Pisa – L’iniziativa promossa dall’Ass. Aut Aut, che ha visto la partecipazione di Emilio Quadrelli, autore del libro "evasioni e rivolte", Marco Rovelli, autore del libro "Cpt, lager italiani", e Ilaria Sposito, volontaria di Africa Insieme, voleva intervenire nel dibattito sui migranti provando a ragionare dal punto di vista opposto a quello dei mass-media. Spesso ci si chiede come
si possa intervenire nel dibattito
pubblico che in questi giorni riempie le prime pagine dei mass media ed ha come
nodo centrale il tentativo di unire strumentalmente il problema sicurezza con
l’immigrazione. Se non bastasse anche la classe politica istituzionale si
unisce al coro di chi vorrebbe più repressione e controllo. Forse non si tratta
solo di destra e sinistra, ma si tratta di porre in essere la società del
futuro che volente o nolente sarà interculturale. Ogni modello d’immigrazione
dell’Europa di Schengen rischia di
essere sopraffatto dai tempi e dai fatti. La repressione dell’immigrazione è
una tra le poche cose che accomuna l’Unione Europea. Vengono costruiti veri
propri lager e la P.S. va a caccia di “clandestini” nelle città e nelle metropoli. Le periferie sono senza
servizi, il lavoro se c’è è precario e
spesso in nero: condizioni che fanno del migrante un soggetto di serie B. Anche
se con tratti storici differenti gli accadimenti delle periferie parigine
rappresentano molto bene alcune caratteristiche comuni con la situazione dei
quartieri delle grandi città italiane sia dal punto di vista urbanistico che
dal punto di vista demografico. La stessa cosa avviene anche negli altri paesi
del resto d’Europa che hanno già tra le proprie risorse immigrazione di seconda
generazione, come Londra e Parigi.
Bisogna far sì che la
questione migrante esca dal ghetto imposta dai media della sicurezza, e si
riappropri delle sue priorità. Il migrante non è un parassita sociale; porta
con sé la propria storia, la propria cultura. Ha una sua soggettività che non
può rimanere triturata dai modelli d’integrazione o d’assimilazione dei governi
occidentali.
Non è il migrante la causa
dell’insicurezza sociale, ma è la società dell’immagine che genera paure e
nemici contro il quale combattere. Lo fa per non far pensare alle vere
questioni collettive.