E’ nato l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, con l’impegno di Radicali Italiani, Ass. “Il Detenuto Ignoto”, Ass. “Antigone”, Ass. A “Buon Diritto”, “Radiocarcere”, Ass. “Ristretti Orizzonti”. Di seguito il primo comunicato stampa dell’Osservatorio.
Negli ultimi 20 anni il 40% delle persone incarcerate è stata assolta a processo
Lo stato in 5 anni ha risarcito oltre 210 milioni € per “ingiuste detenzioni”
Il suicidio di Massimiliano Menardo, 36 anni, avvenuto l’altro ieri nel carcere di Sondrio porta a 66 il numero dei detenuti suicidi dall’inizio dell’anno, avvicinando sempre più al “record” storico di 69 casi registrati nel 2001, mentre il totale dei morti “di carcere” sale a 160.
La combinazione data dal sovrannumero di carcerati e dalla scarsità di personale penitenziario sta determinando una situazione insostenibile, dove oramai le morti di detenuti hanno cadenza quasi quotidiana.
Mai come in questo momento appare necessaria e inderogabile una riflessione sulle cause che determinano il maggiore sovraffollamento delle carceri italiane nella storia della Repubblica, non certamente dovuto ad un aumento della criminalità (il Viminale riferisce un calo generalizzato dei reati), quanto piuttosto all’utilizzo della custodia cautelare come vera e propria “anticipazione della pena” (dovrebbe essere una misura eccezionale, invece i detenuti in attesa di processo sono oltre 31.000 – dati al 30 settembre), ma anche ad una minore concessione di misure alternative alla detenzione (fino al 2006 il numero di detenuti e quello degli ammessi a misure alternative era pressoché uguale, oggi abbiamo oltre 65.000 detenuti e 13.000 persone in misura alternativa – vedi allegati).
In altre parole, le carceri sono strapiene anche perché vi si trovano troppi imputati – il 40% dei quali è destinato ad essere assolto – (dal 2002 al 2007 lo Stato ha speso 212mln di euro come riparazione per le ingiuste detenzioni – vedi allegato) e troppi condannati con condanne minime (quasi 10mila hanno meno di 1 anno di pena residua) che potrebbero scontare in misura alternativa.
Premettendo che ogni decesso dietro le sbarre rappresenta di per sé un fatto inaccettabile per la civiltà del paese e per le nostre coscienze, viene da chiedersi quanti dei detenuti che muoiono ogni anno avrebbero potuto essere fuori dal carcere e, probabilmente, essere ancora vivi.
Le morti sono più frequenti tra i carcerati in attesa di giudizio, rispetto ai condannati, in rapporto di circa 60/40: mediamente, ogni anno in carcere muoiono 90 persone ancora da giudicare con sentenza definitiva e le statistiche degli ultimi 20 anni ci dicono che 4 su 10 sarebbero stati destinati ad una assoluzione, se fossero sopravvissuti. In definitiva, ogni anno 30 – 35 dei morti in carcere erano probabilmente innocenti.
A questi vanno naturalmente aggiunti i condannati che avrebbero potuto essere in misura alternativa, ma qui il calcolo diventa piuttosto difficile.
Non potendo dare un quadro esaustivo abbiamo raccolto alcune vicende significative riguardanti suicidi di detenuti che sono morti proclamandosi innocenti, facendo con il proprio corpo, con la propria vita, un estremo tentativo di discolpa.
Ma anche vicende di detenuti che in carcere non dovevano essere: malati terminali, paraplegici, accusati del furto di una bicicletta, di resistenza a pubblico ufficiale, immigrati “catturati” in Questura dove erano andati a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno, tossicodipendenti in preda alla disperazione.
Sono 36 storie, vale la pena di leggerle per avere uno “spaccato” del carcere oggi in Italia.
Osservatorio Permanente sulle morti in carcere
Art. 150 Codice Penale
La morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato.
Art. 171 Codice Penale
La morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue la pena.
QUESTE PERSONE SI SONO UCCISE IN CARCERE PROCLAMANDOSI INNOCENTI.
