Assurde e inapplicabili, non importa: le ordinanze si moltiplicano sempre più, in ogni città d’Italia. Esse traggono linfa dalla legge del Ministro Maroni, nella sezione dedicata alla possibilità di intervento dei sindaci per bloccare le situazioni di degrado. Il decreto ha ampliato i poteri dei primi cittadini in materia di sicurezza, con l’estensione dei poteri di ordinanza, precedentemente vincolati a iniziative speciali, ai soli casi di calamità naturali o gravi pericoli per la salute pubblica. Un limite preciso, che ad esempio permise due anni fa alla procura di Firenze di bloccare l’ordinanza anti-lavavetri del comune di Firenze.
Maroni dà pieni poteri ai sindaci e chiede loro di essere creativi, fornendo loro un primo spunto: l’ampiezza di sfumature del termine “degrado”, inteso come tutto ciò che non è in ordine. La città deve essere uno specchio da far ammirare ai turisti, una torre d’avorio dove gli elettori devono semplicemente vivere-produrre-consumare. Restano fuori dal gioco migranti, studenti, tossici, barboni e prostitute. Sono fuori dal gioco perché non rientrano nei canoni della città perfetta.
Prontissimi, con una fantasia crudele, i sindaci paladini della battaglia per la sicurezza rispondono e, facendo carta straccia dei diritti delle persone, vanno a regolamentare capillarmente e pervasivamente le “nude vite”, le vite di chi, per status sociale o condizione temporanea, si trova soggetto a un maggiore controllo sociale.
E’ chiaro che i problemi che le ordinanze mostrano di voler risolvere sono sostanzialmente fatti esistere. Non si mira realmente a fornire risposte al disagio sociale, alla marginalità urbana, alla precarietà economica, alla necessità di spazi sociali, servizi, case e diritti.
E’ fin troppo evidente che tali questioni non sfiorano le menti dei governanti. Non è però altrettanto chiaro quanto l’effetto di tali ordinanze riesca ad essere illusorio.
Non solo infatti non si vanno a risolvere le reali questioni che investono oggi le nostre città e le nostre vite, ma si costruiscono pericoli, barriere e paure che ci rendano poi sensibili a misure che a cose normali avremmo ritenuto allucinanti (e questa è la strada preferita dalle destre governanti). A ciò si affianca una corrente perbenista ed efficientista che, nella ricerca della città ordinata, pone ai suoi margini ogni aspetto contrario (le sinistre si camuffano ancora sotto questi toni).
La nostra città, storicamente governata dalla sinistra, si inserisce appieno nella tendenza regolatoria nazionale e, dopo le ordinanze anti-borsoni, anti-prostituzione, anti-Rom, anti-degrado, eccoci a disciplinare il tempo libero delle persone.
«La Giunta ha fatto una scelta», ha affermato Federico Eligi, assessore all’ambiente, «tra il divertimento e il sonno noi pensiamo che debba vincere il sonno». Pisa, Consiglio Comunale, 30 Giugno 2009.
La costante lotta al degrado da parte dell’amministrazione comunale pisana si focalizza, con l’arrivo dell’estate, sulla vita notturna nella nostra città. La movida, viene definita, per indicare qualsiasi cosa si muova nelle strade dopo l’ora di cena, ripescando la parola spagnola per destare un senso di estremizzazione, di divertimento al limite, di esagerazione.
Le parole sono importanti, diceva Moretti in palombella Rossa. Ebbene, la parola movida nacque per designare la speciale atmosfera di vitalità in campo culturale e artistico e il particolare dinamismo intellettuale che presero a caratterizzare la Spagna a partire dall’inizio degli anni Ottanta, dopo gli anni vissuti dalla nazione sotto il regime di Francisco Franco (morto nel 1975). Ora, sembra evidente che Eligi, in sintonia con tutta l’amministrazione comunale – a meno che non sopraggiungano smentite – abbia nostalgia della Spagna franchista.
Pare insomma che telecamere, vigili e ordinanze anti-alcolici non siano sufficienti per placare gli istinti feroci di chi mette il naso fuori casa.
L’opuscoletto diffuso a inizio giugno da un’amministrazione comunale in cerca di consensi, con le istruzioni per l’uso di “Pisa by night”, è stato solo un leggero antipasto di ciò che ne è seguito in queste settimane. Questa piccola mossa è però la prova dell’accordo tra Comune e “bottegai” – Confesercenti e Confcommercio – che appena finiscono di gridare contro l’abusivismo, quando questo è tinto di nero e proviene dal Senegal, scendono a patti con l’amministrazione, grazie a scelte di "civile convivenza", per evitare che i propri abusivismi non incomincino a saltar fuori come conigli dal cilindro.
Il 25 giugno ha avuto luogo un consiglio comunale, nel quale si è discussa la “delibera di iniziativa popolare” promossa dal Comitato “La Cittadella”, con 800 firme allegate. E’ stato proposto il decentramento delle iniziative musicali e un maggior controllo sull’emissione dei decibel, nonché la richiesta di assoluto silenzio dopo le 24 nei prefestivi e dopo le 23 nei preferiali, specificando che il sabato non è festivo. E’ stato chiesto inoltre un maggior pattugliamento da parte della municipale e maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine.
