una data che rimarrà nella storia del Nepal. Oggi il re
Gyanendra lascerà il palazzo reale e la nuova Assemblea
Costituente democraticamente eletta, a maggioranza maoista,
proclamerà la nascita della repubblica. “Oggi è una
giornata epocale” dicharava martedì il leader dei maoisti
Prachanda. La monarchia del regno himalayano lascerà dunque il
passo a una nuova forma di governo repubblicano, che nei dettagli non
è ancora stata concordata. Proprio per queste ultime
indecisioni, la riunione dell’Assemblea per la proclamazione, attesa
per questa mattina, è stata rimandata di qualche ora.
Nonostante i molti
molti allarmi per la sicurezza (Nel giorno della proclamazione della
repubblica tre ordigni sono stati fatti esplodere a Kathmandù. Il primo di fronte
al
palazzo dove è riunita l’Assemblea Costituente. Un’altra bomba
è scoppiata pochi minuti dopo davanti allo stesso edificio e
una terza è esplosa in un parco, causando il ferimento di una
persona), fin dall’alba di mercoledì
mattina le strade di Kathmandù erano invase di gente festante,
che dava l’addio al re e salutava l’avvento della repubblica. Può
sembrare strana questa disaffezione popolare dopo un regno di 239
anni, esercitato come fosse una teocrazia. In Nepal, infatti, il re è
considerato una reincarnazione del dio induista Vishnu. Nei fatti,
però, il sostegno popolare alla famiglia reale era andato
calando già nel 2001, quando l’attuale monarca salì al
potere dopo la misteriosa strage dei suoi fratelli, tra cui il suo
predecessore re Birendra, molto amato dalla gente. Il prestigio reale
è stato incrinato anche dagli insuccessi nei dieci anni di
lotta contro i maoisti, iniziata nel 1996 e costata la vita a più
di 13 mila persone. Ed è definitivamente crollato nel 2005,
quando Gyanendra esautorò il governo e assunse i poteri
assoluti. Una mossa quest’ultima che portò un anno dopo alle
proteste antimonarchiche che decretarono la fine del suo potere.
Il sostegno alla
repubblica non è però ancora totale, negli ultimi due
giorni la capitale Kathmandù è stata presidiata dalla
polizia per prevenire incidenti, proteste o saccheggi. E tra lunedì
e martedì tre ordigni sono stati fatti esplodere in città,
causando il ferimenti di sei persone. Due bombe di medio potenziale
sono state poste vicino al palazzo dove si riunisce la Costituente e
la terza, quella che ha causato i sei feriti, nel parco di Ratna, nel
centro della capitale. Questi attentati sono stati rivendicati da un
partito fondamentalista indu chiamato Ranabir Sena. Oggi dunque la
capitale è presidiata dalla polizia anche per evitare nuovi
attentati, mentre nel sud, il sedicente esercito del Terai ha indetto
uno sciopero per protestare contro la Costituzione provvisoria. Da
domani però la tensione si dovrebbe sciogliere e il governo ad
interim del premier Gyria Prasad Koirala ha già proclamato tre
giorni di festa nazionale.
Rimane aperta la
domanda sul futuro di Gyanendra, che dalla proclamazione della
repubblica perderà tutti i suoi privilegi e, secondo molti,
potrebbe scegliere l’esilio in India. Il suo volto è già
stato tolto dalle banconote e i suoi ritratti sono spariti dalle
strade. Gyanendra, la regina Komal e la regina madre Ratna Rajya
Laxmi si trovano ancora nel palazzo di Narayanhity, nonostante il
governo li avesse invitati a lasciare la residenza reale entro ieri.
Non essendo partito spontaneamente, il re dovrà ora attendere
comunicazioni dal governo, che già nei giorni scorsi
minacciava azioni legali contro di lui se non avesse liberato il
palazzo, dove presto sorgerà un museo. Indiscrezioni riportate
dai media locali riferiscono che Gyanendra avrà 15 giorni di
tempo per andarsene.
Dai problemi del
re al quelli del parlamento. Mercoledì la formalizzazione del
passaggio alla repubblica è slittata di alcune ore per
mancanza di un accordo sulle nomine e sulla forma di governo. I tre
partiti vittoriosi alle elezioni dello scorso aprile, il partito del
Congresso del premier Koirala, i maoisti e i leninisti, stanno ancora
discutendo. Pare che i maoisti, che hanno la maggioranza, spingano
per una forma di governo presidenziale che conceda loro maggior
spazio di manovra. Manca ancora, inoltre, l’accordo sui nomi dei 26
membri dell’assemblea non eletti dal popolo: 575 deputati sono stati
scelti nelle scorse elezioni, altri 26 devono essere nominati dal
parlamento. Tante questioni sono insomma ancora da definire, ma
l’Assemblea Costituente ha due anni di tempo per scrivere la bozza di
Costituzione. Per ora basterà votare la fine della monarchia
e, almeno su quello, l’accordo in parlamento è scontato.