NESSUNO POTRÀ MAI SAPERE SE LO ERANO DAVVERO. DI CERTO C’È CHE HANNO USATO IL LORO CORPO, LA LORO VITA, NELL’ESTREMO TENTAVIVO DI FARSI ASCOLTARE E CREDERE.
Suicidio: 14 novembre 2009, Carcere di Tolmezzo (UD)
Aveva protestato la propria innocenza per otto mesi e l’altra sera, forse schiacciato dalla disperazione, si è ucciso infilandosi un sacchetto di plastica in testa: è morto così, nel carcere di Tolmezzo (Udine), l’imprenditore navale veneziano Bruno Vidali, 46 anni.
L’uomo era finito dietro le spalle otto mesi fa, al termine delle indagini su un tentato duplice omicidio avvenuto nella Laguna di Venezia. Vidali era sospettato di aver ordinato il delitto al pregiudicato Alessandro Rizzi (49), che aveva confessato chiamandolo in causa. Vidali trovava nel penitenziario friulano da circa due mesi, dopo essere stato in quelli di Treviso e di Venezia; non era sottoposto a regimi restrittivi particolari, ma aveva inutilmente chiesto di poter incontrare i propri familiari. Inutili anche le richieste dei legali, Antonio Franchini e Marco Vassallo, di remissione agli arresti domiciliari.
In una toccante lettera aperta in memoria del loro assistito, gli avvocati definiscono Vidali “una vittima dello Stato e del suo sistema giudiziario: si è tolto la vita perché non ha retto l’angoscia, la solitudine, la perdita di fiducia in un sistema giudiziario che lo ha lentamente, ma inesorabilmente stritolato nelle proprie spire, prima ancora di essere giudicato e ritenuto colpevole o innocente”.
Suicidio: 12 settembre 2009, Carcere di Prato
Fersi Walid, tunisino di trent’anni, nella notte tra venerdì 11 e sabato 12 settembre si è impiccato nella Sezione “sex-offenders” del carcere di Prato, usando le lenzuola. Purtroppo nessuno dei suoi compagni di cella se ne è accorto e lo ha notato solo l’appuntato di turno. Fersi già da tempo aveva messo in atto proteste “autolesionistiche” per protestare contro la dura condanna (9 anni), che riteneva ingiusta. Alcuni mesi fa si era cucita la bocca e a luglio aveva iniziato lo sciopero della fame; in ogni caso aveva esplicitato in più occasioni l’intenzione di togliersi la vita.
Suicidio: 8 settembre 2009, Carcere di Teramo
Tragedia nel carcere di Teramo. Si è tolto la vita, nel pomeriggio di ieri, Cole Abib, 32 anni, detenuto di origine senegalese accusato di avere usato violenza, a Pescara, nei confronti di una disabile. Accanto al suo corpo sono stati rinvenuti, oltre a dei biglietti di addio, una bomboletta di gas utilizzata dai detenuti per accendere i fornelli e una busta di plastica, usata probabilmente per il soffocamento. L’uomo – sposato e padre di un bambino – era stato arrestato il 3 marzo scorso dai Carabinieri di Pescara per violenza sessuale su una diciottenne affetta da ritardo mentale. Lui però si proclamava innocente.
Suicidio: 5 settembre 2009, Carcere di Pavia
Sami Mbarka Ben Gargi, 41enne di origine tunisina, è deceduto il 5 settembre scorso nel reparto di Chirurgia toracica del policlinico San Matteo di Pavia, dove era ricoverato da tre giorni su ordine del magistrato di sorveglianza, dopo uno sciopero della fame e della sete che andava avanti da oltre un mese e mezzo e che l’aveva ridotto a un fantasma. È morto di fame, lucidamente, per scelta, per protestare contro una condanna che riteneva ingiusta.
Suicidio: 17 marzo 2009, Carcere di Padova
Un tunisino di 30 anni, Jed Zarog, si è suicidato in cella martedì scorso. Il corpo del giovane è stato trovato nella sua cella della Casa Circondariale ormai privo di vita da una delle guardie penitenziarie. Che ha immediatamente avvertito il magistrato. L’uomo, incensurato, era finito in carcere la settimana precedente con l’accusa di furto, ma si proclamava innocente. È possibile che lo spettro della detenzione lo abbia convinto alla scelta drastica di togliersi la vita.
