saletta cinematografica di Rebeldia, la presentazione del libro “Il Corpo e
l’Anima – Cronache di diritti negati e lotte originali” (edizioni ETS),
realizzato da Virginio Giovanni Bertini (responsabile CGIL Zona di Lucca),
Donatella Francesconi (giornalista professionista, redattrice del Tirreno di Viareggio
e operatrice della Rete Accoglienza Migranti) e Giulio Sensi (collaboratore del
Tirreno e volontario del gruppo Mani Tese di Lucca).
Oltre agli autori del libro, erano presenti alla discussione
anche l’assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Pisa e Presidente
del Centro Nord-Sud Manola Guazzini, l’avvocato Andrea Callaioli, da anni
impegnato nella difesa dei migranti e Sergio Bontempelli, di Africa Insieme.
Si tratta del racconto di alcuni episodi di lotta in difesa
dei diritti dei migranti che hanno avuto recentemente luogo nella città di
Lucca. Nel primo di questi, un gruppo di Rom rumeni, che erano stati oggetto
della minaccia di sgombero ed espulsione, ha condotto l’occupazione pacifica di
una chiesa e ha portato avanti un lungo sciopero della fame per rivendicare il
diritto al soggiorno e all’esistenza giuridica. La vicenda è poi stata risolta
positivamente con una decisione ministeriale.
Nel secondo episodio si racconta, invece, la storia del
Professor Salah Chfouka e di sua figlia Ymane. Salah è un cittadino marocchino
immigrato in Italia alla fine degli anni ’80 e perfettamente inserito nella
comunità lucchese, nella quale ha portato avanti, nel corso degli anni,
numerose battaglie per l’integrazione e l’emancipazione delle comunità
migranti, che lo hanno reso un personaggio scomodo agli occhi della Questura di
Lucca. Tanto scomodo da essere stato fatto oggetto di violenze fisiche da parte
delle forze dell’ordine, nel 1998, mentre cercava di sedare una rissa
all’interno di un bar, scaturita per responsabilità di un suo connazionale. La
conseguente denuncia dei maltrattamenti e il riconoscimento della colpevolezza
degli agenti responsabili hanno definitivamente attirato su di lui l’avversione
da parte di alcuni esponenti della Questura, che nel 2004 hanno colto
l’occasione per vendicarsi emettendo, nei confronti di Salah, un provvedimento
di espulsione per presunti e irrisori (4 giorni!) ritardi nella presentazione
dei documenti per la richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno, cui ha
fatto seguito la sospensione della figlia Ymane dall’Università di Pisa.
Attorno a questo fatto è nata una grande mobilitazione, che ha visto la
partecipazione di moltissime persone e che è culminata con un lungo sciopero
della fame collettivo. La situazione si è poi risolta positivamente grazie ad
un esemplare sentenza del Tribunale dei Minori di Firenze, che ha riconosciuto
a Salah e alla sua famiglia una proroga di 3 anni del permesso di soggiorno per
permettere alla figlia più piccola di completare gli studi.
Nel primo intervento del dibattito, Sergio Bontempelli ha
sottolineato la necessità di una discussione pubblica sul tema
dell’immigrazione che non sprofondi nel solco, tracciato dalla politica e dai
media, del delirio securitario, nel quale trova oblio la gigantesca massa di
problemi che coinvolgono le centinaia di migliaia di cittadini stranieri che vivono
sul territorio italiano, sottoposti a sopraffazioni, abusi e discriminazioni di
ogni sorta, in un sempre più assordante silenzio.
Sulla stessa linea anche l’assessore Guazzini, che ha voluto
sottolineare come, per affrontare la questione immigrazione al di fuori della
visione securitaria imperante, si debba mettere al centro dell’attenzione della
comunità, e delle istituzioni che la rappresentano, il migrante in quanto
persona, titolare di diritti ma anche risorsa per la comunità stessa, se si
pensa , ad esempio, che recenti studi hanno mostrato che il tasso medio di
istruzione dei 23000 migranti presenti sul territorio pisano è superiore a
quello della popolazione autoctona.
