IL MOBBING CHE AVANZA

 

Il termine mobbing, preso in prestito dalla etologia, è ormai
entrato a far parte del vocabolario del mondo del lavoro. Deriva dal verbo
inglese to mob[1] che
significa: accerchiare,attaccare, aggredire in massa; si tratta, infatti, di
vari comportamenti aggressivi o subdoli messi in atto sul posto di lavoro ai
danni di un lavoratore.

La ragione dell’espansione del fenomeno dagli anni ottanta in
poi, risiede nel nuovo contesto economico mondiale e nella deregolamentazione
della tutela dei lavoratori. In presenza di una accresciuta concorrenza e
instabilità economica, il capitale globale tende a liberarsi della quasi
totalità dei tradizionali lavoratori dipendenti a favore di prestazioni
lavorative precarie che consentono alle imprese notevoli risparmi. 

Questa crescente precarietà porta in primo luogo a un
indebolimento dell’intero apparato delle tutele sociali garantite sino a
qualche anno fa ai lavoratori e alle loro famiglie (pensione, liquidazione,
malattia, gravidanza, ecc.)  e in secondo
luogo fa sì che il lavoratore si allontani dalla dimensione collettiva[2],
fino alla completa individualizzazione della sua figura sociale e giuridica.

Da questo quadro emerge un chiaro nesso tra il mobbing e
l’aumento della competizione, la riduzione della sicurezza dell’impiego,
l’incertezza dei compiti professionali[3].
Precarietà, cambiamenti repentini della organizzazione del lavoro (fusione,
cambio gestione, ecc.), invidia, razzismo, diversità religiosa o culturale
rispetto al gruppo prevalente, carrierismo sfrenato, ingresso di nuovi
lavoratori, tutti sintomi della insicurezza sul posto del posto di lavoro.
Numerosi sono gli studiosi che attribuiscono alla attuale organizzazione del
lavoro le colpe dell’aumento del fenomeno, a riguardo il sociologo Domenico De
Masi, in una intervista a repubblica ha dichiarato[4]: "Io credo che il
mobbing non sia una degenerazione del sistema, ma un aspetto dell’attuale
organizzazione del lavoro”.

Nel nostro Paese dai dati, raccolti tra il 1999 ed il 2004
dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro[5]
(Inail), emerge un aumento costante delle denunce negli ultimi sei anni,
presentate soprattutto da uomini e di lavoratori compresi fra 51 e 55 anni, per
la maggior parte impiegati. Le denunce arrivano soprattutto dal mondo
dell’industria (48,1%), seguito dal terziario e dai servizi (30,4%), pubblica
amministrazione ed enti locali (20,7%).

Emerge quindi che: il mobbing è un malessere sociale.

Per combatterlo c’è bisogno di una vera politica antimobbing che
metta al centro l’esigenza di prestare attenzione ai bisogni dei lavoratori,
alle condizioni lavorative generali e a quelle salariali.

Ad oggi solo la continua prospettiva del precariato, della
disoccupazione, della impossibilità a costruire il proprio futuro, insicurezza
del posto di lavoro le vere “trappole” che fanno avanzare il mobbing.

 

 

 

 

 

 

Nel contesto
lavorativo, la parola mobbing assume il significato di pratica persecutoria o,
più in generale, di violenza psicologica perpetrata dal datore di lavoro o da
colleghi (mobber) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato) per costringerlo
alle dimissioni o comunque ad uscire dall’ambito lavorativo[6].
I comportamenti per essere ritenuti “mobbizzanti” devono ripetersi nel tempo
(almeno una volta a settimana) e ripetersi almeno nell’ arco di sei mesi.

Dall’analisi del fenomeno, soprattutto ad opera di Heinz Leymann[7],
uno dei primi studiosi della materia, sono state individuate principalmente due
tipologie:

Il mobbing di tipo verticale è quello messo in atto da
parte dei datori di lavoro verso i dipendenti per indurli a licenziarsi da
soli, schivando così eventuali problemi di origine sindacale. Spesso si tratta
di vere e proprie "strategie
aziendali
" per le quali è stato coniato il termine di Bossing; in tal
caso sono i dirigenti dell’azienda ad agire.

Il mobbing di tipo orizzontale viene invece praticato dai
colleghi di lavoro verso uno di loro per varie ragioni: per gelosia verso
colleghi più capaci, per necessità di alleviare lo stress da lavoro oppure per
trovare un capro espiatorio su cui far ricadere le disorganizzazioni lavorative
Di frequente, inoltre, al di là delle condotte apertamente vessatorie,la
situazione di isolamento della vittima viene ulteriormente amplificata anche
dai comportamenti dei c.d. "side mobbers", cioè tutti quei soggetti
(superiori gerarchici, direttori del personale, ma anche semplici compagni di
lavoro) che, pur non essendo direttamente responsabili delle condotte
"mobbizzanti", scelgono, essendone venuti a conoscenza, di restare
"spettatori silenziosi" delle persecuzioni a danno della vittima
designata.