Suicidio: 11 settembre 2008, Carcere di Opera (Milano)
Jonny Montenegrini, 32 anni, viene trovato morto carcere di Opera a Milano. Per i familiari e l’avvocato la sua morte è un giallo. Non credono all’ipotesi del suo suicidio. Lo hanno trovato impiccato in una cella del carcere di Opera a Milano. Il giostraio bassanese Jonny Montenegrini, 32 anni, era stato arrestato il 20 giugno dai carabinieri di Vicenza per una rapina avvenuta l’11 maggio a Camisano. Era paraplegico e perciò non aveva l’uso delle gambe. Era ritenuto l’autista del commando che aveva alleggerito la biglietteria degli autoscontri di Renzo Rizzi.
“I familiari sono sconvolti e non credono alla tesi del suicidio – spiega l’avvocato Riccardo Benvegnù di Padova, difensore della vittima -. Del resto, io stesso nutro delle perplessità. Ci sono circostanze che non mi quadrano. L’avevo visto di recente ed era fiducioso sull’esito dell’inchiesta della procura di Vicenza perché mi ripeteva di non essere stato lui a guidare l’auto della fuga. Per capirci, non lasciava certo intendere che fosse in una critica situazione psicologica”.
Suicidio: 8 luglio 2007, Carcere Regina Coeli (Roma)
Sfaxi Halim, 45 anni, tunisino, si uccide impiccandosi con un lenzuolo alla porta del bagno della sua cella, nel 7° braccio del carcere romano di Regina Coeli. L’uomo era in carcere dal 4 giugno per aver tentato di rubare un’auto, accusa che respingeva. Aveva già tentato il suicidio una prima volta il 3 luglio, ferendosi con una lametta, e da allora era sotto stretta sorveglianza. In Italia non aveva parenti.
Suicidio: 20 maggio 2007, Carcere di Secondigliano (Napoli)
E.C., 55 anni, detenuto perché accusato di pedofilia dalla moglie, che gli attribuiva molestie sessuali nei confronti della loro bambina, si uccide in cella. Recentemente, durante un’udienza del processo, E.C. aveva tentato di aggredire la moglie in aula, perché a suo dire lo stava calunniando. L’uomo, in cattive condizioni di salute, era sotto osservazione medica, ma nulla aveva mai lasciato ipotizzare un gesto estremo. Domenica scorsa, poco prima delle 13, gli agenti, che hanno aperto la sua porta per accompagnarlo all’aria, ne hanno scoperto il cadavere appeso all’aeratore in bagno.
Suicidio: 20 maggio 2006, Carcere di Secondigliano (Napoli)
Lucio Addeo, 44 anni, si uccide in cella. “Anna, bada ai bambini, lo farò anch’io a mio modo”: è il disperato testamento di un padre sussurrato alla moglie incinta del terzo bimbo nel parlatorio del carcere di Secondigliano. Lucio Addeo, di Palma Campania, incensurato, titolare di una delle più floride aziende di frutta secca, è stato trovato due giorni fa a ora di pranzo con un lenzuolo stretto alla gola. Si è impiccato nella cella in cui era recluso da solo perché accusato di tentata estorsione. Lui si era sempre proclamato innocente, anzi aveva spiegato di essere stato lui vittima di degli estorsori.
La famiglia ora sta valutando di sottoporre il suo caso all’attenzione del ministero della giustizia. “Si è ucciso per dimostrare a tutti che era una persona pulita – spiega la moglie Anna Imblema – per dare un futuro ai figli. La vergogna di essere accusato di essere vicino alla camorra lo aveva portato alla disperazione. Ultimamente mi ripeteva sempre di badare ai bambini e ora so cosa voleva dirmi”. Arrestato lo scorso 27 marzo era stato rinchiuso prima a Poggioreale e poi trasferito a Secondigliano. Il tribunale del riesame aveva respinto la richiesta di revoca della misura cautelare e così era rimasto dietro le sbarre. “Ha sostenuto sette interrogatori – spiega il suo legale Carmine Del Genio – e il momento più duro è stato quello del confronto. Sentiva molto la pressione di questi lunghi incontri, non era abituato, come non era abituato al carcere. Ha spiegato tutto e aspettava che la giustizia gli andasse incontro, invece non è andata così. Anzi lo avevano messo in cella da solo”.
