Alcune riflessioni in merito al ddl della ministra Carfagna sulla prostituzione, a cura del collettivo Rossefuoco

Pubblichiamo il documento scritto dalle compagne del Collettivo femminista Rossefuoco – Centro sociale Askatasuna – sul decreto sulla prostituzione.
 
Dopo averlo annunciato prima dell’estate nell’ambito del pacchetto sicurezza, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge su «misure contro la prostituzione», messo a punto dalla ministra per le Pari opportunità Mara Carfagna insieme ai colleghi Alfano e Maroni, che modifica la legge Merlin del 1958. Nel ddl, composto da 4 articoli, la prostituzione in luogo pubblico viene definita un fenomeno di «allarme sociale». Come tale è reato e va punito, perfino col carcere, in egual misura fra chi la esercita e chi se ne avvale. Sarà vietato, quindi, prostituirsi per strada, chi trasgredisce, prostitute e clienti, sarà punito anche con l’arresto: da 5 a 15 giorni, oltre che un’ammenda da 200 a 3 mila euro, nessuna sanzione invece per chi esercita in luoghi chiusi. Chi sfrutta la prostituzione minorile rischia da 6 a 12 anni e multe da 15 mila a 150 mila euro.
 
Vengono anche introdotte nuove norme in materia di rimpatrio dei minori stranieri che si prostituiscono: un successivo decreto del presidente del Consiglio dei ministri dovrà prevedere procedure semplificate per accelerare il rimpatrio del minore nel paese d’origine. * Il ddl Carfagna ha l’obiettivo, non di combattere il fenomeno come tuona quel "contro" nel titolo, ma di togliere le prostitute dalla vista dei "benpensanti", per relegarle in casa o in "aree di piacere" possibilmente periferiche e invisibili, in cui continuare a soddisfare le voglie degli stessi benpensanti uomini. La prostituzione non è un problema di ordine pubblico, non ci sono reati commessi da prostitute ai danni di terzi; i reati connessi alla prostituzione riguardano lo sfruttamento della stessa e in particolare la tratta di esseri umani e in questo caso le prostitute sono vittime e non ree. Così come accaduto con il pacchetto sicurezza e l’immigrazione, si punisce la vittima, l’anello debole, quello più visibile e più facile da catturare, a tutto vantaggio degli sfruttatori perchè arrivare a loro è molto più complesso e lo squallido mercato delle donne immigrate viene trattato come un qualcosa che va nascosto, ordinato.
 
Il carcere per le prostitute in strada, si limita a spostare il "problema" da un luogo all’altro (dalla città alla periferia, dalla strada ai condomini) senza risolverlo. E’ falso sostenere, come si legge nella relazione tecnica allegata al ddl, che "è soprattutto in luogo pubblico che si perpetrano le più gravi fattispecie criminose finalizzate allo sfruttamento sessuale"; al contrario nel chiuso delle case chi si prostituisce sarà ancora più sfruttato, invisibile e verrà spinto ulteriormente nella clandestinità. La prostituzione in strada, è esercitata spesso da persone con serie difficoltà economiche e sociali (immigrate ma anche italiane), o da persone discriminate che spesso non hanno alternative (come le transessuali).
 
Come denunciano il *MIT (Movimento Identità Transessuale*) e il *Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute*: "La proibizione di lavorare in strada avrà conseguenze gravi e pericolose per tutte quelle persone che non sono in grado di organizzarsi in altri luoghi e al chiuso. Non è infatti possibile che ogni transessuale e/o ogni donna possa ottenere un contratto di affitto, o acquistare una casa dove esercitare. La situazione di maggiore precarietà che si verrà a creare condizionerà fortemente il potere contrattuale delle sex workers mettendo a rischio la loro sicurezza e incolumità fisica e di conseguenza la salute di tutti i cittadini". "La debolezza delle *sex workers* lascerà spazio al rafforzamento delle associazioni criminali che sfruttano la prostituzione, a chi lucra sul commercio sessuale e sull’indotto".
 
Il "giro di vite" che il Governo ha varato avvantaggia, di fatto, gli sfruttatori e danneggia le vittime. E danneggia anche i minori, perché l’articolo che prevede il rimpatrio dei minori dediti alla prostituzione non tiene conto delle norme internazionali per cui un minore deve essere rimpatriato nel proprio paese d’origine solo se tale misura corrisponde alla realizzazione del suo superiore interesse. E verificare ciò, significa identificare, caso per caso, una soluzione duratura che permetta la più completa realizzazione possibile dei diritti del minore in questione, la cui opinione in merito deve essere ascoltata e tenuta in dovuta considerazione. Inoltre sarà molto più difficile per le tante associazioni che si occupano di prostituzione, avvicinare le donne per tentare di convincerle ad uscire dal racket ed inserirle nel percorso di protezione sociale previsto dall’Art.18 del Testo Unico sull’immigrazione del 1998 o semplicemente attuare minime forme di informazione e prevenzione per la tutela della salute come la distribuzione gratuita dei preservativi..
 
