Così, tra le varie “meraviglie” ci sarà anche la facoltà per le imprese di peggiorare a livello aziendale, a loro favore, le normative regolate da un contratto nazionale che già ne prevede di tutti i colori. Eccone alcuni esempi.
Durata del contratto allungata a 3 anni: in questo modo, mentre l’inflazione si mangia il salario ogni giorno, ci vorranno 3 anni per averne un qualche misero recupero.
Incrementi salariali: altro che recupero del potere d’acquisto! Si tratta di 135 euro lordi scaglionati in 3 rate nell’arco di 3 anni per il livello D1, che diventano 115 per il livello E1: aumenti calcolati con un nuovo parametro di misurazione dell’inflazione (da cui resta escluso l’aumento del prezzo dei prodotti energetici), perfino peggiore di quello precedente, che ci aveva falcidiato le retribuzioni di migliaia e migliaia di euro all’anno a partire dal 1992, quando Cgil, Cisl, Uil, padroni e governo avevano abolito la “scala mobile dei salari”.
In compenso (!), a questo incremento verrà aggiunta la mancia di 10 euro per l’integrazione pensionistica (per chi è titolare di fondi pensione privati), di 3 euro (!) per l’integrazione sanitaria, di 2 euro (!) per i dipendenti di imprese senza contrattazione aziendale.
Scatti d’anzianità: vengono semplicemente aboliti, congelandoli al 31/12/2009. Non ci resta che calcolarne i danni in busta paga!
Il premio di partecipazione/risultato sarà totalmente variabile, decurtato complessivamente in base all’ “assenteismo” medio ed erogato in base all’ “assenteismo” individuale.
I contratti a termine potranno durare ben oltre i 36 mesi previsti dalla legge, arrivando fino a 54.
Periodo di prova raddoppiato, raggiungendo i 4 mesi per il livello E e i 6 mesi per i livelli C e D, per permettere al padrone il massimo controllo sui lavoratori prima di confermarne l’assunzione.
Libertà sindacale e diritto di sciopero, fortemente limitati dall’istituzione della Conciliazione e dell’Arbitrato nelle vertenze di fabbrica, perché non venga disturbata la “pace” padronale e gli accordi aziendali siano in linea coi piani delle imprese e dei sindacati loro compari, senza che ai lavoratori venga riconosciuto il diritto di contrapporsi alle loro manovre, e col ridimensionamento del ruolo delle stesse RSU.
Permessi della legge 104: occorre comunicare il proprio calendario annuale (!) di utilizzo all’azienda, la quale potrà anche differirne la fruizione per motivi organizzativi.
In caso di crisi aziendale, l’impresa ha la facoltà di trasformare i contratti a tempo pieno in contratti part-time, senza alcuna contrattazione.
BEL CONTRATTO; NO? D’altronde, non c’era da aspettarsi niente di meglio, non solo dai padroni, ma neppure da sindacati capaci solo di muoversi nel più pieno accodamento alla volontà delle imprese (e del governo). E questa non è una novità.
Come potrebbe esserlo, invece, una forte opposizione dei lavoratori a questa vergogna di contratto e l’inizio di un percorso che li veda impegnati a costruire un sindacato di base.
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