Suicidio: 26 febbraio 2006, Carcere di Rossano Calabro
Asmelash Merhawui, 28 anni, di nazionalità eritrea, si impicca con un filo sottile alle sbarre della cella d’isolamento. I medici del 118, chiamati dagli agenti di polizia penitenziaria, hanno constatato la morte del giovane per soffocamento. L’uomo era in attesa di giudizio, proveniva dal carcere di Crotone ed era a Rossano da pochi giorni. Era accusato di traffico di clandestini, una colpa che respingeva con forza.
Suicidio: 11 agosto 2005, Carcere di Foggia
Michele Manzella, 21 anni, si suicida impiccandosi con la cintura dell’accappatoio alla grata della finestra del bagno della sua cella. Era finito in cella il 20 luglio scorso perché accusato di un’estorsione e due episodi di piccolo spaccio di cocaina nell’ambito del blitz antidroga denominato “Coca Taxi”. Si dichiarava innocente e il 5 agosto il Tribunale della libertà di Bari aveva rigettato il ricorso difensivo, confermando la detenzione in carcere. Non si conoscono i motivi del gesto: nella cella non ha lasciato lettere. Manzella, venditore ambulante di generi alimentari, è morto ieri mattina nella sala di rianimazione degli ospedali riuniti del capoluogo dauno dov’era stato ricoverato martedì pomeriggio in gravissime condizioni.
Suicidio: 21 luglio 2005, Carcere di Teramo
Vincenzo Donvito, 38 anni, originario di Bari, si uccide impiccandosi in cella. Lo hanno trovato riverso nel bagno della cella, ormai senza vita, impiccato con un cappio rudimentale del lenzuolo del suo letto avvolto attorno alle sbarre della finestrella. Vincenzo Donvito, 39 anni, barese, è il secondo detenuto che si toglie la vita nel carcere di Castrogno negli ultimi tre mesi. Il 23 aprile stessa sorte era toccata a Domenico Gentile, 56enne chietino. Donvito era in carcere per l’omicidio di una donna anziana in Puglia e avrebbe finito di scontare la sua pena a 20 anni di reclusione nel 2017.
Il 10 febbraio del 2006, Sebai Ezzedine – un 33enne immigrato tunisino – rilascia una confessione al dott. Nobile della Procura di Milano, successivamente confermata dinanzi al P.M. di Taranto Dott.ssa Montanaro, nell’ambito della quale ammette la propria responsabilità in merito all’omicidio di 15 anziane signore. Si tratta di donne sole, sgozzate nelle loro abitazioni, che ricordavano al reo confesso le donne che da bambino lo picchiavano e seviziavano. Sulla decisione del Sebai di confessare la verità e di scagionare persone che egli sapeva con sicurezza essere innocenti ha, senza alcun dubbio, influito il suicidio di Vincenzo Donvito il quale, dopo aver proclamato per anni la sua innocenza, non ha retto al regime carcerario ed al tormento di essere recluso ingiustamente e si è tolto la vita impiccandosi in carcere.
Suicidio: 31 marzo 2005, Carcere di Civitavecchia
Detenuto rumeno di 30 anni si impicca in cella con un lenzuolo. Era stato arrestato solo due giorni prima dai Carabinieri di Ladispoli, con l’accusa di tentata estorsione ai danni di una sua connazionale. Interrogato verso le 12.00 di giovedì dal gip dott. Filocamo che, su richiesta del Pm, dott. Edmondo De Gregorio, ne aveva convalidato l’arresto, nonostante l’uomo respingesse ogni addebito. Tre ore e poi il dramma.
