ABITARE A PISA, ETERNO PROBLEMA

Capita
a volte di essere portati a considerare alcuni diritti quasi come fossero
privilegi da doversi guadagnare, piuttosto che come necessità la cui
soddisfazione è dovuta a noi dalla nostra società.

Complice
di questa distorsione della realtà è sicuramente la cultura prodotta da un
sistema basato sulla competizione, sul primeggiare sugli altri, considerati
potenzialmente rivali, quindi una minaccia per il nostro benessere.

E’
una visione questa che ha del grottesco, ma che induce a pensare la parità di
opportunità sia una cosa da meritare.

Si
tratta di una lettura applicabile a diversi ambiti della nostra esistenza, dal
lavoro alla salute, arrivando a considerarli dei traguardi difficili da
raggiungere se non congrande difficoltà per far quadrare i conti nelle nostre
tasche (il cui bilancio è, come sappiamo, quasi sempre in passivo).

Non
è questo il luogo per fare della semplice retorica, specialmente in sede di
analisi di un problema, quello dell’ emergenza abitativa, che non è mai
superfluo riportare alla luce; intendo al contrario fornire un ulteriore spunto
di riflessione, fondato su dati concreti, che ha costituito la base teorica per
numerose lotte di riappropriazione del diritto alla casa.

In
una città come Pisa, il cui panorama sociale è incredibilmente diversificato,
l’emergenza abitativa si presenta sotto diverse forme; il numero di residenti è
in progressivo declino, arrivando negli ultimi vent’anni ad essere quasi
dimezzato (104.509 residenti del 1981, contro gli 87.166 del 2006), persiste
quindi una situazione di "fuga dalla città" verso le zone limitrofe,
il più delle volte nella stessa provincia (le mete privilegiate sono i comuni
di Calci, S.Giuliano, Cascina e Vecchiano).

A
fronte però di un evidente spopolamento del comune da parte dei pisani,
esiste  una presenza pressochè costante
di cittadini non residenti.

Difatti
se in vent’anni il numero dei residenti è sensibilmente diminuito è vero anche
che la proporzione di cittadini stranieri o di studenti o ex studenti che,
quasi sempre per ragioni economiche o burocratiche, ha deciso di trasferire la
propria residenza a Pisa è sicuramente cresciuta. A questa "fetta" va
ovviamente a sommarsi la popolazione che abita in città senza risiedervi
ufficialmente.

Il
semplice fatto di abitare a Pisa rende questi soggetti i principali fruitori in
primo luogo del mercato edilizio , dato che la casa è la necessità principale
di chi si trasferisce in un’altra città. In tal modo il mercato si è
immediatamente adattato alla domanda specializzandosi in diversi settori per
soddisfare necessità indubbiamente differenti fra loro, quelle degli studenti e
quelle dei migranti, quando queste non vadano ad intersecarsi.

Sulle
vetrine di una qualsiasi delle decine di agenzie immobiliari sparse in città si
nota che spesso gli immobili in vendita a prezzi accessibili si trovano tutti
nel territorio immediatamente all’esterno del nucleo urbano, segno che la città
e il suo mercato si sono specializzati nell’accoglienza discontinua o comunque
provvisoria di non residenti, scaricando sull’hinterland la richiesta di
abitazioni per le giovani coppie o dei nuclei familiari.

A
farla da padrone è sicuramente il mercato degli affitti a studenti che fattura
in media ogni anno 58 milioni di euro (stima dell’Unione Inquilini), mercato
indubbiamente più redditizio perchè permette di moltiplicare sensibilmente il
valore di un singolo appartamento arrivando quasi a triplicarlo, senza contare
che le necessità logistiche, igieniche e in generale la qualità della vita
richiesta da uno studente fuori sede sono probabilmente più trascurabili
rispetto a quelle di una famiglia o di un giovane lavoratore immigrato, così
come è diversa la disponibilità ad adattarsi a condizioni di per se poco
dignitose.

La
logica del profitto ha fatto si che una grossa fetta del mercato delle
locazioni fosse quindi destinata agli studenti fuori sede, con un conseguente
aumento dei prezzi medi e l’estromissione dal mercato di chiunque non possa
permettersi un affitto.

Tradotto
in altri termini si è verificata una limitazione del diritto alla casa, che non
riesce ad essere garantito dalle sole istituzioni o servizi d’assistenza (cui
spesso viene delegato il ruolo di garante dei diritti fondamentali).

