Pisa: pubblichiamo il comunicato dell’assemblea delle
operatrici e degli operatori sociali che interviene nel dibattito sui
tagli al sociale. Ieri durante un incontro, convocato dalla Società
della Salute e dalla Provincia di Pisa, alla presenza di tutto il
terzo settore è stata avanzata la proposta di una
mobilitazione contro i tagli del 50% derivanti dalle scelte del
governo Berlusconi, da tenere il 28 novrembre.
Le amministrazioni
locali declinano ogni resposabilità e accusano il governo di
distruggere lo stato sociale, le lavoratrici e i lavoratori
denunciano la deriva securitaria dei governi locali e difendono con
forza la necessità di salvaguardare ben 50 di posti di lavoro
a rischio.
L’amministrazione Filippeschi, fin dal suo insediamoento,
si è distinta per la politica delle ordinanze, delle
telecamere e della militarizzazione della città, mentre a
Calci il sindaco ha deciso di destinare il suo compenso di primo
cittadino al pagamento delle utenze delle famiglie in difficoltà.
Una piccola scelta che evidenzia una assunzione di responsabilità,
forse quello che Filippeschi dovrebbe iniziare a fare.
riportiamo il comunicato
Nell’arco di soli due anni il governo ha tagliato il
Fondo Nazionale Politiche Sociali di quasi la metà, passando
dai 953 milioni circa del 2007 ai 517 milioni circa di quest’anno, di
cui, ad oggi, è stato erogato solo il 50%.
Per la Toscana significa passare dai 61 milioni circa
del 2007 ai 34 milioni circa del 2009. Una scelta, quella del
governo, che blocca il sistema del welfare, danneggia le fasce
della popolazione a rischio: anziani, diversamente abili, giovani
coppie, famiglie in situazioni di disagio, minori
adolescenti e migranti.
Le
conseguenze, sul territorio pisano, ammontano ad un taglio di 1,8
milioni di euro (900
mila nel 2009 e 900 mila nel 2010);
ciò significa il potenziale
licenziamento di circa 50 operatori e operatrici sociali.
Questo non solo
per
le scelte economiche del governo,
ma anche per precise scelte politiche,
degli
amministratori locali,
di allineamento alle direttive nazionali, che tendono a negare
qualsiasi tipo di risposta collettiva e sociale ai fenomeni di
cambiamento che stiamo vivendo.
La
distribuzione dei tagli per opera degli amministratori locali va a
colpire principalmente utenti e lavoratori e lavoratrici di quei
progetti che si occupano di cittadini deboli e svantaggiati,
sostituendo alle politiche sociali, politiche securitarie improntate
sul controllo sociale e la repressione
La
tendenza ad attuare un controllo sociale attraverso ordinanze, come
quella anti-prostituzione, anti-borsoni e anti-accampamento (come per
esempio la chiusura dei campi rom), in realtà sembra voler
negare il disagio invece che affrontarlo; la politica delle ordinanze
non risolve i problemi, ma genera al contrario maggiori situazioni di
illegalità e criminalità.
Il
rischio è quello di entrare in una logica della prevenzione
che si va ad esercitare attraverso il controllo del territorio (vedi
telecamere e zona stazione), spinto fino alla militarizzazione e alla
limitazione dello spazio di azione dei cittadini.
Si rischia di produrre un nuovo immaginario sociale
costruito sul controllo, che diventa l’unico strumento per la
gestione dei soggetti ormai diventati sorvegliati di massa, siano
essi pericolosi, devianti o semplicemente diversi.
Non pensiamo che i problemi di una società
possano essere affrontati come problemi di ordine pubblico, di
sicurezza. Non condividiamo e ci batteremo contro il Pacchetto
Sicurezza emanato dal Governo così come non condividiamo le
ordinanze emesse dalla giunta Filippeschi, perchè al contrario
crediamo nel bisogno di privilegiare politiche di accoglienza e
solidarietà, di prevenzione e riduzione del danno, di sostegno
a famiglie e persone in difficoltà.
Ci
chiediamo cosa risponde “la committenza” alle operatrici ed agli
operatori che da anni lavorano con professionalità in quei
servizi a sostegno delle fasce deboli ed emarginate in centro come in
periferia. Vi sono progetti con più di dieci anni di lavoro e
conoscenza del territorio, che dall’anno nuovo rischiano di
scomparire senza tenere conto delle conseguenze che ricadranno in
toto non solo sull’utenza ma sulla collettività tutta.
Parole
come partecipazione, promozione, inclusione, integrazione e
cittadinanza attiva si ripetono dalle carte dei diritti e dei servizi
alle dichiarazioni in pompa magna delle amministrazioni locali, della
Regione e del Governo, ma, di fatto, le scelte operative evidenziano
la tendenza all’uso di politiche sociali sempre meno tolleranti e
aperte all’accoglienza e sempre più decise ad assecondare le
fobie di una società di orwelliana memoria in preda alla paura
del diverso.
Come lavoratrici e lavoratori sentiamo mortificata la
nostra professionalità educativa. Una professionalità
che integra le parti, fa da anello conduttore con tutti quei segmenti
sociali che questa fase economica ha espulso dal sistema. Colleghe e
colleghi che si sono formati accademicamente e sul campo, che hanno
costruito tramite lavoro duro e frontale solidarietà, sostegno
a chi aveva bisogno.
Operatrici e operatori precari che lavorano appesi ad un
filo, con poche risorse e tante richieste d’aiuto. Precari con un
contratto nazionale ridicolo, al di sotto di circa duecento euro al
contratto (eguale mansione) del pubblico impiego, attanagliati dalle
più svariate e fantasiose tipologie contrattuali.
In questo contesto chiediamo un’assunzione di
responsabilità delle istituzioni competenti per far sì
che vengano mantenuti e ri-finanziati tutti i progetti e garantiti
tutti i posti di lavoro con uno sforzo economico ed una volontà
politica maggiore di enti locali dell’area pisana e della Regione
toscana.
Assemblea operatrici e operatori sociali
Contro
i tagli: Meno telecamere e militarizzazione più accoglienza e
solidarietà