Suicidio: 19 febbraio 2005, Carcere di Trani
C.M., italiano di 34 anni, si impicca nel carcere di Trani. Era stato arrestato due giorni prima per tentativo di violenza sessuale su una quattordicenne. L’uomo, sia al momento dell’arresto, sia nel corso dell’udienza durante la quale il gip del Tribunale di Trani ha convalidato l’arresto, si era proclamato innocente.
Suicidio: 22 agosto 2004, Carcere di Frosinone
Vasile Tanase, 28 anni, di nazionalità rumena, si impicca in cella. Il giovane ha legato il laccio di una scarpa da tennis a una sbarra e ci ha infilato la testa. “Era disperato – racconta il suo avvocato, Fernando Catanzaro -. La procura di Trieste gli aveva notificato una condanna definitiva a due anni, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, un processo di cui lui non aveva mai saputo nulla. Era convinto che ci fosse stato uno scambio di persona”.
Suicidio: 31 agosto 2004, Carcere di Belluno
Massimo Peterle, 30 anni, si impicca nella sua cella. Era in attesa di giudizio per un’accusa di violenza sessuale. Prima di uccidersi ha scritto un biglietto, nel quale proclama la sua innocenza. Al suo funerale gli amici espongono un cartello: “Ingiustizia è fatta, sarai sempre con noi”.
Suicidio: 2 luglio 2004, Carcere di Frosinone
Nicolae Doru, 37 anni, rumeno, si impicca alle sbarre della propria cella. Era in carcere da 45 giorni: non aveva rispettato un decreto di espulsione dall’Italia, datogli come pena alternativa per un furto. Ma Nicolae gridava di essere vittima di un errore giudiziario: giurava che qualcuno aveva usato il suo nome e si era spacciato per lui durante un controllo della polizia. A tutti ha ripetuto fino alla noia che non sapeva esistesse un ordine di espulsione dall’Italia a suo nome: lo ha detto agli agenti, mentre lo arrestavano per non avere lasciato il territorio dello Stato, lo ha ribadito ai magistrati della procura di Venezia che lo hanno condannato.
Suicidio: 30 luglio 2004, carcere di Livorno
Carlos Requelme, 50 anni, cileno, si impicca nella sua cella del carcere livornese delle Sughere fabbricandosi un cappio con le fibre di nylon dei sacchi dell’immondizia e legandolo alle sbarre della finestra. Carlos Requelme era in attesa di giudizio. Era stato arrestato lo scorso mese di aprile, in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere richiesta ed ottenuta dalla procura di Livorno con l’accusa di traffico di sostanze stupefacenti.
Marittimo della motonave “Ancud”, Requelme fu arrestato insieme con una coppia di romani e la nave perquisita per giorni, senza però che la droga venisse mai trovata, dalla Guardia di Finanza che conduceva l’operazione.
QUESTE PERSONE SI SONO UCCISE IN CARCERE QUANDO, FORSE, IN CARCERE NON AVREBBERO DOVUTO NEANCHE ENTRARE.
Suicidio: 18 giugno 2009, Brindisi (Caserma Carabinieri)
Ieri sera nella caserma dei Carabinieri di San Michele Salentino (Brindisi) un extracomunitario si è tolto la vita utilizzando un lungo lembo della fodera del materasso per impiccarsi. La tragedia è avvenuta intorno alle ore 20. L’uomo, un marocchino sprovvisto di documenti e presunto clandestino, dell’età apparente di 30 anni, era stato condotto all’interno della caserma e richiuso nella stanza di sicurezza della stessa, perché accusato del furto di una bicicletta, e di aver interrotto una funzione funebre, importunando una suora.
Suicidio: 9 giugno 2008, Opg di Aversa (Ce)
Vincenzo Nappo, 43 anni, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta). Il cadavere è stato scoperto dal personale medico, che hanno allertato le guardie e la direzione. Sembra che il poveretto fosse affetto da un male incurabile, e per questo motivo dava anche segni di squilibrio. Questa mattina il 43enne aveva deciso di restare nel suo letto, dichiarando che non si sentiva bene. Ha aspettato che fosse solo per portare a termine quello che aveva in mente.
