C.P.T. lager del 2000

 

CPT
sta per Centri di Permanenza Temporanea; una sigla innocua, che prova a
nascondere l’orrore che si cela dentro a queste strutture.

Questi
centri furono istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano per tutti gli
stranieri soggetti a espulsione, durante il governo del centro-sinistra,; non
sono una prerogativa dell’Italia, si diffusero in tutta Europa in seguito agli
accordi di Schengen del 1995, ispirati da una parte a una regolarizzazione dei
flussi migratori in base alle esigenze del mercato del lavoro, dall’altra a una
politica di tolleranza zero per i migranti irregolari; ciò ne comporta
l’esclusione dallo stato di diritto, relegandoli a questione di ordine pubblico
e quindi repressione.

Nel
2002 il governo di centro-destra approva una nuova legge sull’immigrazione,
la Bossi-Fini, che riduce drasticamente le possibilità di
ingresso regolare nel nostro paese e la durata dei permessi di soggiorno. La
reclusione di migranti nei CPT, in seguito all’approvazione di questa legge, diventa
una pratica costante e diffusa, vengono aperti nuovi centri, allungati i tempi
di detenzione e allargati i casi passibili di trattenimento
.

I
migranti rinchiusi nei CPT fanno parte di queste categorie giuridiche: i richiedenti
asilo in attesa della decisione del giudice, i migranti senza permesso di
soggiorno o con permesso di soggiorno scaduto, i migranti considerati
pericolosi, i migranti irregolari trasferiti dalle carceri dopo aver scontato
la pena, i migranti condannati da un giudice a scontare una pena in carcere per
i reati di resistenza violenta o minaccia a pubblico ufficiale laddove il
giudice abbia aggiunto alla pena detentiva anche l’espulsione.

Riguardo
alle leggi che hanno creato e ridefinito i CPT in Italia si potrebbero spendere
molte parole, ma risulterebbero sicuramente fuori luogo, considerando che
stiamo parlando di luoghi dove la legge non esiste.

Questo
perché risulta sempre più chiaro che i CPT sono dei veri e propri campi di
concentramento, recintati da muri alti almeno tre metri, sormontati da reti metalliche
e circondati da telecamere di sorveglianza e impianti di illuminazione; spesso
sono ricavati da strutture preesistenti (caserme e fabbriche dimesse),
totalmente inadatte ad ospitare essere umani, tanto che in molti casi i
migranti sono stipati in dei container.

Fortunatamente
sono sempre più numerose le testimonianze che riescono a valicare i muri di
omertà innalzati dalle istituzioni intorno a questi centri, e a mettere in luce
le torture, le umiliazioni e gli abusi che quotidianamente centinaia di persone
sono costrette a subire.

Pratiche
come i pestaggi sistematici, le violenze sulle donne, la somministrazione
forzata di psicofarmaci e le pesanti umiliazioni psicologiche e culturali (come
la costrizione a mangiare carne di maiale per alcuni musulmani) commesse dalle
forze dell’ordine e dal personale degli enti “umanitari” che gestiscono i
centri (Croce Rossa Italiana e Misericordia) non sono eccezioni attribuibili a
singoli elementi, ma sono parte strutturale di un sistema repressivo che considera
il migrante come una merce da utilizzare a proprio piacimento. Lo Stato
italiano è disposto a tollerare entro i suoi confini solo un limitato numero di
persone, e solo se sottoposte al ricatto del permesso di soggiorno,
strettamente legato all’attività produttiva; il resto è materiale umano in
soprannumero, che necessita una sua sistemazione temporanea, in attesa di
essere rispedito nel paese di origine.

E’
soprattutto questo carattere di temporaneità dei CPT a permettere e a
determinare la totale assenza di ogni forma di diritto al suo interno; il CPT è
una frontiera in cui il migrante è definitivamente privato della sua dignità di
essere umano. Questa disumanizzazione è la condizione necessaria alla sua
mercificazione e al suo conseguente utilizzo per la produttività del paese,
ovvero dei suoi poteri forti . I soprusi all’interno dei CPT sono la procedura
con cui lo Stato violenta il desiderio di sopravvivenza del migrante, che è
legato alla sua vita in Italia.

Lo
Stato italiano non accoglie persone che fuggono da miseria e povertà (in molti
casi dopo viaggi di sofferenza e privazione) in cerca di una vita migliore; lo
Stato italiano cerca muratori, braccianti e badanti privi di diritti e potere
contrattuale.

E’
anche importante sottolineare che i CPT in sé non sono minimamente in grado di
contenere i flussi di immigrazione irregolare; la funzione dei centri è
soprattutto di tipo sociale, servono a incutere terrore ai moltissimi
clandestini che vivono in Italia. La stessa logica dell’arresto e della detenzione
di persone, non per aver commesso reati, ma in quanto irregolari (e quindi
persone “illegali”) mira a creare paura e precarietà nella loro esistenza; genera
il terrore di uscire dopo 12 ore di lavoro al nero in un cantiere ed essere fermati
dalle forze dell’ordine, pronte a valutare lo status di clandestino senza il
pezzo di carta che sancisce il diritto alla vita. La mancanza di permesso di
soggiorno costringe alla ghettizzazione, a vivere nascosto, e troppo spesso
contribuisce a vedere nella criminalità l’unico sbocco possibile.

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