Pisa, 16.10.08. Alle 15, nei locali del Polo Occupato Carmignani, ha inizio l’assemblea dei dottorandi pisani; all’ordine del giorno la discussione delle possibili forme di mobilitazione da affiancare alle forme di protesta già adottate dal corpo studentesco, dai ricercatori precari e da parte dei professori.
L’assemblea è molto partecipata: circa centocinquanta persone affollano un’aula che a stento è in grado di contenerle, e questo è un primo dato interessante. Se si considera infatti il numero totale dei dottorandi presenti nell’università di Pisa, un numero incredibilmente più piccolo rispetto a quello degli studenti, si può capire meglio l’importanza di un’assemblea con queste cifre.
Si parte con il resoconto della situazione delle varie facoltà, ma ben presto la discussione si articola intorno alla proposta di una mozione. La prima bozza, pur condivisa dalla gran parte dell’assemblea, viene giudicata troppo morbida e generica, e viene ben presto modificata. In essa si chiede al corpo docente e delle più alte cariche dell’università non una generica vicinanza alla protesta, ma un sostegno concreto e attivo. La proposta specifica è quella di utilizzare le dimissioni come forma di protesta. Nel documento che viene approvato è inoltre ribadito lo stato di agitazione dei dottorandi dell’università di Pisa, che cercheranno anche di coordinarsi con i ricercatori precari per organizzare nuovi blocchi delle attività didattiche che prevedano il blocco anche di tutte quelle attività svolte dai dottorandi. Si ribadisce inoltre la volontà di partecipare alla protesta studentesca attraverso l’organizzazione di seminari autogestiti e attraverso la partecipazione alla manifestazione del 23 ottobre e ad altri momenti di protesta pubblici. Una proposta molto interessante che viene inserita nella mozione è quella di tentare di allargare la protesta a livello internazionale, sfruttando contatti personali con il mondo accademico di altri paesi, e intervenendo in momenti di studio di carattere internazionale.
L’assemblea termina con l’impegno a riunirsi di nuovo in tempi molto brevi.
L’assemblea è molto partecipata: circa centocinquanta persone affollano un’aula che a stento è in grado di contenerle, e questo è un primo dato interessante. Se si considera infatti il numero totale dei dottorandi presenti nell’università di Pisa, un numero incredibilmente più piccolo rispetto a quello degli studenti, si può capire meglio l’importanza di un’assemblea con queste cifre.
Si parte con il resoconto della situazione delle varie facoltà, ma ben presto la discussione si articola intorno alla proposta di una mozione. La prima bozza, pur condivisa dalla gran parte dell’assemblea, viene giudicata troppo morbida e generica, e viene ben presto modificata. In essa si chiede al corpo docente e delle più alte cariche dell’università non una generica vicinanza alla protesta, ma un sostegno concreto e attivo. La proposta specifica è quella di utilizzare le dimissioni come forma di protesta. Nel documento che viene approvato è inoltre ribadito lo stato di agitazione dei dottorandi dell’università di Pisa, che cercheranno anche di coordinarsi con i ricercatori precari per organizzare nuovi blocchi delle attività didattiche che prevedano il blocco anche di tutte quelle attività svolte dai dottorandi. Si ribadisce inoltre la volontà di partecipare alla protesta studentesca attraverso l’organizzazione di seminari autogestiti e attraverso la partecipazione alla manifestazione del 23 ottobre e ad altri momenti di protesta pubblici. Una proposta molto interessante che viene inserita nella mozione è quella di tentare di allargare la protesta a livello internazionale, sfruttando contatti personali con il mondo accademico di altri paesi, e intervenendo in momenti di studio di carattere internazionale.
L’assemblea termina con l’impegno a riunirsi di nuovo in tempi molto brevi.
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