Quindi i luoghi chiusi sono piuttosto un maggior affare per le organizzazioni criminali e una garanzia di riservatezza per quei tanti clienti maschi, di ogni età e di ogni ceto sociale che rappresentano il vero motore di questo mercato. Le ricerche e le rilevazioni sul campo concordano su due dati: il 70% sono uomini sposati, la percentuale maggiore ha un livello scolastico medio alto. Diventa sempre più necessaria una seria e profonda riflessione sulle ragioni di questa forte domanda mercenaria di sessualità, di uomini che coscientemente acquistano e consumano una schiava, spesso minorenne, ben sapendo il percorso violento che essa ha subito. *La prostituzione è una delle più antiche istituzioni della società patriarcale,*considerata un "male necessario" per lunghi periodi è stata addirittura legalizzata a fonte di guadagno per lo stato.
 
La storia delle donne è da sempre "macchiata" da queste oppressioni: vendita delle donne, baratto o prestito di moglie, sorella, figlia ecc., matrimoni combinati fin dalla nascita delle figlie, violenze che ancora oggi persistono in molte società. Il fatto che l’uomo abbia sempre potuto comprare il suo piacere dalla donna che glielo procurava, evidenzia, nella linearità del suo svolgimento, il carattere del potere dell’uomo sulla donna. La prostituzione è la forma più violenta di sfruttamento del corpo e della sessualità femminile, la rappresentazione del dominio maschile sulla donna attraverso una sessualità mercificata dove l’uomo può sentirsi padrone perché compra e quindi possiede e dispone. E’ una forma di imposizione sociale e culturale che il patriarcato ha sempre imposto alla donna e che poi il capitalismo ha mercificato.
 
Dall’inizio degli anni ’90 assistiamo ad un grande cambiamento del mondo della prostituzione e all’introduzione massiccia di flussi migratori femminili dai paesi poveri all’occidente. Ovviamente le cause di questi flussi migratori femminili sono le stesse che caratterizzano i flussi migratori in generale, e sono soprattutto dovuti al continuo impoverimento degli stati del cosiddetto terzo, quarto mondo. Il processo di globalizzazione ed il neo-liberismo imposto a tutto il mondo dal capitalismo occidentale, ha modificato radicalmente le condizioni di vita in paesi già poveri e ha portato alla distruzione di molte economie locali, attività perlopiù legate alla terra, creando un nuovo tipo di proletariato o sottoproletariato a cui vengono imposte condizioni di lavoro aberranti. Per chi non lavora per quattro soldi per le multinazionali, l’altra alternativa è l’emigrazione verso i paesi occidentali col miraggio, tutto fittizio, di una vita coperta d’oro.
 
Le donne, come al solito, pagano un grosso prezzo e quando emigrano finiscono o sottopagate nelle nostre case come assistenti familiari o sui marciapiedi, vittime del traffico di esseri umani. La tratta delle persone per scopi sessuali è un fenomeno che rappresenta oggi uno degli aspetti sociali, criminali ed economici (fatturato miliardario, il terzo dopo droga e armi, gestito da organizzazioni criminali) più inquietanti per vastità geografica e per le tante violenze, fisiche e psicologiche con cui si esplica: in Italia le vittime di tratta sono stimate (al 31/12/2007) in circa 25-30.000, rappresentano più del il 70% del mercato della prostituzione e provengono da oltre 50 Paesi. Negli ultimi anni sono anche aumentati i clienti che si spostano a livello internazionale e che alimentano il "turismo sessuale" ai danni soprattutto di bambine e bambini (o appena adolescenti) dell’Asia e del Sud America: gli italiani sono al terzo posto dopo tedeschi e giapponesi!
 