Suicidio: 7 maggio 2009, C.I.E. di Ponta Galeria (Roma)
Si chiamava Nabruka Mimuni e aveva 44 anni. Ieri sera le hanno comunicato che sarebbe stata espulsa e questa mattina le sue compagne di cella l’hanno trovata impiccata in bagno. Da quel momento le recluse e i reclusi di Ponte Galeria sono in sciopero della fame per protestare contro questa morte, contro le condizioni disumane di detenzione, contro i maltrattamenti e contro i rimpatri. Nabruka lascia un marito, e un figlio. Era in Italia da più di 20 anni. Era stata “catturata” due settimane prima dalla polizia mentre era in coda in Questura per rinnovare il permesso di soggiorno.
Suicidio: 7 ottobre 2008, Carcere di Prato
Gabriele Franchi aveva 31 anni e non era certo un delinquente incallito. Era un giovane con molti problemi, soprattutto di rapporti coi familiari, problemi aggravati dall’abuso di alcol. Eppure è finito alla Dogaia insieme ai delinquenti comuni e lì non ha retto al primo impatto col carcere. Martedì sera l’hanno trovato morto nella sua cella.
Ha approfittato della momentanea assenza dei due compagni per impiccarsi alle sbarre e quando sono arrivati i soccorsi ormai non c’era più nulla da fare.
Suicidio: 21 maggio 2008, Carcere di Prato
Detenuto marocchino di 28 anni si è impiccato nel carcere La Dogaia di Prato poche ore dopo l’arresto, avvenuto ieri sera. Il maghrebino era fuggito a piedi a un controllo dei militari che, dopo un inseguimento, erano riusciti a bloccarlo nonostante le sue resistenze. L’uomo era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Poche ore dopo l’arrivo nel penitenziario, l’uomo si è impiccato nella sua cella, dove era da solo, con la maglietta che indossava.
Suicidio: 20 marzo 2008, Carcere di Siracusa
Giuseppe Romano, 48 anni. “Non ha retto alla vergogna, e così ieri Giuseppe Romano, 48 anni, ispettore della forestale e consigliere comunale Pd a Catenanuova (Enna), arrestato martedì per concussione, ha deciso di impiccarsi dentro la cella del carcere Cavadonna di Siracusa dove aveva trascorso la notte.
A scoprire il corpo privo di vita dell’uomo è stato poco dopo le 6 di ieri mattina un agente di Polizia Penitenziaria appena entrato in servizio. Il suo collega che aveva appena finito il turno aveva salutato l’ispettore della Forestale, che per togliersi la vita ha dunque sfruttato proprio il cambio del turno dei sorveglianti.
Nella stessa mattina di ieri Giuseppe Romano sarebbe dovuto comparire davanti al gip di Siracusa per l’interrogatorio di garanzia, ma evidentemente la vergogna è stata troppa, quindi con i lacci delle scarpe si è fatto un nodo attorno al collo e se ne andato, non riuscendo a perdonarsi quell’atto infamante: aver preteso come tangente, insieme ad un suo collega (Alfio Crimi, anche lui in carcere), mille euro e due forme di formaggio da un allevatore di Rosolini per “chiudere un occhio” su presunte irregolarità.
Suicidio: 29 gennaio 2008, Opg di Aversa (Caserta)
Un detenuto ricoverato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario si è tolto la vita impiccandosi alla grata della finestra. Un gesto disperato quello del poveretto, un gesto dettato dallo smarrimento di un momento. Si tratta di giovane salernitano, Vincenzo Romano, nato a Siano (Sa) il 6 luglio del 1973. La sua storia è una storia di miseria e povertà, di abbandono familiare, la sofferenza di sentirsi ignorato ed abbandonati a sé stessi, al proprio misero destino. Vincenzo fu inizialmente arrestato per un reato non grave: resistenza al pubblico ufficiale. Poi ebbe una pena non detentiva da scontare a casa con l’obbligo di firma, ma lui trasgredì tutti gli obblighi ed il giudice dovette trasformare la libertà vigilata in pena detentiva.
