Territorio e sviluppo: il rigassificatore tra Pisa e Livorno

 
Le
contraddizioni del rigassificatore tra Pisa e Livorno


 
Ormai
da anni i Comitati di Pisa e Livorno contro il rigassificatore organizzano giornate
di mobilitazione per ribadire il loro no all’impianto di rigassificazione
galleggiante che, da progetto, dovrebbe sorgere a largo della costa toscana tra
il Santuario dei cetacei e vicino alle secche della Meloria, destinate a parco
marino.

Ma che cos’è un rigassificatore? Si tratta di un
impianto industriale che riceve e trasforma il gas naturale liquefatto (GNL),
trasportato da navi gasiere ad una temperatura di -161 gradi centigradi, al suo
naturale stato gassoso. Il terminal di rigassificazione è una grossa nave
metaniera ancorata ad una certa distanza dalla costa (la zona individuata è
proprio quella dell’epicentro del terremoto avvenuto il giorno di pasquetta del
2006) in grado di ricevere il carico di una intera nave metaniera e
rigassificarlo e quindi trasportarlo via gasdotto. Nel mondo esistono soltanto
46 impianti di rigassificazione, tutti su terra ferma, 9 in Europa di cui
soltanto uno in Italia, a Panigaglia (La Spezia).

 

Quello
di Livorno sarebbe il primo al mondo galleggiante. Le caratteristiche del
terminal che dovrebbe essere messo in funzione sono: dimensioni 288 x 48 x 40
metri, distante 12 miglia dalla costa, volume complessivo dei serbatoi 137500
metri cubi, con un fabbisogno di acqua per la rigassificazione di 500.000.000
(cinquecento milioni) di litri d’acqua al giorno.

Per
quanto riguarda le emissioni in aria di un rigassificatore gli unici atti
ufficiali sono quelli di Panogaglia, dai quali risulta che da quell’ impianto
vengono immessi in aria tra l’altro, 1.770.000 metri cubi di metano e 97.000
tonnellate di anidride carbonica; l’impianto di rigassificazione galleggiante
utilizza l’acqua del mare per “riscaldare” il GNL e portarlo dallo stato
liquido a quello gassoso, quindi ogni giorno 500 milioni di litri d’acqua al
giorno verrebbero utilizzati e poi rigettati in mare più freddi (-7 gradi) e
con aggiunta di clorina, ovvero varichina, per impedire le incrostazioni sui
tubi; senza contare tutte le altre emissioni dovute al transito delle navi
gasiere ( circa 50 l’anno), alle attività in fase crociera, di manovra e di stazionamento
per le operazioni di carico/scarico, al funzionamento dei motori per i vari
servizi (dall’illuminazione al pompaggio); e per non farci mancare proprio
niente “effluenti contenenti gas ad effetto serra e inquinanti principali come
idrocarburi combusti e PM10”, in pratica come un inceneritore in mezzo al mare.

Si
tratta di un vero e proprio esperimento voluto, e già autorizzato, sia dal
governo Berlusconi che dalla Regione Toscana di Martini; il Governo Prodi non
mette in discussione la realizzazione del terminal gas galleggiante, anzi uno
dei suoi primi provvedimenti è stata proprio la creazione di una “cabina di
regia”sull’energia che si è occupata innanzitutto di sbloccare la costruzione
di impianti come quello di Livorno.

Se
il GNL fuoriuscisse per un incidente (ad esempio una collisione tra navi, come
è già avvenuto nella rada del porto di Livorno con la Moby Prince), si
trasformerebbe  da liquido in gassoso,
aumentando di 600 volte il proprio volume; a contatto con l’aria potrebbe
provocare, secondo i casi, o esplosioni sena fiamma o formazioni di nubi di gas
che si potrebbero spingere fino a 30 miglia (55 chilometri) dalla costa
(Rapporto della Commissione Energetica della California del luglio 2003)
distruggendo tutto lungo il loro cammino se venissero a contatto con inneschi
di fiamma (sulla Stanic di Livorno le fiammelle ardono prennemente).

Il
mare è un bene collettivo e non può essere privatizzato, invece se venisse
realizzato il rigassificatore, un largo tratto di mare (i documenti ufficiali
parlano di 43 chilometri quadrati come minimo probabilmente destinati ad
aumentare per ragioni di sicurezza) verrebbe privatizzato ovvero tolto alla
fruizione dei cittadini (viene proibita la navigazione e la pesca) per farne un
sito industriale gestito da una società privata, la OLT OFFSHORE LNG Toscana
spa. Per far considerare il mare sito industriale il Ministero delle Attività
produttive del governo Berlusconi ha forzato un articolo di legge (l’art.8
della L. 340/2000) trovando fin dall’inizio concorde la Regione Toscana e
dell’altra parte una forte opposizione nelle Province di Livorno e Pisa,
soprattutto del Comune di Pisa che ha contestato questa forzatura giuridica nel
suo ricorso al Tar del giugno 2005 dove denunciava anche gli “impatti
negativi di una ubicazione dell’impianto al largo della costa pisana sul
turismo, la navigazione da diporto, le aree naturalistiche e di pregio
”; ma
già nel settembre 2005 il ricorso è stato ritirato in cambio di un
finanziamento da parte della OLT per i lavori di riapertura dell’Incile (che
permetteranno la navigabilità tra Arno e Canale dei Navicelli, questa è la
“ricompensa” per i danni economici che subiranno le attività del litorale; è
evidente che al Comune di Pisa interessa di più tutelare gli interessi
economici di una società privata che quelli dei cittadini che vivono, e pagano
le tasse, sul suo territorio, cittadini che sono stati tenuti totalmente
all’oscuro del dibattito in corso sull’opportunità di accettare la costruzione
dell’impianto.

La
Convenzione di Aarhus del 1998 e la Direttiva Severo prevedono che, per quanto
riguarda gli “impianti di rigassificazione e liquefazione”, i cittadini devono
essere consultati e messi in grado di partecipare alle decisioni. Addirittura
la Convenzione di Aarhus, recepita dal Parlamento italiano nel 2001 (Legge 108)
prescrive che la partecipazione dei cittadini debba cominciare “all’inizio
della procedura, quando ancora tutte le opzioni e soluzioni sono ancora
possibili ovvero quando il pubblico può esercitare una reale influenza
”,
questo naturalmente non è avvenuto né a Pisa , né a Livorno.

Il
territorio tra Pisa e Livorno è già devastato da petrolchimici, centrali
elettriche e dalla base americana di Camp Darby, tutto questo deve essere
ingoiato dalla popolazione in nome del progresso e del profitto. I Comitati
popolari degli abitanti di Pisa e Livorno sono determinati a dare un segnale
forte di opposizione agli amministratori locali, fautori della politica del
silenzio e della coercizione mediatica attorno ai danni del rigassificatore.

Il
10 marzo i Comitati hanno allestito banchetti con cibo e bevande per tutti e
alle 17 un corteo di circa cinquecento persone si muove da Piazza dei Donatori
di Sangue, scandito da cori e canti popolari attraversa il quartiere dormitorio
di Stagno, ci sono gli striscioni dei Comitati che denunciano lo scempio
ambientale e la speculazione economica che sta dietro all’offshore.

I
comitati popolari d Pisa e Livorno parlano di illegalità istituzionale nel
momento in cui  gli interessi privati
sono talmente grandi e appetibili da ricorrere a forzature e scorciatoie
procedurali illegittime sul piano giuridico.

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