solo con il «consenso libero, consapevole, attuale e manifesto» del paziente e che a tale fine lo psichiatria deve fornire esaurienti informazioni sugli effetti collaterali e sui possibili metodi alternativi. Se ne sconsigliava inoltre l’utilizzo su minori, anziani oltre i sessantacinque anni e donne in stato di gravidanza e si vietava l’uso di lobotomia prefrontale e transorbitale e di altri simili interventi di psicochirurgia. Al comma 4 si stabilivano inoltre apposite linee guida sull`utilizzo dell’elettroshock e le procedure relative al consenso e all`autorizzazione adottate dalla Giunta regionale.
La Corte Costituzionale ha abolito nel dicembre 2002 questi passaggi (commi 2 e 3 perché la Giunta Regionale non ha il diritto di dare indicazioni su singole terapie, comma 4 per illegittimità costituzionale). Rimanevano gli articoli 1 e 2 e l’articolo 4 in cui, «considerata la non univocità dei dati di letteratura e le discordanze che caratterizzano il dibattito sulla TEC nella comunità scientifica», si avviava una Commissione Consiliare competente a svolgere un’azione di monitoraggio, sorveglianza e valutazione.
Il fatto che la Regione operi un monitoraggio sulla terapia elettroconvulsivante e sottolinei l’esigenza di un maggiore consenso informato è sicuramente apprezzabile, ma la spinosa questione dell’elettroshock rimane tutt’altro che risolta.
Da anni lottiamo affinché il consenso informato, previsto legalmente in materia psichiatrica, venga effettivamente garantito al paziente – che ha il diritto di sapere gli effetti collaterali ed i rischi in cui incorre sottoponendosi a tale trattamento. Problema che si ripropone in tutti gli ambiti dell’istituzione psichiatrica, primo fra tutti quello delle terapie farmacologiche nel quale vige la più totale disinformazione.
Ma soprattutto, al di là del consenso informato, rimangono la brutalità di questa tecnica, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato.
I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento (anestesia totale e farmaci miorilassanti che impediscono le contrazioni muscolari in precedenza diffuse a tutto il corpo con la conseguente rottura di denti ed ossa) non si cambia la sostanza della TEC. L’elettroshock deve essere abolito!
Ricordiamo inoltre che, al di là dei buoni propositi di alcune singole regioni, la situazione a livello nazionale verte su tutt’altre posizioni.
Se nel 1996 una circolare dell’allora Ministro della Sanità R. Bindi definiva l’elettroshock «presidio terapeutico di provata efficacia», nel mese di marzo dello scorso anno usciva una petizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia, appoggiata dall’AITEC (Associazione Italiana Terapia Elettroconvulsivante) per aumentare i centri clinici autorizzati a praticare la TEC con l’obbiettivo di arrivare ad almeno un servizio per ogni milione di abitante in tutte le regioni d’Italia. È inoltre di ieri un allucinante articolo, pubblicato al corriere della sera, che pubblicizza uno studio del Policlinico di Milano in cui si paragona il cervello ad una pila: «se il cervello fosse come una pila, la depressione potrebbe essere vista come se il livello della batteria fosse basso. Perché allora non ricaricare un cervello gravemente depresso con la corrente?»
Ci teniamo a ribadire che l’elettroshock è una disumana violenza e un attacco all’integrità psicologica e culturale dell’individuo che lo subisce. Insieme ad altre comuni pratiche della psichiatria come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), la terapia elettroconvulsivante è un esempio se non l’icona della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria e dalla società nei confronti di chi non vuole normalizzarsi alle sue regole.
Effettivamente la Regione Toscana si è distinta, insieme ad altre, nella volontà di porre un limite all’uso della TEC. Con la legge regionale n.39 del 18 ottobre 2002 «in materia di applicazione della terapia elettroconvulsivante, la transorbitale e altri simili interventi di psicochirurgia» venivano, infatti, poste alcune restrizioni all’uso dell’elettroshock. Nell’articolo 3 commi 2 e 3 si stabiliva che la TEC può essere praticata solo con il «consenso libero, consapevole, attuale e manifesto» del paziente e che a tale fine lo psichiatria deve fornire esaurienti informazioni sugli effetti collaterali e sui possibili metodi alternativi. Se ne sconsigliava inoltre l’utilizzo su minori, anziani oltre i sessantacinque anni e donne in stato di gravidanza e si vietava l’uso di lobotomia prefrontale e transorbitale e di altri simili interventi di psicochirurgia. Al comma 4 si stabilivano inoltre apposite linee guida sull`utilizzo dell’elettroshock e le procedure relative al consenso e all`autorizzazione adottate dalla Giunta regionale.
La Corte Costituzionale ha abolito nel dicembre 2002 questi passaggi (commi 2 e 3 perché la Giunta Regionale non ha il diritto di dare indicazioni su singole terapie, comma 4 per illegittimità costituzionale). Rimanevano gli articoli 1 e 2 e l’articolo 4 in cui, «considerata la non univocità dei dati di letteratura e le discordanze che caratterizzano il dibattito sulla TEC nella comunità scientifica», si avviava una Commissione Consiliare competente a svolgere un’azione di monitoraggio, sorveglianza e valutazione.
Il fatto che la Regione operi un monitoraggio sulla terapia elettroconvulsivante e sottolinei l’esigenza di un maggiore consenso informato è sicuramente apprezzabile, ma la spinosa questione dell’elettroshock rimane tutt’altro che risolta.
Da anni lottiamo affinché il consenso informato, previsto legalmente in materia psichiatrica, venga effettivamente garantito al paziente – che ha il diritto di sapere gli effetti collaterali ed i rischi in cui incorre sottoponendosi a tale trattamento. Problema che si ripropone in tutti gli ambiti dell’istituzione psichiatrica, primo fra tutti quello delle terapie farmacologiche nel quale vige la più totale disinformazione.
Ma soprattutto, al di là del consenso informato, rimangono la brutalità di questa tecnica, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato.
I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento (anestesia totale e farmaci miorilassanti che impediscono le contrazioni muscolari in precedenza diffuse a tutto il corpo con la conseguente rottura di denti ed ossa) non si cambia la sostanza della TEC. L’elettroshock deve essere abolito!
Ricordiamo inoltre che, al di là dei buoni propositi di alcune singole regioni, la situazione a livello nazionale verte su tutt’altre posizioni.
Se nel 1996 una circolare dell’allora Ministro della Sanità R. Bindi definiva l’elettroshock «presidio terapeutico di provata efficacia», nel mese di marzo dello scorso anno usciva una petizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia, appoggiata dall’AITEC (Associazione Italiana Terapia Elettroconvulsivante) per aumentare i centri clinici autorizzati a praticare la TEC con l’obbiettivo di arrivare ad almeno un servizio per ogni milione di abitante in tutte le regioni d’Italia. È inoltre di ieri un allucinante articolo, pubblicato al corriere della sera, che pubblicizza uno studio del Policlinico di Milano in cui si paragona il cervello ad una pila: «se il cervello fosse come una pila, la depressione potrebbe essere vista come se il livello della batteria fosse basso. Perché allora non ricaricare un cervello gravemente depresso con la corrente?»
Ci teniamo a ribadire che l’elettroshock è una disumana violenza e un attacco all’integrità psicologica e culturale dell’individuo che lo subisce. Insieme ad altre comuni pratiche della psichiatria come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), la terapia elettroconvulsivante è un esempio se non l’icona della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria e dalla società nei confronti di chi non vuole normalizzarsi alle sue regole.
Il collettivo antipsichiatrico Antonino Artaud.
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