Il meridione d’Italia è veramente allo sbando. Territori privi di qualsiasi infrastruttura, abbandonati al degrado politico e culturale, in preda come trent’anni fa ai mostruosi investimenti faraonici, divisi e condivisi con interessi mafiosi e massonici. Tra le amarezze di una terra senza futuro si contano sempre più progetti di scarsa utilità pubblica ma pagati con soldi pubblici. Dighe, rigassificatori e ponti rappresentano l’apice dell’offensiva di speculatori senza rispetto per storie e tradizioni, culture e bisogni. Il ricatto alla gente è ben chiaro. La classe dirigente impone il dazio sul futuro: o si fa così o non cambierà mai niente. Ma da vent’anni non cambia davvero niente. Crescono solo gli investimenti iniziati e mai finiti e le grida di dolore della terra. I territori sono consumati da speculazioni senza fine. Frane, dissesti, crolli, rifiuti tossici e discariche abusive, dighe senza fiumi e acquedotti senz’acqua, auto senza strade e strade che non finiranno mai: il meridione si presenta così alla nuova e inutile mega-infrastruttura senza futuro: il ponte sullo stretto. Inizieranno i lavori? Di sicuro la gente comune ha già cominciato a pagare i progettisti e le società private ed a capitale misto pubblico-privatoinvischiate nell’affare. Ma quei soldi non potevano servire a rimettere in sesto due regioni a grande rischio idrogeologico? Domanda senza risposta. Ma perchè non far ripartire i depuratori o rimettere a posto gli acquedotti che perdono il 75% dell’acqua che trasportano. Senza parlare delle mega truffe di tutte quelle aziende nazionali ed internazionali che sono state le prime a prendere i soldi della comunità europea per investire nel sud ma che sono state anche le prime che hanno deciso, dopo aver preso i soldi, di andare a costruire nell’est Europa. Il sud ha bisogno di altro.
Convocazione del corteo 8 agosto 2009
Per questo contro il Ponte sullo stretto bisogna far sentire di nuova la voce della gente. Per evitare che le mafie si prendano spicchi di territorio, per evitare espropri e ricatti, piloni di cemento armato e nuovi sprechi.
Non lasciamo il sud in mano a mafiosi, massoni e multinazionali.
Il piano per le infrastrutture varato dal Governo si configura come un vero e proprio regalo nei confronti dei grossi contractor (Impregilo in testa) che fanno del rapporto con le istituzioni pubbliche la loro fortuna.Dei 16 miliardi di Euro complessivi, 1,3 sono stati destinati al Ponte sullo Stretto, opera che ha acquisito un valore simbolico ormai superiore anche allo stanziamento previsto. All’operazione infrastrutture viene assegnato il significato del rilancio dell’economia e dell’occupazione. Si tratta di un nuovo corso a carattere globale con enormi investimenti (seppure ogni paese lo configura con caratteristiche differenti). In realtà difficilmente questo tipo di politiche avrà un vero effetto anticiclico (ancora meno miglioreranno le condizioni di vita dei lavoratori colpiti dalla crisi), ma sicuramente servirà a trasferire risorse dal pubblico alle imprese private che sono impegnate in questo settore di mercato. La costruzione del ponte sullo Stretto, al di là del portato di distruzione di un’area paesaggisticamente straordinaria e di importanza unica dal punto di vista naturalistico e della devastazione cui condurrebbe Messina e Villa San Giovanni a causa di immensi cantieri che interesserebbero queste città per molti anni, non ha alcuna logica dal punto di vista trasportistico ed economico. Tutti gli studi condotti negli ultimi anni, infatti, a partire da quelli degli advisor ingaggiati dalla Stretto di Messina Spa (società incaricata di gestire la costruzione del ponte) indicano in alti tassi di crescita del meridione (almeno il 3,8 %) la condizione perché il ponte possa essere seppur minimamente profittevole. A tali tassi corrisponderebbe, infatti, un incremento dei transiti che indurrebbe quegli introiti che giustificherebbero economicamente l’opera. Com’è evidente, però, siamo molto lontani da questi dati ed infatti negli ultimi anni il traffico nello Stretto di Messina ha visto un netto ridimensionamento piuttosto che l’auspicato incremento. I tanto sbandierati ingorghi agli imbarcaderi (che giustificherebbero l’opera) sono in realtà ormai rari e in larga misura causati da una riduzione della flotta e dalla progressiva opera di dismissione portata avanti dalle Ferrovie dello Stato nel mezzogiorno. E allora sarà alquanto difficile che possa esserci un investimento di privati in un’opera che non dà alcuna garanzia di profitti (nonostante le clausole di rivalsa che prevedono il rimborso del 50% dell’investimento allo scadere della concessione). Il finanziamento (se ci sarà, col miliardo e trecento milioni attuali avvieranno progettazione ed opere propedeutiche e/o compensative) sarà interamente pubblico e verrà, come spesso ripetuto da Matteoli, recuperato in larga parte sul mercato finanziario (attraverso prestiti e/o obbligazioni) rinviando il debito alle generazioni successive. Inoltre, i 40000 addetti propagandati dal Governo sono da ridurre, secondo recenti studi, basati peraltro anche sulle rilevazioni condotte dagli advisor, a circa 5000 di cui solo 2000 locali. Il movimento Noponte ha sempre motivato la sua contrarietà al Ponte sullo Stretto non soltanto per motivazioni ambientali, economiche, trasportistiche, sociali ma anche sollevando gravi interrogativi su aspetti tecnici legati alla scarsa valutazione sull’alta sismicità dell’area, sulla tenuta delle saldature del Ponte, sui limiti tecnologici attuali per garantire una "luce" così lunga, ecc.. Quegli interrogativi sono oggi confermati ed addirittura aggravati non da un tecnico qualsiasi ma addirittura da quello che fu il presidente del comitato tecnico-scientifico per la verifica della fattibilità del Ponte ovvero il prof. Remo Calzona che dichiara apertamente in una intervista a "La Repubblica" di avere sbagliato le previsioni: la soluzione del Ponte a campata unica è oggi assai più costosa e per nulla immune da crisi strutturali; il Ponte potrebbe collassare a causa della fatica dei materiali (il cosiddetto fletter,che provocò la caduta del ponte di Tacoma, sopra Los Angeles); è molto probabile che il Ponte subisca il fenomeno del galopping, ovvero una deformazione patita in Danimarca dal nastro d’asfalto del ponte sullo Storebelt, impedendo il passaggio di cose e persone, ovvero il motivo ufficiale per il quale si costruisce un Ponte!!! Il 22 gennaio 2006 una grande manifestazione partecipata da decine di migliaia di persone (con la partecipazione di una folta delegazione di No Tav) invase le strade di Messina e determinò di fatto uno stop alla costruzione del ponte. Il Governo Prodi, infatti, inserì l’opera tra quelle non prioritarie. Non cancellò, però, la Stretto di Messina Spa, né rescisse il contratto firmato da Berlusconi con Impregilo poco prima della scadenza del suo mandato. è risultato, così, agevole al nuovo Governo Berlusconi rilanciare l’operazione. Per fermare nuovamente la costruzione del ponte sullo Stretto sarà oggi necessario ricostruire le condizioni che portarono a quella grande mobilitazione di piazza. Lo abbiamo fatto una volta, possiamo rifarlo.
C.Muraglione