Con il tempo, rinchiuso nel carcere aversano, il poveretto si è reso conto di essere solo ed abbandonato dalle persone più care: la sua famiglia. Non aveva soldi per pagare l’avvocato che avrebbe dovuto difenderlo, ormai si sentiva perso. Queste sono le motivazioni per cui l’uomo è arrivato a farla finita con la sua vita.
Suicidio: 11 dicembre 2007; Agrigento (Comunità per Minori)
All’anagrafe si chiamava Paolo, 16 anni, sesso maschile, nata a Catania, ma lei si sentiva donna, si vestiva da donna, si truccava e si faceva chiamare Loredana. Alcuni anni fa aveva subito maltrattamenti dal padre, faceva una vita sregolata, dormiva di giorno e viveva di notte. La madre non riusciva a sostenerla, con il padre, dopo le violenze subite, non aveva rapporti, era intervenuto il Tribunale dei Minori di Catania.
Loredana si è impiccata con il suo foulard preferito dentro la stanzetta della “Comunità Alice”, a Marina di Palma di Montechiaro (Agrigento) dove era ospite da tre mesi per essere “recuperata”. E per “recuperarla” il Tribunale dei Minori di Catania l’aveva assegnata a una comunità dove era costretta a vivere insieme a 35 ragazzi, tutti maschi.
Suicidio: 10 novembre 2007, Carcere di Cagliari
Massimo Floris, 19 anni, in attesa di processo, si impicca in cella. Il direttore del carcere: “casi imprevedibili”. La solitudine che annebbia la vista, il cielo oltre le sbarre delle finestre che sembra ogni giorno più grande. E che basta un nulla perché si frantumi all’improvviso, facendo precipitare ogni speranza di una vita possibile. Di un futuro fuori dal carcere. Di tornare al mondo che si è lasciato varcando il portone di ferro. Il terrore di trovarsi da solo hanno guidato la mano ieri di Massimo Floris, diciannove anni appena compiuti e in carcere per una rissa avvenuta un anno fa all’uscita di un bar a Sant’Anna Arresi.
Suicidio: 12 luglio 2007, Carcere della Calabria
Detenuto marocchino di 35 anni muore suicida. Lo denuncia in una nota il “Movimento Diritti Civili”. L’uomo, di nazionalità marocchina, era stato condannato per un piccolo reato: contraffazione di cd. Nonostante il reato non grave, gli era stata comminata una condanna severissima, in quanto recidivo.
Suicidio: 28 giugno 2007, Carcere di Messina
Cristian Francisc Butharu, romeno di 38 anni, detenuto nel carcere di Gazzi, si è impiccato nella sua cella utilizzando i lacci delle scarpe. L’immigrato era in carcere da poco più di un mese con le accuse di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento.
Suicidio: 27 gennaio 2006, Carcere San Vittore di Milano
L.C., detenuto italiano di 63 anni, si uccide nel carcere di San Vittore a pochi giorni dalla scadenza dei termini della custodia cautelare. Era detenuto dall’agosto scorso dopo aver minacciato ripetutamente la moglie con un coltello e aver tentato di suicidarsi. Secondo il suo legale, soffriva di sindrome delirante, ma il gip aveva respinto la richiesta di arresti domiciliari sulla base di una perizia per la quale l’uomo era curabile in carcere. Martedì scorso, davanti al tribunale, era cominciato il processo, ma dopo la deposizione della moglie e dei due figli, era stato disposto il rinvio al 30 gennaio prossimo. L’8 febbraio sarebbero scaduti i termini della custodia cautelare e l’uomo sarebbe tornato libero. Non è riuscito ad aspettare e si è impiccato in cella.
Suicidio: 17 settembre 2005, Carcere Marassi (GE)
P.M., detenuto italiano di 40 anni, si impicca nel carcere di Marassi. Gli agenti della polizia penitenziaria trovano già morto e a nulla serve l’intervento del medico. In base ai primi rilievi effettuati dalle forze dell’ordine, P.M. risultava affetto da Aids, era un malato terminale. Sull’episodio sono comunque in corso accertamenti, essendo la situazione delle Case Rosse sempre piuttosto critica.