 

 

Cosa fa la
legge

La sentenza che per prima ha accolto il termine mobbing nel
lessico giurisprudenziale, è la 
pronuncia emessa dal Tribunale di Torino, Sez. Lav. I grado, datata
16XI/99[8].

Il caso esaminato dalla Corte Torinese riguarda una lavoratrice
dipendente che aveva richiesto il risarcimento del danno biologico ( crisi
depressiva ) subito a causa delle condizioni di lavoro gravose e dalle continue
e mirate vessazioni e umiliazioni da parte del capo reparto.

Infatti, la lavoratrice era stata costretta a svolgere la sua
prestazione lavorativa su una macchina entro uno spazio chiuso tra cassoni e
macchinari, e isolata dai colleghi. Dal punto di vista giuridico, pur in
assenza di una legge specifica sul mobbing, nel nostro ordinamento esistono
diverse norme, costituzionali, civilistiche e penali che, permettono di
difendersi dai comportamenti persecutori che avvengono in ambito lavorativo.

La nostra Costituzione riconosce la tutela della salute come
diritto fondamentale dell’uomo; prevede la tutela del lavoro in tutte le sue
forme.

Sotto il profilo civilistico, quanto alla tutela, occorre prima
di tutto distinguere le ipotesi in cui l’autore del mobbing è il datore di lavoro
da quelle in cui i comportamenti persecutori vengono posti da un collega della
vittima. In questa seconda ipotesi, l’autore delle violenze psicologiche potrà
essere chiamato a rispondere per responsabilità extracontrattuale:che ricorre
nel caso in cui una persona provoca un danno ingiusto ad altra persona (ex art.
2043 c.c.). Quando invece l’autore delle violenze psicologiche è il datore di
lavoro risponderà per inadempimento al contratto di lavoro. L’imprenditore, (ex
art. 2087 c.c.) è tenuto ad adottare nell’impresa tutte le misure che, secondo
la particolarità del lavoro, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale del lavoratore. Per essere risarcito il lavoratore dovrà
provare la condotta illegittima ed il nesso tra l’inadempimento delle misure
previste dalla legge ed il danno subito, mentre a carico del datore di lavoro
rimane la prova di aver operato secondo le disposizioni di legge.

Il mobbing può provocare anche un danno alla professionalità del
lavoratore che si verifica quando il lavoratore non ricopre l’incarico di
lavoro per il quale era stato assunto. Il lavoratore assegnato a mansioni
inferiori o lasciato del tutto inattivo può, infatti, chiedere al giudice del
lavoro (ex art. 2103 c.c.), non solo di accertare l’illecito e di dichiarare la
nullità dell’atto datoriale invalido, ma anche di essere reintegrato nelle
mansioni precedentemente svolte o in mansioni equivalenti. Un’ importante
novità è rappresentata dal fatto che anche l’ Inail[9]
ha cominciato a considerare il mobbing come malattia professionale, infatti è
stato inserito nella categoria delle malattie professionali. Quindi il
lavoratore potrà chiedere il risarcimento del danno anche al suddetto Istituto.

Una delle modalità tipiche attraverso cui si possono realizzare
comportamenti persecutori inquadrabili nel mobbing sono certamente le molestie
sessuali commesse dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o da collegi .
E’ opportuno ricordare che per molestie sessuali si devono intendere, oltre che
i veri propri tentativi di molestia 
anche i corteggiamenti indesiderati e le c.d. "proposte
indecenti". Le condotte di mobbing possono integrare, nei casi più gravi,
anche responsabilità di tipo penale.

 

 

 

 

 


[1] Gian Paolo Cioccia, Coordinamento Generale Medico Legale INPS, 2001.

[2] Danilo Zolo, Globalizzazione. Una Mappa dei problemi,
2005, La Terza, p. 41.

[3] Risoluzione Parlamento
Europeo 20.9.2001, A5-0283.

[4] Claudia Morgoglion , Mobbing,
le vittime
sono un milione e
mezzo
, http://www.repubblica.it/online/societa/mobbing/mobbing/mobbing.html
, 8 febbraio 2000

[5] Prevenzione Oggi. Rivista
di studi e documentazione sulla sicurezza. ISPESL. Roma, 1997, anno IX , numero
2, pp 75-82.

[6]Giuseppe
De Falco, Agostino Messineo, Fabrizio Messineo, Mobbing diagnosi, prevenzione e tutela legale. 2003, Roma, EPC
libri, p. 17.

[7] Paola Cendon, Il Mobbing. Aspetti lavoristici: nozione,
responsabilità, tutele
. 2002, Varese, Mori & C. S.p.A. p. 23.

[8] Sentenza del Tribunale di
Torino, dep. il 16/11/99

[9] M.G.Verso, A.Ferrara*,
R.Cinà*, M.Giuffrè*, D.Picciotto Istituto di Medicina del Lavoro e Preventiva
“G.Fradà” *Dirigente Medico Inail, studio
osservazione su alcuni lavoratori di una sede inail a proposito di mobbing

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