Come sono anche cresciute le donne italiane che per necessità si trovano costrette a prostituirsi o le ragazze giovani che per inseguire i modelli imposti e la dipendenza dal lusso rimediano qualche o molti euro vendendo il proprio corpo. Ultimamente nei vari locali notturni ritroviamo anche gli uomini che vendono il proprio corpo come fonte di guadagno. Un discorso a parte è necessario per i transessuali, spesso costretti a prostituirsi come unica possibilità di sopravvivenza, perché il radicato pregiudizio nei confronti di persone considerate "diverse" per le loro scelte sessuali non conformiste, rende difficile il loro inserimento in settori del lavoro tradizionale. Per questo sosteniamo che la prostituzione non è uno stile di vita che le persone, nella stragrande maggioranza donne, liberamente scelgono ma è una forma di imposizione sociale e culturale che la società ci impone. Riteniamo importante riprendere il dibattito e la lotta contro queste forme di violenza contro le donne.
 
Ogni donna è libera di disporre del proprio corpo e quindi anche di avere liberi e molteplici rapporti di tipo sessuale…questa libertà però non c’è, decade, quando si monetizza l’atto, quando si mercifica il corpo e la sessualità femminile e soprattutto quando il sistema produce e organizza la compravendita. E’ molto comodo pensare che una donna scelga di prostituirsi quando invece questa è l’unica forma indotta dalle condizioni reali e materiali per sostenersi o per avere una vita dignitosa da un punto di vista economico. E’ vero che alcune immigrate (che, ripetiamo, rappresentano più del 70% delle prostitute) oggi, a differenza di qualche anno fa, sanno che cosa verranno a fare in Italia o ricevono una percentuale degli utili dal racket (metodo questo per disincentivare le fughe), ma hanno altre alternative?
 
La mancanza di scelta non è tanto legata alla prostituzione stessa ma dipende da abuso, povertà, impossibilità di trovare lavoro, inesperienza, falsa pubblicità dello stile di vita occidentale, ma anche falsi stili di vita. Un ulteriore problema oggi, complesso e che andrebbe analizzato a fondo, strettamente connesso alla visione che si ha della vendita del corpo, è l’esibizione mercificata del corpo stesso soprattutto femminile, ma anche maschile, costantemente proposta in tanti ambiti, televisione e pubblicità in primis. Un’esibizione ossessiva che impone un modello, un’immagine di donna e di uomo a cui tutti devono sottostare. La contraddizione è perfettamente esplicata dalla proposta televisiva che ci viene quotidianamente propinata. Nel paese, l’Italia, più sessuofobo e sessualmente repressivo e represso del mondo occidentale, la stimolazione sessuale televisiva attraverso la messa in esposizione di carne fresca femminile e maschile ci colpisce scientificamente ad ogni ora del giorno e della notte.
 
È un bombardamento continuo di tette e culi, di corpi unti e muscolosi che si offrono alla vista nonché alla vendita dello spettatore/consumatore. E tutto questo esibirsi, proporsi, vendersi, mercificarsi, non è forse prostituzione? Vendere il proprio corpo in televisione è forse un commercio più legittimato e socialmente accettato, ma non privo di contraddizioni complesse che andrebbero maggiormente sviscerate. Per questo ci fanno sorridere le dichiarazioni della Carfagna: "…la prostituzione mi fa rabbrividire, mi fa orrore, non comprendo chi vende il proprio corpo. …". I commenti si potrebbero sprecare su chi ha venduto il proprio corpo per apparire su un calendario e per fare carriera politica, oltre al considerare la prostituzione come fenomeno ineluttabile… *Questa è la reazione di Carla Corso, una delle fondatrici del Comitato dei diritti delle prostitute, alle affermazioni del ministro Mara Carfagna che stamattina ha detto di provare "orrore per chi vende il proprio corpo".
 
Eppure – afferma Corso – "la signora ha usato il suo corpo per arrivare dove è arrivata, facendo calendari. Basta aprire internet per vedere le sue grazie". * Il corpo femminile da un lato è considerato incubatrice o mero contenitore riproduttivo, dall’altro merce e come tale deve essere impacchettato e confezionato per essere meglio presentato sul mercato. Gli esempi sono tanti e troppi: la televisione e la pubblicità non fanno altro che presentare immagini di donne non più semplicemente svestite, belle e giovani ma sempre più ammiccanti nei gesti e nei balletti, come se una donna dovesse essere solo strumento di piacere sempre a disposizione e come se questo dovesse diventare pure una meta da raggiungere per alcune donne, per essere "qualcuno" e per essere accettate.
 
Non solo in TV ma ormai in molte situazioni, dal lavoro all’università, viene quasi imposta l’esibizione del corpo per mantenersi il posto di lavoro o per passare un esame. Alcune donne possono anche cadere nell’errore di pensare che usare il proprio corpo sia una forma di scelta di liberazione per cui andare fiere; a noi pare molto poco liberatorio vendere il proprio corpo per il profitto che in genere è pure di qualcun altro..
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