Ieri mattina, poco dopo le 9.30, è stato “acceso” LHC (Large Hadron Collider), il più grande e potente acceleratore di particelle del mondo. Costato più di 6 miliardi di euro, frutto della collaborazione delle comunità scientifiche di moltissimi paesi (3000 scienziati di oltre 30 nazioni) e di un lavoro lungo 15 anni, consiste in un percorso ad anello di 27 km di diametro, interrato ad una profondità variabile tra i 50 e i 175 metri, all’interno del quale è possibile accelerare fasci di protoni, o di ioni, a velocità pari al di quella della luce, la velocità massima raggiungibile in natura (compiranno 11mila giri dell’anello in un secondo), e farli quindi scontrare, osservando le particelle che si producono in seguito all’urto.
Per dare un’idea, un miliardesimo di grammo di materia accelerata a tale velocità viene a possedere un’energia dello stesso ordine di grandezza di un treno ad alta velocità in corsa. Le particelle vengono accelerate da un campo magnetico (100mila volte quello della Terra) generato da grandi magneti superconduttori, che per funzionare devono essere mantenuti ad una temperatura di -271° centigradi, più bassa di quella presente nello spazio. Quello di oggi è stato soltanto una sorta di “riscaldamento”, utile per testare la funzionalità di tutte le apparecchiature, e passeranno diversi mesi prima che LHC venga portato alla sua massima potenza.
Fino a qui, l’elenco dei dati che si possono trovare un po’ dovunque sui quotidiani, in questi giorni, e che possono essere utili a dare un’idea dell’immane impresa, ma non gettano alcuna luce sul suo senso. In questo articolo, invece, si cercherà di spiegare, senza entrare in dettagli per specialisti, ed in modo necessariamente molto incompleto, che cosa tale esperimento si propone di indagare, ma soprattutto di collocarlo nel più ampio quadro della ricerca scientifica di questo settore.
Innanzitutto, il campo di indagine principale di questo genere di esperimenti, effettuati con gli acceleratori di particelle ma non solo, è quello delle cosiddette interazioni fondamentali. La fisica contemporanea individua in natura 4 tipi di interazione, che danno luogo a tutte le forze conosciute. Le elenchiamo in ordine decrescente di “intensità” (ovvero, di grandezza della rispettiva costante di accoppiamento): interazione forte, interazione elettromagnetica, interazione debole, interazione gravitazionale. Già qui c’è da essere perplessi, dato che, ad esempio, della più intensa di queste, la forte, nessuno di noi ha mai fatto esperienza diretta, mentre la più debole risulta proprio la gravità. E la differenza tra i rispettivi ordini di grandezza è tale che, quando ad esempio sono in gioco le prime due interazioni, la gravità è quasi sempre trascurabile!
La spiegazione di questo fatto è in realtà semplice: le interazioni forte e debole sono cosiddette interazioni a corto raggio, ovvero “si fanno sentire” solo su distanze molto piccole, dell’ordine di un milionesimo di miliardesimo di metro. Ad esempio, l’interazione forte è quella che tiene insieme le particelle che costituiscono i nuclei degli atomi. Perciò, non abbiamo alcuna possibilità di farne esperienza diretta. L’interazione elettromagnetica, più familiare, ha a che vedere, oltre che con tutti i fenomeni comunemente ricondotti alla luce, all’elettricità e al magnetismo, con le forze che “tengono unite” le molecole nei solidi, e con molti altri fenomeni. Pur essendo un’interazione a lungo raggio, ovvero capace di agire su grandi distanze, essa ha la caratteristica di essere schermata dalle distribuzioni di carica presenti nella materia, ed è per questa ragione che la forza che governa l’evoluzione dell’Universo, determinando ad esempio il moto dei pianeti, delle stelle e delle galassie, è proprio la più “debole”: la gravità. Essa infatti è l’unica interazione a lungo raggio non schermabile.