E l’inadeguatezza dell’approccio securitario, anche in vista
dell’ottenimento della sicurezza stessa, appare tanto più evidente, rimarca
Guazzini, se si riflette sul fatto che non è più possibile pensare il fenomeno
dei flussi migratori come qualcosa di transitorio. Riflessione, questa, che
porta inevitabilmente a cogliere l’esigenza di ridefinire completamente
l’approccio politico e istituzionale al problema, abbandonando le logiche
assistenzialistiche ed emergenziali, per affrontare, invece, una
riorganizzazione del territorio in senso inclusivo, che porti al superamento di
quella ghettizzazione delle comunità migranti, nella quale l’enormità del
disagio porta inevitabilmente a situazioni esplosive.
È necessario, conclude l’assessore, oltrepassare le
politiche sugli immigrati in vista
della realizzazione di politiche con gli
immigrati, politiche la cui bussola deve essere la garanzia dei diritti, non
l’assistenzialismo.
Il dibattito è proseguito, quindi, con l’intervento
dell’avvocato Callaioli, che ha spiegato come la sua lunga esperienza di lavoro
nel difendere le cause dei migranti lo abbia spesso messo dinnanzi al senso
stesso del diritto e della sua professione di avvocato: non tanto lottare
contro la negazione di qualche diritto, ma per la loro affermazione in senso
universale.
Libri di questo genere, secondo Callaioli, che una volta
nascevano sulle lotte operaie, ci mostrano come siano variabili i confini della
tutela dei diritti, e possono aprirci gli occhi su altre realtà, che ci
coinvolgono in prima persona, nelle quali si perpetrano sistematicamente
violazioni di diritti (basti pensare, ad esempio, al tema della sicurezza sui
luoghi di lavoro e allo scandalo delle morti bianche) senza che questo susciti
scalpore su di noi, ormai avvezzi spettatori di un’epoca di inarrestabile
erosione del diritto.
Un’epoca nella quale la politica, anche quella di sinistra,
che sarebbe lecito aspettarsi mobilitata e agguerrita su questi temi, appare
“lontana e smarrita”, come il libro testimonia. Ed è importante sottolineare che non si chiedono,
al politico, atti eversivi della legge, ma coraggio e buona volontà
nell’interpretazione della stessa, dal momento che il vero diritto
sull’immigrazione non lo fanno tanto le leggi quali la Bossi-Fini, quanto le
circolari ministeriali e i decreti attuativi.
Callaioli conclude il suo intervento esaltando l’importanza
della mobilitazione di associazioni, sindacati, istituzioni religiose per
forzare le istituzioni politiche a muoversi, per rilanciare anche sul piano
culturale la centralità di queste battaglie, per far riscoprire il bisogno di
un vincolo di solidarietà tra gli ultimi, troppo spesso messi l’uno contro
l’altro (lavoratori contro pensionati, pensionati contro immigrati…) da un
potere che divide per comandare.
La parola è tornata quindi brevemente all’assessore, che ha
voluto ribadire la centralità dei mezzi di informazione, che per il loro ruolo
di primaria importanza nella costruzione del cosiddetto senso comune sono
investiti da una enorme responsabilità. Responsabilità troppo spesso tradita,
per pigrizia intellettuale e scarsa professionalità, da giornalisti che
preferiscono confezionare quotidianamente pezzi di cronaca nera che coinvolgono
immigrati, piuttosto che svolgere un serio lavoro di inchiesta sul problema, in
ossequio a linee editoriali che procedono dall’assunto, in realtà tutto da
dimostrare, che in questo modo si vendano più copie.
A testimonianza delle difficoltà, per i giornalisti, di
mantenere sul tema dell’immigrazione un atteggiamento in controtendenza col
clima generale, Donatella Francesconi (una degli autori del libro e giornalista
redattrice del Tirreno) ha narrato delle difficoltà incontrate dal suo
quotidiano a Viareggio, dove la redazione (a differenza di quanto accade a
Pisa!! n.d.r.), aveva deciso di
mantenere, sulla questione rom, un atteggiamento improntato al dialogo e
all’accoglienza, incontrando ostilità e diffidenza in una consistente parte
dell’opinione pubblica, che accusava il giornale di essere il paladino degli
zingari.
Il dibattito si è concluso con l’intervento di Bertini (un
altro degli autori del libro e sindacalista CGIL), che ha definito questo
sforzo letterario “un piccolo antidoto contro l’ondata xenofoba”, spiegando
l’importanza di raccontare storie, presentare volti e persone, perché questo permette
di distruggere quello che il razzismo costruisce: stereotipi dietro cui celare
il volto, l’umanità dello straniero.
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