Chi
vive a Pisa non per studiare o non solo per studiare, quindi per lavoro o per
semplice interesse culturale si trova nella condizione di non potersi
permettere il lusso di un’abitazione.Il fatto che nel solo anno 2005 i
provvedimenti di sfratto emessi per morosità sono stati 435 ci dà la misura di
come la radice del problema sia principalmente di carattere economico.

Gli
effetti di una situazione tanto critica sono spesso oggetto di cronaca, un
esempio sono le aree adibite a "campi" per i nomadi che costellano la
città, sorte non per scelta di vita, ma per soddisfare un bisogno cui troppo
spesso la disponibilità economica non riesce a far fronte.

Per
chi lavora e non può permettersi di dipendere dalla propria famiglia, o ha
scelto di emigrare per garantire un tenore di vita migliore ai propri parenti,
le soluzioni possibili al problema casa non sono tante; spesso si sceglie di
far fronte al peso dell’affitto con l’affollamento delle abitazioni, in modo da
alleggerire le spese di mantenimento; altri si vedono costretti a prendere casa
a loro volta al di fuori dei confini cittadini, andando però incontro a
problemi di spostamento; c’è chi riesce a trovare soluzioni temporanee come
l’occupazione silenziosa di appartamenti lasciati senza locazione, invenduti,
fatiscenti o la cui destinazione d’uso è impantanata in grovigli burocratici.

Non
è possibile, nè tantomeno ci interessa, fare distinzioni di sorta fra le
diverse provenienze di chi affronta il dramma del poter abitare. La condizione
di precarietà che per induzione si è estesa dall’ambito lavorativo a tutti gli
aspetti dell’esistenza ha reso precario anche il diritto ad uno spazio in cui
vivere.

Eppure
esistono a Pisa 4.621 abitazioni vuote, certo una parte probabilmente
inabitabile, ma la restante porzione sarebbe comunque sufficiente se non a
risolvere totalmente almeno a ridurre sensibilmente la gravità del problema.

 E’ stato più volte ripetuto che potersi
permettere di mantenere vuota un’ abitazione in una città ad emergenza
abitativa è una scelta ,che anche se legale, è profondamente ingiusta, in
particolare nei casi in cui questa situazione è frutto di un freddo calcolo di
tornaconti, una manovra cinica.

Nonostante
ciò si continua a costruire, sono infatti inprogramma diverse grandi opere a
livello cittadino i cui progetti prevedono diverse migliaia di metri cubi
destinate ad uso residenziale, alcuni esempi sono il complesso del nuovo porto
di Marina di Pisa, la riconversione dell’area della Saint Gobain e
dell’ospedale S.Chiara oltre a diverse caserme ( Bechi-Luserna,
Curtatone-Montanara, Artale), preferendo una nuova espansione del nucleo
abitato ad un recupero ed una valorizzazione di quello già esistente e di
valore culturale sicuramente superiore.

Anche
servizi ed uffici pubblici verranno trasferiti in periferia per far fronte a
questa impellente necessità di riorganizzazione del centro abitato, una
riorganizzazione che ha nell’edilizia e nel suo mercato il suo fondamento.

La
città di Pisa sta attraversando un momento di profonda trasformazione, cui si
accompagna una crisi data dalla divergenza fra necessità del mercato e
necessità reali della popolazione.

In
sostanza si producono beni che il mercato interno non sempre può permettersi di
smaltire e gli immobili costituiscono sicuramente l’esempio più calzante,
essendo ampiamente al di fuori della portata economica del reddito medio non
solo di questo comune.

Evidentemente
esiste un flusso di capitali che riesce a soddisfare le necessità di un mercato
in crescita. Infatti aziende e privati provenienti dal resto del Paese quando
non dall’estero investono sul mercato immobiliare pisano incoraggiandone
l’espansione, ma rendendolo inaccessibile se non ai veri e propri residenti,
almeno agli altri abitanti.

Quello
che rimane è una manciata di case, una parte delle quali ricordiamolo non viene
immessa sul mercato, che viene resa disponibile, come un’immensa asta, al
miglior offerente.

Chi
si dimostra meritevole, in quanto fonte affidabile di guadagno, ottiene così il
privilegio di avere un posto dove abitare.

I
più fortunati possono dire di abitare in una casa, altri si devono accontentare
di una stanza, di un fondo commerciale, o possono aspettare fuori e godersi gli
avanzi di tutto ciò che non viene divorato…

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