Suicidio: 14 maggio 2005, Carcere di Torino
Maurizio, 37 anni, torinese, laureato in matematica e tossicomane, si impicca in cella. Maurizio era entrato in carcere per la prima volta nel 1997, per avere rubato in una libreria. Vi era tornato a cadenze periodiche, l’ultima il 5 maggio scorso, colto sul fatto all’Upim mentre cercava di scappare con due abiti da uomo. “Rubacchiavo e dormivo dove trovavo”, racconta in un’ultima lettera ad un amico. La scrive il giorno prima di togliersi la vita: “Sono a terra. Vorrei dare la colpa a…. ma non sarebbe giusto, perché è solo a causa mia quello che mi è capitato. Il punto è che non ho più la forza né la voglia di ricominciare tutto da capo. Non tanto il carcere, ma il dopo! Esco e poi? Senza un posto dove stare, una famiglia, un lavoro. Sai cosa ti dico? Se trovo il coraggio preferisco farla finita. Il punto è proprio il coraggio!…”.
Suicidio: 12 gennaio 2005, Cpt di Lamezia Terme (CT)
Said Zigoui, 45 anni, marocchino, si uccide gettandosi dalla finestra dell’Ospedale di Lamezia Terme. Era stato ricoverato il 7 dicembre 2004, poiché accusava forti dolori all’addome. Fino a quella data era “trattenuto”, in attesa dell’espulsione, presso il Centro di Permanenza Temporanea della cittadina calabrese.
Suicidio: 22 gennaio 2005, Carcere di Reggio Emilia
Detenuto italiano, 43 anni, si impicca con i lacci delle scarpe. Gli agenti della polizia penitenziaria lo trovano quando ormai è troppo tardi e al medico non rimane che constatare il decesso. Tra le cause scatenanti forse anche l’onta di essere finito dietro alle sbarre agli occhi della figlioletta, che adorava. Era stato arrestato venerdì mattina dopo aver tentato di rapinare una farmacia a Borzano di Albinea. Voleva un farmaco, ma non aveva la ricetta. Davanti al rifiuto del farmacista, ha estratto un coltello da cucina, di quelli con la punta arrotondata. Immediatamente immobilizzato dal titolare, ha atteso in modo pacifico l’arrivo dei carabinieri che l’hanno arrestato per tentata rapina e portato in carcere. Era già dietro le sbarre quando ha telefonato alla moglie. “Non riesco ad andare a prendere la bambina a scuola – le avrebbe detto -. Per favore, pensaci tu”.
Suicidio: 4 novembre 2004, Carcere di Perugia
Angelina Giornado, 55 anni, detenuta da 3 mesi per bancarotta, s’impicca in cella. Era stata la titolare di una società, la Confezioni italiane Srl, con sede a Sassari, fabbrica di magliette e tute da ginnastica, dichiarata fallita nel ‘93. La fine di Angelina Giordano, secondo il suo legale e la famiglia, è una morte annunciata.
La donna, in cura per depressione, non si era nemmeno presentata al processo che si era svolto Sassari dove è stata giudicata in contumacia senza neanche l’ausilio di un legale di fiducia. Ritenuta “irreperibile”, non ha presentato appello e la condanna, così, è diventata definitiva. Per lei si sono aperte le porte del carcere per 4 anni, la pena per la bancarotta fraudolenta. In quel momento è arrivata la telefonata all’avvocato Taiti: “Mi tiri fuori perché non resisto”. L’istanza è partita subito. “Sembra incredibile, ma non hanno trovato il tempo di dare una risposta”, dicono i familiari.
Suicidio: 13 maggio 2004, Carcere di Avezzano
Mohammed Agrufai, 20 anni, marocchino muore nel carcere di Avezzano dopo essersi impiccato nella cella dove era stato trasferito poche ore prima. Il giovane aveva avuto una discussione con i compagni di cella e per questo era stato trasferito in una cella da solo. L’extracomunitario – in carcere per violazioni della legge sull’immigrazione – ha strappato una parte del lenzuolo del letto e si è impiccato dopo averlo legato ad un gancio. Il giovane è stato trovato agonizzante stamani, ma è morto dopo il trasferimento nel locale ospedale.
Francesco Morelli,
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