615 miliardi di passività e 30 di capitale proprio, 25 mila dipendenti (Carlo Leone Del Bello).
Dopo un fine settimana frenetico, si è concluso nella notte l’ affaire Lehman Brothers. Falliti i tentativi di mediazione della Federal reserve e del Tesoro Usa, alla quarta banca d’affari americana non è rimasto che dichiarare il fallimento secondo le regole del chapter 11 . La società, fondata nel 1850 da due immigrati tedeschi, è sempre stata fra i protagonisti di Wall Street. La banca d’investimento è passata indenne attraverso tutte le crisi finanziarie americane, dai fallimenti ferroviari nel tardo ottocento alla Grande Depressione, fino alla crisi, nel 1998, dell’ hedge fund LongTerm Capital Management.
Proprio la risoluzione di quella crisi ha ispirato i tentativi della Fed di New York per salvare Lehman, affidandosi alla volontà, da parte di tutto il settore finanziario, di scongiurare una possibile reazione a catena. Tale volontà è però venuta a mancare. Dopo litri e litri di caffé, sia la banca britannica Barclays che Bank of America hanno infatti rifiutato di acquistare Lehman, che detiene ancora in portafoglio oltre 50 miliardi di titoli legati alla cartolarizzazione dei mutui. Il rifiuto è legato al diniego, da parte della Fed e del Tesoro Usa, di mettere a disposizione fondi pubblici per l’operazione, come invece era stato fatto per permettere a Jp Morgan Chase di acquistare la fallimentare Bear Stearns a metà marzo. Stesso copione, esito diametralmente opposto. Esito opposto anche a quello della questione Ltcm. Allora infatti tutte le società finanziarie creditrici (tra cui anche Lehman) si accordarono per mettere di tasca di propria i soldi necessari alla liquidazione del fondo, finendo anche per guadagnarci qualcosa alla fine del procedimento. Questa volta però le big firms di Wall Street non sono clienti di Lehman, bensì concorrenti, e ha quindi prevalso l’antico motto mors tua, vita mea.
Lehman Brothers era in una situazione alquanto scomoda: più piccola fra le banche d’affari, con la maggiore esposizione ai titoli legati alle cartolarizzazioni del settore immobiliare, precipitato nel frattempo nella crisi più nera. Nella stessa situazione era, prima del fallimento, Bear Stearns. Lo «scettro», dopo la brutta fine di Lehman, sarebbe passato a Merril Lynch, che però ha pensato bene di uscire di scena, fondendosi con Bank of America. Ora le banche d’affari americane, indipendenti e «pure», rimangono due: Goldman Sachs e Morgan Stanley. La crisi di Lehman non è di certo piombata come un fulmine a ciel sereno su Wall Street. La società, in palese difficoltà da almeno sei mesi, aveva riportato, all’inizio della scorsa settimana, perdite record pari a oltre 5 miliardi di dollari. Il piano di ristrutturazione presentato dallo storico Ceo ( chief executive officier ) Dick Fuld, prevedeva la vendita della divisione di gestione patrimoniale, il taglio del dividendo e la riduzione dell’esposizione al settore immobiliare.
Tali proposte non hanno evidentemente convinto gli investitori, visto che il titolo Lehman è andato in picchiata in borsa per tutta la scorsa settimana. A fine agosto Fuld era in contatto con la banca governativa sudcoreana Kdb per l’acquisto del 50% della società. Le trattative sono fallite, probabilmente o perché Fuld ha «tirato troppo» sul prezzo dell’acquisto o perché i coreani avevano fiutato lo stato disastroso dei conti. Prima che il titolo venisse sospeso, si scambiava ieri per 19 centesimi di dollaro. Venerdì ne valeva 3,5 mentre più di un anno fa, quando «subprime» era una parola sconosciuta ai più, il prezzo di una sola azione era 80 dollari. Per Lehman ora si prospetta il calvario previsto dal chapter (capitolo) 11 della legge fallimentare Usa. Tecnicamente infatti la società non è fallita, e continuerà ad operare fino a che l’amministrazione fiduciaria, nominata dal tribunale, non avrà ben chiara la situazione dei creditori. Il chapter 11 è infatti nato per i fallimenti «leggeri», e serve a permettere alle società di riorganizzarsi, bloccando le richieste di pagamento e procedendo lentamente alla liquidazione. Questo, ovviamente, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, ovvero quando appare impossibile una ripresa delle attività, la procedura diventa quella descritta dal capitolo 7. In questo caso, sarà liquidazione totale. A giudicare da come si è svolta la vicenda, e da come parte dei 25 mila dipendenti si sono affrettati ieri notte a recuperare gli effetti personali in ufficio, pare proprio che sarà questo il caso.
(il manifesto, 16.9.08)