Come tutti sappiamo, la natura non ha una struttura continua, ma discreta. Ad esempio, la materia è composta da molecole, che a loro volta sono composte da atomi, che a loro volta sono composti da elettroni e da un nucleo, formato da protoni (le principali particelle accelerate da LHC) e neutroni, formati a loro volta da quarks. Ma nella descrizione, che oggi si è affermata, delle 4 interazioni di cui sopra, anche le interazioni sono “mediate” da particelle, che possono essere dotate di massa, carica elettrica etc. Per fare un esempio, la forza che fa interagire elettromagneticamente due elettroni è mediata dallo scambio di particelle chiamate fotoni, ovvero affinché l’interazione abbia luogo è necessario che un elettrone emetta un fotone, e che questo venga “ricevuto” dall’altro elettrone. In questo modo le due particelle si “informano” l’un l’altra della rispettiva presenza, ed interagiscono (in questo caso specifico, respingendosi).
Non tutte le particelle risentono di tutti e 4 i tipi di interazione, alcune sono “trasparenti” ad una o più di esse: per fare un esempio, soltanto particelle dotate di carica elettrica si “accorgono” dell’interazione elettromagnetica. Quanto detto finora ci permette di spiegare già una cosa che riguarda il nome dato all’acceleratore: Large Hadron Collider. Esso è un grande (Large) “autoscontro” (Collider) per Adroni, ovvero tutte quelle particelle che si “accorgono” dell’interazione forte. E soprattutto, quanto detto ci consente di comprendere che mandare fasci (ovvero “treni”) di particelle ad alta energia l’una contro l’altra facendole sbattere e osservando quante e quali particelle si formano dopo l’urto, significa più o meno andare a “stuzzicare” la natura nelle sue 4 interazioni, per capirne il funzionamento.
La teoria più evoluta, e al tempo stesso ampiamente verificata dal punto di vista sperimentale, di cui oggi disponiamo è il cosiddetto Modello Standard, che riesce a unificare, sotto un’unica descrizione coerente, le interazioni debole ed elettromagnetica e, con qualche problema in più, anche l’interazione forte. Resta pertanto fuori la gravità, sulla cui importanza a livello cosmico abbiamo già detto, e la più grande conquista per la fisica del nuovo millennio sarebbe proprio l’elaborazione, e la verifica sperimentale, di un modello che, ricomprendendo al suo interno quanto sappiamo adesso, possa fornire un’unica e coerente descrizione delle 4 interazioni. Tale teoria, che per i fisici è qualcosa di paragonabile al Santo Graal per i Cavalieri della Tavola Rotonda, o alla Pietra Filosofale per gli alchimisti, viene “evocata” con il nome di Teoria Unificata delle interazioni fondamentali.
Dato che sarebbe bello che questa fantomatica teoria si servisse di un apparato concettuale simile a quello delle teorie conosciute, ovvero facesse uso di concetti come campi, particelle etc., lo scopo di alcuni dei più importanti esperimenti che oggi vengono condotti in giro per il mondo è quello di osservare le particelle che dovrebbero mediare l’interazione gravitazionale (quella mancante!), dette anche gravitoni o onde gravitazionali (ad esempio, l’esperimento Virgo di Cascina ha questo scopo), oppure, nel caso di LHC, di osservare l’ormai famigerato bosone di Higgs, la “particella-Dio” (e non “di Dio”, come impropriamente chiamata dai giornalisti italiani, forse timorosi di far arrabbiare il Papa).
Per spiegare in breve di che si tratta, si deve tornare al Modello Standard, ovvero quello che unifica la descrizione dell’interazione elettromagnetica e debole, che ormai abbiamo capito che possiamo chiamare interazione, o forza, elettrodebole, visto che vengono descritte come un unicum. Ebbene, affinché questa teoria possa funzionare, si deve “far finta” che le particelle che mediano l’interazione elettrodebole non abbiano massa, ma gli esperimenti smentiscono questa asserzione. Dovete sapere che i fisici sono peggiori dei Genovesi, e prima di buttare via un concetto od una teoria si inventano davvero di tutto. Così, Higgs e altri due suoi colleghi hanno ipotizzato che prima del Big Bang, la colossale esplosione che secondo la cosmogonia attuale avrebbe originato l’Universo, nessuna particella avesse la massa (ovvero interagisse gravitazionalmente). Poco dopo il grande botto, l’Universo si sarebbe raffreddato, portando la sua temperatura al di sotto di un certo valore critico, e da quel momento in poi si sarebbe formato un campo di forza, il campo di Higgs, al quale corrisponde appunto il bosone di Higgs, in qualità di “piccione viaggiatore” che trasporta l’interazione. Tutte le particelle che, a poco a poco, avrebbero interagito con questi bosoni sarebbero state dotate di una massa, tanto più grande quanto più questa interazione è stata intensa, mentre quelle che non avrebbero interagito ne sarebbero tuttora prive. Questo dovrebbe essere stato il ruolo della particella-Dio.
