DAI CENTRI ANTIVIOLENZA …

Centrale nel percorso di riconoscimento della violenza come
fenomeno legato alla relazione tra i sessi è la nascita dagli anni ’70 in
Europa e ’80 in Italia dei centri antiviolenza e delle case d’accoglienza per
donne maltrattate e violate che, coniugando pratica e politica d’intervento al
problema hanno dato visibilità alla violenza, rompendo quel patto d’innominabilità
che per tanto tempo l’ha relegata nel regno del silenzio e del non detto.

E’ largamente diffusa l’opinione che la violenza alle donne
interessi prevalentemente strati di marginalità sociale, soggetti patologici,
famiglie multiproblematiche, ma nella realtà come i centri hanno ampiamente
documentato, il fenomeno appartiene più alla “normalità” che alla patologia e riguarda
uomini e donne di tutti gli strati sociali: esiste in tutti i paesi, attraversa
tutte le culture e le classi, le etnie e i livelli d’istruzione, di reddito e
le fasce d’età.

Subire violenza è un’esperienza traumatica, che produce
effetti diversi a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è
vittima, le conseguenze possono essere molto gravi ed è necessario considerare
che le degenerazione di alcune situazioni dipende spesso dal tipo di risposta
che una donna riceve dall’esterno, dal sostegno o dal mancato sostegno che
riceve.

Il percorso di ricerca d’aiuto può essere lungo e difficile,
ogni donna è diversa e ciascuna ha una propria soglia di tolleranza alla
violenza e ogni donna ha il diritto ad un percorso d’uscita individuale e rispettoso
della propria personalità.

Nel nostro contesto si trova spesso un atteggiamento culturale
di responsabilizzazione della donna o addirittura colpevolizzazione per la
violenza subita, laddove si individuano nelle caratteristiche femminili (
avvenenza fisica, comportamento emancipato..) la causa della violenza e di
deresponsabilizzazione maschile ( l’essere fatti così, essere malati…).

I centri avvisano della pericolosità di attribuire poca
importanza alla portata della violenza, ritenendola fisiologica, guardando come
episodica un’ aggressione nella sfera del privato di coppia o di definire
genericamente conflittualità di coppia l’agire violento del partner maschile, o
ancora di ricercare nella vittima, nel suo comportamento nella sua psicologia,
le cause della violenza.

Sminuire la violenza sulla donna da luogo a quel processo
che negli ultimi anni e stato definito di vittimizzazione secondaria e che
consiste proprio nel cercare la causa della violenza di cui le donne sono
vittime in tratti di personalità particolari o caratteristiche morali di quest’ultime.

Connesso con questa vittimizzazione è il silenzio spesso
adottato dalle donne nei confronti della violenza subita, la vergogna e l’
impossibilita di uscirne senza una rete di sostegno che favorisca lo svelamento
e la riconoscibilita del fenomeno.

Pubblicamente sono visibili e spesso strumentalizzate le
violenze subite dalle donne di natura sessuale agite da estranei, che sono una
sparuta minoranza, mentre le ben più numerose e ricorrenti violenze intrafamiliari
restano nell’ area grigia della non evidenza pubblica, tutte le forme di
violenza agite dal partner che all’interno della famiglia sono tese a stabilire
il controllo e la distruzione dell’autonomia personale della donna sono
taciute, le violenze sessuali nella coppia sconosciute,le percosse e i traumi
spesso invisibili.

Quante volte in un mese può cadere dalle scale una donna,
anche se è “sbadata”?

Quante donne sono ricoperte da ecchimosi perchè fanno boxe a
livello agonistico?

Quante donne dal pronto soccorso ospedaliero tornano di
nuovo a casa perché non hanno un posto dove fuggire e il consiglio giusto da
chi le accoglie?

Obiettivi e azioni
imprescindibili evidenziati dai centri antiviolenza (dall’incontro nazionale
della rete Bologna feb08)

 -Integrazione socio-sanitaria degli interventi volti
all’emersione ed al trattamento della violenza verso le donne.

 -Apertura dei centri d’ascolto e consulenza per donne
vittime di violenza e maltrattamento presso pronto soccorso o presidi ospedalieri.

-Avvio e rafforzamento delle attività della rete antiviolenza
cittadine che coinvolgano servizi pubblici e privati, sanitari e sociali.

-Produzione di materiale informativo sui servizi che
intervengono nella presa in carico, nel sostegno, nella protezione e tutela
delle donne che sono vittime di violenza.

-Sensibilizzazione e informazione del personale medico di
ciascun presidio ospedaliero sulle prassi adottate, sui servizi attivi e sulle
procedure adottabili per una migliore gestione e trattamento delle donne
vittime di violenza in un’ ottica di integrazione socio sanitaria

 -Formazione di figure professionali specializzate.

 -Formazione specifica al problema per il personale socio
sanitario e per forze dell’ordine.

 -Aumento della visibilità del fenomeno della violenza alle
donne.

 -Miglioramento delle qualità di vita delle donne.

 

 

 

 

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