Il 30 Giugno il consiglio comunale ha poi approvato una prima bozza del cosiddetto "regolamento movida", che disciplinerà gli orari di apertura dei locali, gli spettacoli e la musica in città. Il provvedimento passerà al vaglio prima della commissione consiliare competente e poi di tutto il consiglio comunale. Secondo le previsioni della giunta, il "regolamento movida" dovrebbe essere licenziato definitivamente a fine Luglio, ed entrare in vigore nello stesso periodo.
I cambiamenti saranno indicativamente questi.
I rumori dovranno cessare entro le undici di sera, mezzanotte nei giorni prefestivi (venerdì e sabato). Deroghe esclusivamente per il Litorale, dove la musica potrà andare avanti fino a mezzanotte, tutti i giorni della settimana.
Abolizione della regola del "silenzio-assenso", quel meccanismo per cui i commercianti che organizzano serate musicali devono semplicemente comunicarlo al comune, e in caso di silenzio di quest’ultimo si intende che la serata è autorizzata. Il Comune dovrà invece, col regolamento, dare specifica autorizzazione, al termine di un’istruttoria condotta dall’ufficio ambiente di Palazzo Gambacorti.
Le multe andranno da 258 a 10.329 euro. L’ufficio ambiente del Comune si incaricherà di vigilare sull’attuazione di queste regole, e assieme ai vigili urbani effettuerà controlli continui con appositi misuratori di decibel.
Insomma, questa è quella che potrebbe essere definita l’ordinanza anti-movida, ma forse, con qualche breve riflessione, sarebbe più preciso definirla l’ordinanza anti-cultura. La nostra infatti non è una pubblica difesa ai locali che spacciano ghiaccio al sapore di menta per 5 euro, facendoti credere che stai bevendo un mojito, ma l’attacco ad un’ipocrisia che deve finire. Quello che si profila è uno scenario di divertimento piatto e asservito al profitto dei commercianti delle vie del centro, senza alcuna alternativa per chi vorrebbe passare una serata non necessariamente all’insegna dell’alcool, sulle solite spallette dell’Arno, fino alle 4 di notte.
Al Comune torna comodo pensare che è questo che si chiede, è questo che i giovani vogliono e “noi non lo permetteremo”. E’ indubbiamente più facile semplificare il quadro nella scissione artificiosa e fittizia tra giovani riottosi e lavoratori responsabili, dove i primi creano degrado e i secondi chiedono il sonno. Ovvio che le ragioni vanno ai secondi. Peccato che così non è.
Da quando il bisogno di socialità, di uscire, di incontrarsi, di non abbandonarsi alla routine del produci-consuma-crepa, è prerogativa dei giovani? Davvero la folla di persone che ogni sera attraversa le strade della nostra città è composta da nullafacenti che dedicano la loro vita a divertirsi, preferibilmente sballandosi e urlando a squarciagola?
Quella che si delinea non è una lotta generazionale, ma una battaglia tra chi vive confinato nel proprio individualismo per colpa, troppo spesso, di tempi di vita imposti e male accettati e chi ancora ha voglia di provare, se non ad essere, perlomeno a sentirsi libero.
Colpisce e deve far riflettere l’affermazione nel documento del comitato “La Cittadella” della necessità di un uso residenziale del centro storico. Traducendo: il diritto al sonno di chi può permettersi di abitare nel supercentro della "metropoli pisana" prevale su tutto il resto, fa tabula rasa del diritto alla città dei non ivi abitanti. Da quell’espressione segue l’idea di una pericolosa zonizzazione della città, che condurrebbe a una concreta espulsione di segmenti di popolazione da quello che è il cuore pulsante di ogni città: il centro. Quello che dovrebbe invece essere sede di scambio e socialità, incontro e mescolanza.
Questa asfissiante retorica rischia, in questo caso come in tanti altri, di spostare l’attenzione dagli aspetti reali di un problema ad aspetti laterali e strumentali. Se infatti è indubbio che chi vive in centro debba fare i conti con disagi ignoti a chi vive in periferia, è vero anche che i responsabili di tali disagi non sono tanto, o solo, gli animatori della "movida pisana", bensì una cricca di amministratori completamente incapaci di organizzare una politica culturale e ricreativa all’altezza di una città da sempre viva e animata come Pisa.
Negli ultimi anni la quasi totalità delle attività ludico culturali, di attrattiva giovanile e non solo, che hanno mantenuto viva una città di 90.000 persone con 50.000 studenti universitari, sono passate attraverso le pratiche auto-organizzate.
Ciò che è doveroso porre in evidenza è dunque come l’amministrazione scelga deliberatamente di ignorare le istanze di migliaia di persone che chiedono altro, che chiedono spazi di socialità, diffusione di cultura, organizzazione di eventi (che non siano per le élites però!), finanziamenti per progetti artistici e culturali di vario tipo…
Perché non valorizzare il talento, la voglia di fare di tanti giovani, dando credito ad iniziative che propongono modelli di socialità non mercificata? Perché non aprire tanti luoghi sfitti che potrebbero ospitare iniziative in grado di distribuire meglio i flussi di persone? Perché non utilizzare la Leopolda, uno spazio costato miliardi e chiuso per 364 giorni all’anno, di cui il Comune ha il coraggio di vantarsi, per attività quotidiane come mostre serali, esposizioni, teatro?
E perché non utilizzare il magnifico Bastione Sangallo, che da oramai più di cinque estati è chiuso col lucchetto, lasciato all’incuria del tempo? Senza dubbio le risposte a queste domande implicano tempo, riflessione, soldi. Molto più semplice ed economico è avvalersi di un ordinanza e allontanare la questione.
A cura della redazione di Aut-Aut