In sintesi, LHC porterà avanti almeno 6 distinti esperimenti, sul cui contenuto specifico non mi dilungo, rimandando gli interessati al sito del Cern (sono richieste basi scientifiche piuttosto solide, nonché la conoscenza dell’inglese). Da quanto detto si dovrebbe comunque capire che questo esperimento ci mette in condizione di ricreare artificialmente, in laboratorio e su scala ridotta, le condizioni che si avevano negli istanti che seguirono il Big Bang, per studiare la formazione delle particelle che costituiscono il nostro Universo, e delle interazioni che ne governano l’evoluzione.
All’interno di questo perimetro si collocano tutti i nomi altisonanti evocati negli articoli di giornale, quali la materia oscura, lo studio della rottura della simmetria materia-antimateria, i plasmi di gluoni, e qui ci fermiamo, ritenendo francamente poco serio il modello giornalistico di comunicazione scientifica, volto a colpire l’immaginazione con parole incomprensibili anche per chi le scrive, e che non trasmettono altro che sbigottimento e inquietudine a chi le legge. Non spendiamo neanche una parola sugli assurdi allarmismi catastrofisti di pochi sedicenti scienziati in cerca di fama, che hanno evocato il rischio di buchi neri e fine del mondo, se non per criticare il risalto loro dato dai mass media, quasi che non bastassero più gli spauracchi dell’immigrazione clandestina e della criminalità a spaventare e confondere l’opinione pubblica.
Inoltre, sottolineiamo che deridere gli scienziati del Cern, come ha fatto Crozza a Ballarò, per il fatto che invece di escludere categoricamente una tale possibilità, l’hanno semplicemente definita altamente improbabile, può anche essere divertente, ma in realtà uno scienziato serio non poteva dare nessun’altra risposta. Infatti le teorie che descrivono questo genere di fenomeni non sono teorie deterministiche, bensì forniscono risultati di carattere probabilistico: questo implica che anche l’eventualità della formazione di un buco nero non possa venire categoricamente esclusa. Tuttavia, le scarse probabilità di cui parlano gli scienziati del Cern non sono una su dieci, o su cento, ma probabilmente una su diversi milioni, questo per far capire che non abbiamo dato 6 miliardi di euro e carta bianca su come spenderli ad un gruppo di pazzi irresponsabili.
Vogliamo invece concludere ribattendo a critiche più verosimili, e per questo più insidiose, sull’opportunità di spendere 6 miliardi di euro in un progetto di ricerca dagli esiti quanto mai incerti, e di cui non si vede apparentemente nessun riscontro nella vita di tutti i giorni. In primo luogo, è facile replicare che con tutti i soldi che si spendono per la ricerca militare, o per costruire un casinò di Las Vegas (10 miliardi di dollari circa per il Venetian…), anche la sola sete di conoscenza sembra un motivo migliore. Ma in realtà le cose stanno diversamente: infatti, per portare avanti un progetto di questo genere, è necessario sviluppare “collateralmente” tutta una serie di tecnologie, che hanno un’immediata ricaduta nella vita di tutti i giorni, e che una mera ricerca finalizzata allo sviluppo industriale non sarebbe in grado di concepire.
Un esempio su tutti, la rete internet è frutto dell’esigenza dei ricercatori del Cern di scambiarsi velocemente i dati degli esperimenti, ma anche moltissime applicazioni della fisica medica, soprattutto nel campo della diagnostica e della cura dei tumori, derivano da tecnologie sviluppate per questi ed altri esperimenti, e riadattate ad altri scopi. Infine, indagare la natura a così alte energie e su così piccole scale, può aprire nuovi mondi alla nostra conoscenza, cui possono anche far seguito inaspettate scoperte tecnologiche, dal momento che quello che la comunità scientifica si aspetta di trovare è molto più di quanto non sia prevedibile con le attuali teorie: proprio per questo è stato necessario costruire LHC.